domenica 24 gennaio 2016

Il frate francescano Agostino Gemelli, dal 1915 al 1918 ufficiale medico alle dirette dipendenze di Cadorna

Padre Agostino Gemelli in divisa da Ufficiale Medico
Padre Agostino Gemelli in divisa da Ufficiale Medico


Il 30 giugno 1914 cominciarono le ostilità dell’Austria contro la Serbia: ebbe così  inizio il conflitto che divenne poi mondiale e durò più di quatto anni.     

Il successivo 3 settembre il cardinale Giacomo Della Chiesa fu eletto papa col nome di Benedetto XV e il 1° novembre 1914 pubblicò la sua prima enciclica “Ad Beatissimi Apostolorum”, nella quale si appellava ai governanti delle Nazioni per far tacere le armi, perché cessasse lo spargimento di sangue umano.

In seguito all'entrata in guerra dell’Italia (24 maggio 1915) la Santa Sede, chiusa e prigioniera in Vaticano, rimase ancor più isolata dopo la dipartita degli ambasciatori degli stati belligeranti. Tuttavia Benedetto XV, constatando con amarezza  l’allargamento del conflitto e il notevole incremento del numero di morti e distruzioni, non smise mai di inviare sia proclami per la pace ai governi degli stati belligeranti e concreti aiuti alle popolazioni  civili direttamente coinvolte dalle vicende belliche.

Egli è particolarmente ricordato per essersi invano prodigato a promuovere, con una “nota” del 1° agosto 1917, la sostituzione della guerra con un arbitrato internazionale atto a far cessare la “inutile strage” di esseri umani.

Il grido di dolore del pontefice per siffatta strage e i suoi continui proclami di pace furono, però, molto ascoltati dai cappellani militari, detti “soldati di Dio”. Questi godevano del favore incondizionato del comandante supremo dell’esercito italiano, Luigi Cadorna, il quale era molto religioso ed anche padre di due suore, ma nello stesso tempo era il più accanito sostenitore della “giustizia del piombo” (cioè dei processi sommari concludentisi tutti con la fucilazione dei militari ritenuti indisciplinati) nonché l’inventore di quella efferata forma di annientamento d’innocenti, detta “decimazione”.

I cappellani militari furono tra le figure più importanti e significative della grande guerra. I soldati trovavano nel proprio cappellano un prezioso confidente, un ponte tra l’orrore delle battaglie e i ricordi della propria terra o della propria famiglia; una speranza tra la violenza e la morte. Grazie alla figura del cappellano, il soldato poteva sentirsi al riparo dai turbamenti che la guerra procurava. Il richiamo alla dimensione religiosa era spesso in grado di attenuare e perfino annullare i sentimenti negativi.

Ci furono cappellani che dopo il conflitto si distinsero per il loro impegno sia religioso e pastorale che sociale e politico come: don Angelo Giuseppe Roncalli, divenuto poi papa Giovanni XXIII; Giovanni Forgione da Pietralcina, che divenne padre Pio;  padre Giulio Bevilacqua, nominato cardinale da Paolo VI; don Primo Mazzolari, diventato in seguito una delle figure più significative del cattolicesimo italiano della prima metà del XIX secolo; don Giovanni Minzoni, martire antifascista.
   
Divenne famoso dopo il conflitto anche Padre Agostino Gemelli, al secolo Edoardo Gemelli, che però non vi aveva partecipato come cappellano militare ma come medico e neppur condivideva il dolore  e i proclami di pace del pontefice. Egli, nato nel 1878 da un’agiata famiglia milanese legata alla massoneria, aveva avuto in gioventù tali simpatie socialiste da convincersi a partecipare ai moti verificatisi a Milano nel 1898 a causