venerdì 30 settembre 2016

Ricchezza cospicua ed inalienabile di Galatina

"De arcanis catholicae veritatis", cinquecentina del 1516
Galatina dispone di una cospicua ricchezza che è rappresentata dal patrimonio librario della Biblioteca Comunale “Pietro Siciliani” ed in particolare dai libri rari e di pregio, che in essa sono conservati.   

La costituzione della “Siciliani”, iniziata alla fine del XIX secolo, è avvenuta soprattutto con l’acquisizione  dei  fondi librari che erano appartenuti ai Conventi “S. Caterina” dei Frati Minori Riformati e “Spirito Santo” dei Frati Minori Cappuccini nonché delle librerie di Pietro Siciliani (1832 -1885), professore di filosofia teoretica ed incaricato di pedagogia nell’Università di Bologna, e dell’artista Pietro Cavoti.

I libri delle due suddette Case religiose vennero concessi a Galatina dal Prefetto di Lecce il 13 maggio 1867. Il sindaco pro tempore, Giuseppe Galluccio, quando entrò effettivamente in possesso degli stessi, dichiarò di aver ricevuto n. 2.271 volumi dei Cappuccini e n. 1.774 dei Minori Riformati, aggiungendo con disinvoltura che fra essi non vi erano libri rari. Ma le cose stavano ben diversamente!

Infatti il direttore onorario della “Siciliani”, prof. Pantaleo Duma, docente di latino e greco, dopo attento esame dell’intera raccolta libraria,  pubblicò nel 1931 il primo catalogo di incunabuli alle pp. 67-83 dell’ Annuario del R. Liceo-Ginnasio di Galatina per gli anni 1929-30 e 1930-31, facendo  fra l’altro presente  quanto segue:
«Sono incunabuli i più antichi libri a stampa, cioè le edizioni fatte nel periodo di tempo che va dall’ invenzione della stampa (intorno al 1475) all’anno 1.500: opere pregevolissime sia perché rare – e la loro rarità aumenta col passar degli anni – sia perché indispensabili per la storia dell’arte tipografica. Di questi incunabuli nella Biblioteca Comunale di Galatina esistono centoundici esemplari, provenienti tutti dalle biblioteche dei conventi di S. Caterina e dello Spirito Samto, editi dai più rinomati e antichi tipografi italiani e stranieri.
Il numero è considerevole se si pensa che la Biblioteca di Foggia ne possiede solo tre, quella di Barletta uno, Ancona quindici, Cosenza quaranta, Siracusa dieci; e costituisce un vero tesoro bibliografico che, conosciuto, sarà certamente invidiato anche da Biblioteche di città molto importanti […]».

Nel 1962 il prof. Salvatore Ferrol (1917-1998), docente di lettere e preside di Scuola Media, pubblicò un nuovo catalogo, intitolato “Incunaboli Galatinesi” (Ed. Tipografia Vergine – Galatina, pp. V + 81), nel quale sono elencati 133 volumi, cioè 22 in più rispetto a quanti ne aveva individuati Pantaleo Duma. Nell’elenco c’è anche l’unico  incunabolo che non proviene da uno dei sopraccitati Conventi, infatti apparteneva a Pietro Cavoti e riguarda due libri di Francesco Petrarca.

Il Ferrol nell’introduzione alla sua opera fece presente che i Latini con la parola “incunabulun” indicavano le fasce che servivano per avvolgere i neonati. Quindi l’olandese Cornelius Van Beughen quando, per la prima volta nel 1688 adoperò tale termine  per designare i primi libri, volle certamente considerarli come i primi vagiti del volume a stampa. 

Nel 1979 è stato pubblicato a cura del prof. Donato Valli da ‘La Nuova Italia’ di Firenze il “Catalogo della Biblioteca ‘Siciliani’ di Galatina”, nel quale sono elencati e descritti 141 incunabuli e 1334 cinquecentine, cioè libri stampati nel XVI secolo.

Successivamente la prof.ssa Pia Italia Vergine ha pubblicato “BIBLIOGRAPHIA ANTIQUA LUPIENSIS/Incunabuli delle Biblioteche pubbliche e private di Lecce e provincia” – prefazione di Donato Valli, ed. Congedo, Galatina, 2001, pp. LIV + 308. Nell’introduzione e nel testo di quest’opera è detto che a Lecce e provincia esistono in tutto 279 incunabuli, di cui 240 nelle 11 biblioteche pubbliche, e precisamente 140 (centoquaranta) nella Biblioteca  “P. Siciliani” di Galatina e complessivamente 100 nelle altre 10.

Quindi, mentre Valli nel 1979 ha elencato e descritto 141 incunabuli della “Siciliani”, la prof.ssa Vergine nel 2001 ne ha trovati 140, ovvero uno in meno. Ciò è dovuto al fatto che nel 1991 venne rubato il prezioso incunabulo “Cristoforo Colombo, Epistula de insulis nuper inventis, 4 cc” (cioè la lettera di 8 facciate scritta da C. Colombo per informare la regina di Spagna sulle isole da lui scoperte nel 1492), stampato da Stefan Plank nel 1493. Infatti questo ed altri otto incunaboli di piccolo spessore, collegati da un filo di cotone, costituivano un unico fascicolo, perciò ad un malintenzionato era stato facile sottrarlo tagliando il filo. Quando il furto venne scoperto fu regolarmente denunciato, ma il responsabile non venne mai individuato.

Tuttavia sette anni dopo, e precisamente il 9 maggio 1997, il  giornale “Quotidiano di Lecce”  informò che il suddetto incunabulo era stato “battuto” in un’asta di Londra e ovviamente aggiudicato ad un prezzo adeguato.
Questo episodio, anche se dovuto ad un riprovevole furto, conferma che il valore di ogni incunabulo è inestimabile.

Notevole è anche il valore di ogni cinquecentina, come testimonia la preziosa opera  del grande umanista galatinese, il francescano Pietro Colonna detto il Galatino, “De arcanis catholicae veritatis”, edita nel 1516, della quale esiste nella “Siciliani” una copia proveniente da “S. Caterina”.
Il prof. Donato Valli nella sua sopraccitata opera ha elencato, come già detto, 1334 cinquecentine, precisando altresì che:
  • 426 provengono dal Convento “S. Caterina” dei Frati Minori Riformati;
  • 827 appartenevano al Convento “Spirito Santo” dei Cappuccini;
  • 66 provengono dalla Biblioteca del prof. Pietro Siciliani, che del XIX secolo;15 appartenevano alla biblioteca di Pietro Cavoti, risaliente al 1800.
 Da queste ulteriori notizie fornite dal Valli si desume che pregio e rarità sono caratteristiche anche delle cinquecentine, le quali al pari degli incunabuli devono dunque essere protette e conservate con cura.

Nonostante Galatina disponga della suddetta cospicua ma inalienabile ricchezza, è purtroppo attualmente  gravata da debiti per circa 8.000.000 (otto milioni) di euro. A tal proposito la Corte dei Conti nel novembre 2015 ha bacchettato le Amministrazioni comunali che si sono susseguite dal 2009 al 2015, le quali avrebbero utilizzato tutti i sotterfugi possibili per accaparrarsi  la liquidità che il sistema non riusciva più a produrre per inerzia, lentezza e incapacità. Perciò il commissario prefettizio per la gestione provvisoria del Comune, dott. Guido Aprea, e il sub commissario dott. Antonio Vincenzo Calignano, nominati dopo le dimissioni del sindaco Cosimo Montagna, sono particolarmente impegnati ad evitarne il default finanziario.

Pietro Congedo

sabato 10 settembre 2016

Il “Convento dei Domenicani” di Galatina oggi “Palazzo della Cultura”

Palazzo della Cultura di Galatina

L’Ordine dei Frati Predicatori (Ordo Fratrum Praedicatorum) [O.P.]  è un Ordine religioso maschile, detto comunemente ‘dei Domenicani’, fondato circa 800 anni fa nell’antica provincia francese di Linguadoca dallo spagnolo Domenico Guzmàn con lo scopo di lottare contro le eresie.

Domenico e i suoi seguaci scelsero di combattere le dottrine eretiche sia attraverso la predicazione che attraverso l’esempio di una severa ascesi personale, vivendo in povertà e mendicità.
L’Ordine dei Predicatori fu approvato da papa Onorio III con le bolle del 22 dicembre 1216 e del 21 gennaio 1217. 

Si tratta del secondo Ordine religioso giunto a Galatina, poiché, come è noto, già nel 1391 il conte di Soleto, Raimondello Orsini – Del Balzo, aveva affidato la Chiesa e il Convento “Santa Caterina” ai Frati Minori Francescani, i quali ne fecero un centro molto attivo per la latinizzazione dei riti religiosi.

I Frati Predicatori arrivarono a Galatina in un periodo d’oro del loro Ordine. Un insieme  di circostanze favorevoli li aveva portati nel Salento tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘500. I loro conventi ne costellarono le contrade come oasi di grande spiritualità e di sapere.
Essi non ricevettero in Galatina una chiesa ed un convento già costruiti, come li  avevano avuti i francescani. 
Tuttavia nel 1464, mentre era sindaco Federico Mezio, avo dell’omonimo vescovo di Termoli (1551 – 1621), il domenicano fra Clemente Lombardo, che teneva la predicazione quaresimale, ottenne  dall’Università di Galatina un suolo al di fuori delle mura cittadine, in località “Fontana”, nel quale con la benedizione dell’arcivescovo di Otranto, Stefano Pendinelli (1454 – 1480) fu posta la prima pietra per la costruzione di una chiesa dedicata alla Madonna della Grazia .
Lo stesso fra Clemente cominciò a raccogliere fondi e personale, perché la sua iniziativa avesse successo.

Nel 1479, secondo un antico documento, erano già stati costruiti l’abside e l’altare maggiore della chiesa, mentre il frate fondatore era già coadiuvato da alcuni novizi. Era quindi già sentita la necessità di provvedere alla costruzione di un convento. 
Numerosi erano i cittadini che vi contribuivano con offerte, mentre l’Università nel 1489 concesse ai frati l’esazione a tempo indeterminato del dazio del pesce. Tributo questo che nel 1700 era ancora esatto dai domenicani.

Le norme in vigore prevedevano che una tale costruzione avvenisse con l’autorizzazione papale e con il consenso del vescovo locale. Pertanto il nuovo arcivescovo di Otranto, il francescano fra Serafino da Squillace, accertata l’esistenza dell’autorizzazione del pontefice, il 16 giugno 1494 a Napoli diede il suo assenso, che  confermò poi con un secondo documento emesso in Galatina il 1° giugno 1498.
Inizialmente fu costruita una chiesa più piccola di quella attuale, come riferisce una significativa iscrizione, che si trova sulla parete perimetrale esterna di sinistra, quasi ad altezza d’uomo, scolpita su tre conci orizzontali di pietra leccese e datata 1508.

Nello stesso anno 1508 ebbe luogo a Roma il Capitolo Generale dei Domenicani, il quale accettò formalmente il convento da erigere in Galatina, designando priore fra Andrea da Modugno e lettore maestro Andrea da Lecce. Quindi si diede inizio alla costruzione dei locali conventuali ed il maestro generale il 13 novembre 1508 nominò fra Giacomo Silvano di Manfredonia soprintendente dei lavori. 
Essendo questi durati a lungo, i suddetti due ufficiali designati non potettero prendere possesso delle loro cariche. Pertanto il 12 giugno 1509 il maestro Tommaso De Vio diede facoltà al vicario di Puglia di sollevare dai loro incarichi il priore Andrea da Modugno e  il lettore maestro Andrea da Lecce.   

Quando la costruzione del convento fu ultimata, si rese perciò necessaria una seconda accettazione formale dello stesso, la quale fu effettuata dal Capitolo Generale di Roma del 1525, che demandò al reverendo Provinciale la nomina del priore e degli altri ufficiali.

Nel 1485 era diventato duca di Galatina Giovanni Castriota, al quale nel 1514 succedette il figlio Ferdinando che morì nel 1561. Padre e figlio esercitarono il potere con ogni sorta di vessazioni nei confronti dei sudditi. Tuttavia scelsero come loro cappella la chiesa dei domenicani e con i frati furono particolarmente generosi, forse per ingraziarsi la popolazione ferocemente ostile alla loro dominazione.

Il convento costruito dai Domenicani nel 1606 aveva una rendita di oltre 422 ducati  e ospitava 12 frati, mentre nel 1613 i monaci erano otto. Nel 1650 insieme a sei padri c’erano un chierico e due conversi. Intorno al 1690 vi aveva sede lo studio e vi abitavano quattro  padri, quattro chierici, due conversi ed un terziario.

Fra Alessandro Tommaso Arcudi, eletto priore del convento nel 1702, durante il suo governo realizzò importanti opere, tra cui una “commoda libraria”, nella quale furono raccolti tutti i libri esistenti nel convento e tanti altri. 

A partire dal 1720 i frati dovettero provvedere alla ricostruzione della chiesa annessa al convento, che “per antichità stava cadente e quasi diruta”. I relativi lavori per difficoltà di carattere finanziario durarono a lungo, infatti furono ultimati nel MDCCXXXVIII, come testimonia una specie di cartiglio sorretto da due angeli e passante dietro lo stemma domenicano, collocato a coronamento dell’ovale raffigurante la Madonna della Grazia, posto sul portale centrale della chiesa.

In Galatina i frati Domenicani, oltre ad esercitare la predicazione, promossero tramite confraternite il culto del Rosario e del Nome di Gesù. Inoltre promossero l’insegnamento rivolto ai laici e misero a disposizione del popolo la loro biblioteca.

Nel 1736 nel convento abitavano diciassette frati, dieci padri e sette conversi, mentre nel 1756 i frati erano quattordici, di cui otto padri, insieme a tre studenti e conversi. 
Per effetto delle leggi eversive emanate dai re napoleonidi, Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat, il convento dei Domenicani di Galatina fu soppresso nel 1809 e il suo edificio il 21 settembre di quell’anno fu incamerato dallo Stato, con la drammatica espulsione di dieci frati, sei padri e quattro conversi.

Dopo la tempesta napoleonica i Domenicani non tornarono più a Galatina. 

Con la Restaurazione, cioè dopo il 1816, il re Ferdinando IV di Borbone concesse al Monastero di clausura femminile di S. Gregorio Armeno di Napoli il dominio diretto sull’ex Convento dei Domenicani di Galatina, ed assegnò ai Padri Agostiniani di Sogliano Cavour analogo dominio sul giardino “S. Domenico”, attiguo al medesimo ex Convento.

Le scuole pubbliche di Galatina furono istituite nel 1836 e fino al 1854 furono gestite dalla cosiddetta “Commissione Comunale delle Scuole” sia sotto l’aspetto amministrativo che scolastico, ivi compresi il reperimento dei docenti e l’assunzione degli stessi, che era possibile solo col parere favorevole dell’Arcivescovo di Otranto.

Siffatta gestione delle scuole si protrasse per diciotto anni, rivelandosi disastrosa a causa della persistente mancanza di docenti, cure e metodo.              

Per superare un tale stato di precarietà l’Amministrazione Comunale fu a più riprese in trattative con i Padri delle Scuole Pie (detti Scolopi), i quali accettarono di prendersi cura delle scuole galatinesi solo quando il Comune fu in grado di assicurare loro la sede nell’ex Convento dei Domenicani e una rendita di circa 2.000 ducati.

Ma detto stabile non fu subito disponibile, poiché il Monastero di San Gregorio Armeno di Napoli, che ne era proprietario, lo aveva dato in enfiteusi a Carmine Colaci e Vincenzo Castrioto, i quali furono convinti dall’Arcivescovo di Otranto, mons. Grande, a cederne il dominio utile, ma essi pretesero il pagamento delle migliorie apportate allo stabile, il valore delle quali fu stabilito in ducati 1195,20. 

Assolte tutte le formalità necessarie, il 25 ottobre 1853 nel parlatorio del Monastero femminile di clausura di S. Gregorio Armeno di Napoli, dinanzi alla grata di ferro e,  alla presenza del notaio Alessandro Tambone, si costituirono P. Pompeo Vita, delegato delle Scuole Pie, la Madre Abbadessa, Donna Teresa Brancaccio, e il canonico Domenico Zamboi, procuratore speciale del Comune di Galatina, e si procedette alla stipula del contratto di enfiteusi, col quale fu fissato in ducati 51 il canone annuo dovuto dal Comune di Galatina al Monastero napoletano .

L’acquisizione da parte degli Scolopi dell’ex Convento dei Domenicani divenne definitiva il 14 novembre 1853, quando il cassiere delle Scuole versò agli enfiteuti uscenti, Carmine Colaci e Vincenzo Castrioto, la somma di ducati 1.195,20.

I Padri delle Scuole Pie, a differenza dei Domenicani, si premurarono ad intestare  l’edificio al proprio Ordine, ponendone lo stemma al di sopra del portone esterno e scrivendone il motto, “ad maius pietatis incrementum”, sull’ingresso allo scalone che porta al piano superiore
Essi sfruttarono tutte le potenzialità del grande stabile acquisito. Infatti ottennero dal Re delle Due Sicilie, Ferdinando II di Borbone il Decreto 3 ottobre 1854, che all’art. 1 disponeva: “Nella Casa de’ P. P. delle Scuole Pie di Galatina, oltre alle Pubbliche Scuole, è stabilito un Collegio con convitto e pernottazione per la educazione morale e letteraria dei giovanetti.” 
Scuole e Collegio di Galatina vennero gestite dagli Scolopi con diligenza e grande competenza. Ma ciò potettero farlo con tranquillità solo fino all’annessione al Regno Sabaudo delle Province Napoletane (1861). Infatti in primo momento, per effetto del R. D. 13 ottobre 1861,  dovettero adottare i regolamenti e i programmi previsti dalla legge 13 novembre 1859, n° 37, nota come legge Casati, che era in vigore nel Regno di Sardegna. Ma quando entro in vigore il R.D. 7  luglio 1866, che sopprimeva tutti gli Ordini Religiosi, mentre gli Scolopi uscivano di scena e la gestione delle Scuole tornava all’apposita Commissione Comunale presieduta dal Sindaco pro tempore, quello che era stato il Convento dei Domenicani, fu di nuovo incamerato dallo Stato a causa dell’ avvenuta soppressione del Monastero femminile di S. Gregorio Armeno di Napoli.

L’Amministrazione Comunale di Galatina il 2 febbraio 1867 chiese, tramite la Prefettura, al Fondo per il Culto la devoluzione a favore delle Scuole dei beni già appartenuti ai Domenicani, per i quali il Comune dal 1853 pagava il canone di enfiteusi. Il Prefetto di Lecce il successivo 12  febbraio assicurò di aver inoltrato la richiesta a detto ufficio con parere favorevole. Ma l’iter della pratica fu tanto complesso da richiedere l’ausilio di un importante avvocato. Pertanto solo in data 6 febbraio 1868 l’ex Convento dei Domenicani e l’annesso giardino furono devoluti dal Fondo per il Culto al Ginnasio - Convitto di Galatina. 

Il 5 novembre 1873 la Commissione Comunale compilò un nuovo regolamento per il Ginnasio – Convitto, che all’art. 1 recitava: “Lo stabilimento letterario sistente (sic) in Galatina prenderà da oggi innanzi il nome di Ginnasio Convitto Galatino, in memoria dell’illustre cittadino Pietro Galatino”. 
Il 2 maggio 1896 il Consiglio Comunale di Galatina, al fine di ottenere benefici fiscali, chiese al Prefetto di Lecce la promozione degli atti amministrativi necessari per il riconoscimento come Opera Pia del Ginnasio – Convitto.
Umberto I, re d’Italia, con suo decreto del 3 marzo 1898, dichiarò il “Ginnasio-Convitto Pietro Galatino”  Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza (I.P.A.B.), amministrato dalla Commissione che fu eletta dal Consiglio Comunale con delibera n. 50/1899, nella quale comparve per la prima volta la denominazione “Pio Istituto Pietro Colonna detto il Galatino”, poi generalmente usata nella forma ridotta: “Pio Istituto Pietro Colonna”. Sede di questo fu l’ex Convento dei Domenicani anche dopo la regificazione delle Scuole, avvenuta nel 1907.

Detta Opera Pia gestiva le Scuole e il Convitto. La chiusura di quest’ultimo fu adottata con delibera n. 16/1969 dalla Commissione Amministrativa, presieduta dal prof. Paolo Congedo. Il Liceo Classico di Galatina è rimasto nel “Pio Istituto Pietro Colonna” fino al trasferimento nella sua nuova sede in via Pietro Colonna, avvenuto nel 1981.

Attualmente al piano terra, oltre alla prestigiosa Biblioteca Comunale “Pietro Siciliani” che occupa un’intera ala, ci sono altri uffici a carattere culturale, mentre una parte del piano superiore è stata destinata al Museo Civico “Pietro Cavoti”. Pertanto, dopo l’estinzione dell’I.P.A.B. “Pio Istituto P. Colonna”, avvenuta nel 2004  con un decreto del Presidente della Regione Puglia, l’ex Convento dei Domenicani  molto opportunamente è stato denominato “Palazzo della Cultura”.

Pietro Congedo  

venerdì 2 settembre 2016

Dall'aberrante luteranesimo nazista al martirio di Dietrich Bonhoeffer

Dietrich Bonhoeffer

Dopo la sconfitta subita nella Prima Guerra Mondiale la Germania divenne una repubblica federale (9 novembre 1918), la cui costituzione fu redatta da una assemblea nazionale insediata nella città di Weimar, donde la denominazione  “Repubblica di Weimar”.

Questa repubblica federale nella sua breve e travagliata esistenza fu ben lungi dal risolvere gli enormi problemi politico–sociali della nazione, mentre sul piano religioso, sotto l’influenza del marxismo pre-bolscevico, assunse una posizione di totale laicità. Quindi nessuna chiesa cristiana (luterana o cattolica o riformata calvinista) era centralmente riconosciuta. Pertanto si ebbero 28 chiese regionali (una per ogni Land) organizzate secondo il diritto comune, ma senza rapporti con i  governi. Questo finì col generare la diffidenza dei fedeli nei riguardi  dell’ordinamento della Repubblica di Weimar. Nello stesso tempo i pastori e i fedeli luterani erano portati a vedere di buon occhio l’ascesa al potere di Adolf Hitler, il quale diventerà cancelliere del Terzo Reich il 30 gennaio 1933.

Il futuro Führer, nato nell'asburgica Austria da un padre nominalmente cattolico, ma anticlericale e scettico, e da una madre devota praticante cattolica, venne battezzato da bambino e cresimato all’età di 15 anni. Ma in età adulta non partecipò più alla messa e ai sacramenti, pur non abbandonando formalmente il cattolicesimo.

Nella sua opera Mein Kamphf  termini quali “il Creatore”, il “Signore dell’universo” o “la provvidenza” sono molto frequenti, ma egli in privato  disprezzava a tal punto il Cristianesimo da sostenere che esso, con la sua morale della compassione, non fosse assolutamente compatibile con una “fede energica ed eroica in Dio e  nella natura”, che avrebbe dovuto essere propria del popolo tedesco; professava quindi una fede consistente in una sorta di fusione personale di immanentismo misticheggiante e neo-paganesimo, non privi di influenze teosofiche.

Il 24 febbraio 1920 in una birreria di Monaco espose i 25 punti  programmatici del  nazional-socialismo (nazismo) [ovvero dell’N.S.D.A.P.], dichiarando di voler riconoscere e proteggere ogni professione religiosa che non fosse contraria ai valori germanici e della razza ariana. In altri termini riteneva positiva ogni religione che si conformasse al nazional-socialismo, opponendosi all'ateismo marxista ed al giudaismo.

Nacque così una “Chiesa luterana tedesca” di stampo nazista, i cui aderenti erano detti “Cristiani Tedeschi”(Deutsche Christen).
Il motto di questi era «Una Nazione – Un Popolo – Una Chiesa»,  il loro grido di battaglia «La Germania è la nostra missione, Cristo la nostra forza». A dirigere la nuova chiesa, nata dall'unificazione delle 28 chiese regionali (una per Land), venne posto il “Vescovo di Stato”, nominato nella persona di Ludwig Müller, un oscuro pastore, i cui maggiori meriti erano quelli di essere stato un nazista della prima ora e di dimostrare una cieca ed assoluta fedeltà a Hitler. Comunque Muller fu in effetti un semplice esecutore degli ordini del Ministero degli Affari Religiosi, retto da Hanns Kerri, altro fervente nazista.

Riguardo al  primo Sinodo della “Chiesa luterana tedesca”, nel quotidiano inglese The Times del 17 aprile 1933 si leggeva: «Il grande Congresso dei “Cristiani Germanici” è stato tenuto nell'antico palazzo della Dieta prussiana per presentare le linee delle chiese evangeliche di Germania nel nuovo clima portato dal nazional-socialismo. Il pastore Hossenfelder ha cominciato enunciando: “Lutero ha detto che un contadino può essere più pio mentre ara la terra di una suora mentre prega. Noi diciamo che è vicino alla volontà di Dio un nazista dei Gruppi d’Assalto, quando combatte, mentre non lo è  una Chiesa che non si unisce al giubilo per il Terzo Reich. […]. Il pastore dottor Wieneke-Soldin ha aggiunto: “La croce a forma di svastica e la croce cristiana sono una cosa sola. Se Gesù dovesse apparire oggi tra noi sarebbe il leader della nostra lotta contro il marxismo e contro il cosmopolitismo antinazionale”. L’idea basilare di questo cristianesimo riformato è che l’Antico Testamento, essendo un libro ebraico, debba essere proibito nel culto e nelle scuole di catechismo domenicali. Il Congresso ha infine adottato questi due principi: 1) Dio mi ha creato tedesco. Essere tedesco è un dono del Signore. Dio vuole che mi batta per il mio germanesimo; 2) Servire in guerra non è una violazione della coscienza cristiana ma obbedienza a Dio.».

Detto Sinodo impressionò l’opinione pubblica di tutto il mondo anche perché tutti i pastori riuniti indossavano l’uniforme bruna, stivali e distintivi nazisti e nei loro sermoni non esitavano ad affermare che “Cristo è venuto a noi attraverso Hitler”.
Oltre alla menzionata volontà di cancellare l’autorità dell’Antico Testamento, motivo di grande perplessità erano  il proposito di ripulire il Nuovo Testamento dell’apporto del rabbino Paolo e dei suoi accoliti e, soprattutto, l’accoglimento del cosiddetto “Paragrafo Ariano” della legge 7 aprile 1933, il quale nella versione originale disponeva: “Gli impiegati pubblici che non sono di discendenza ariana devono essere messi a riposo. I titolari di cariche onorifiche devono essere licenziati dal loro ufficio”. Pertanto venne interdetta l’ordinazione di pastori non ariani e furono introdotte restrizioni per l’accesso al battesimo di chi non avesse buoni requisiti di sangue.
Ma non tutti i luterani tedeschi erano nazisti, poiché molti erano coloro che reagivano alle aberrazioni hitleriane.

Proprio reagendo all’introduzione del “Paragrafo Ariano”, nel settembre 1933, alcuni pastori berlinesi fra cui Martin Niemöller e Dietrich Bonhoeffer costituirono d’urgenza un’associazione, la quale da un lato dichiarò che il suddetto paragrafo era incompatibile con la fede cristiana, dall'altro organizzò l’assistenza alle persone colpite dalle misure razziali.
Tale gruppo formò il “Movimento Neoriformatore”, un precursore della “Chiesa Confessante”, la quale fu ufficialmente costituita con il Sinodo del 29/31 maggio 1934 a Wuppertal-Barmen. In tale occasione fu formulata la seguente “dichiarazione”, detta appunto di Barmen, che divenne il fondamento teologico della “Chiesa Confessante”:

«Noi crediamo che Gesù Cristo, così come ci viene attestato nella Sacra Scrittura, sia l’unica parola di Dio.
Ad essa dobbiamo prestare ascolto; in essa dobbiamo confidare e ad essa dobbiamo obbedire in vita e in morte.

Noi crediamo che, come Gesù Cristo rappresenta la grazia senza condizioni, il perdono di tutti i nostri peccati, così, con uguale serietà, egli sia l’espressione della forte pretesa che Dio fa valere nei confronti di tutta la nostra vita.
Per mezzo suo ci accade di sperimentare una felice liberazione dagli empi legami di questo mondo per un libero, riconoscente servizio alle sue creature.

Noi crediamo che la Chiesa cristiana sia la comunità di fratelli e sorelle in cui Gesù Cristo, nella parola e nel sacramento mediante lo Spirito Santo, agisce in modo presente come il Signore.
Essa è soltanto sua proprietà e desidera vivere soltanto della sua consolazione e della sua direttiva, nell’attesa della sua manifestazione.

Noi crediamo che i diversi ministeri nella Chiesa non legittimino alcuna supremazia degli uni sugli altri, bensì siano alla base dell’esercizio del servizio affidato e comandato a tutta la comunità.

Noi crediamo che la Chiesa faccia appello al regno di Dio, al suo comandamento e alla sua giustizia e perciò debba ricordare ai governanti e ai governati le loro responsabilità.
Essa si affida ed obbedisce alla potenza della parola mediante la quale Dio regge ogni cosa.
Noi crediamo che il compito della Chiesa, fondamento della libertà, consista nel rivolgere a tutto il popolo la notizia della libera grazia di Dio.»

La “dichiarazione di Barmen” ribadiva  la centralità di Cristo quale fondamento della fede della Chiesa e respingeva quindi criteri e istanze estranee ai principi cristiani e dunque anche le pretese totalitarie del regime nazista nonché il tentativo di appropriarsi del messaggio evangelico per scopi politici.
Dopo il sinodo andarono costituendosi molte comunità legate alla Chiesa confessante, che rifiutavano di sottomettersi alle gerarchie ufficiali della Chiesa del Terzo Reich.

Come già detto, quando nel settembre 1933 il Sinodo nazionale della Chiesa evangelica hitleriana approvò il “paragrafo ariano”, in prima linea per dichiarare l’incompatibilità dello stesso con la fede cristiana fu Dietrich Bonhoeffer, nato a Breslavia il 4 febbraio 1906, il quale, oltre ad essere pastore luterano a Berlino, era  docente universitario di teologia, pioniere del movimento ecumenico internazionale, scrittore prolifico e poeta nonché figura centrale nella lotta contro il regime nazista.
Bonhoeffer non si limitò a collaborare alla formazione del “Movimento Neoriformatore”, in quanto nello stesso tempo si impegnò ad informare e sensibilizzare il movimento ecumenico sulla gravità della situazione, rifiutò il posto di pastore a Berlino, per solidarietà con coloro che venivano esclusi dal ministero per ragioni razziali, e decise di trasferirsi in una congregazione di lingua tedesca  a Londra.
Nell’aprile 1935 tornò in Germania per dirigere, prima a Zingst e poi a Finkenwalde, un seminario clandestino per la formazione di pastori per la Chiesa Confessante, che fu chiuso dalla Gestapo nel settembre 1937. Successivamente egli continuò in clandestinità l’attività d’insegnante, ma nel gennaio 1938 la Gestapo lo bandì da Berlino e nel settembre 1940 gli vietò di parlare in pubblico.
Intanto nel 1939 egli si era avvicinato ad un gruppo di resistenza e cospirazione contro Hitler, del quale gruppo fu lui il legame fondamentale tra il movimento ecumenico internazionale e la cospirazione contro il nazismo. La sua attività per aiutare un gruppo di ebrei ad uscire dalla Germania portò alla sua carcerazione nell’aprile 1943. Durante i due anni di prigionia che precedettero la sua morte, nelle lettere all’amico Eberhard Bethge esplorò il significato della fede cristiana in un “mondo diventato adulto”, chiedendosi: “ Chi è Cristo per noi oggi? Il cristianesimo è troppo spesso fuggito dal mondo, cercando di trovare un ultimo rifugio per Dio in un angolo “religioso”, al sicuro dalla scienza e dal pensiero critico. Ma Bonhoeffer affermò che è proprio l’umanità nella sua forza e maturità che Dio reclama e trasforma in Gesù Cristo “la persona per gli altri”.
Dopo un fallito attentato contro Hitler il 20 luglio 1944, , Bonhoeffer fu trasferito nella prigione di Berlino, poi nel campo di concentramento di Buchenwald e infine in quello di Flossembürg, dove fu impiccato insieme ad altri cospiratori il 9 aprile 1945.

Fra i numerosi scritti del martire Dietrich Bonhoeffer c’è la poesia “Luce”, riportata qui di seguito, nella quale è evidente l’assoluto affidamento dell’autore a Dio, sola vera luce che illumina la sua solitudine, fa cessare in lui paura e amarezza, mentre gli indica la retta via da percorrere:


"Luce
In me è buio, ma da te c’è luce
io sono solo, ma tu non mi lasci
sono pusillanime, ma da te c’è aiuto
sono irrequieto, ma da te c’è pace
in me c’è amarezza, ma da te c’è pazienza
le tue vie non comprendo, ma tu conosci
la retta via per me"

Pietro Congedo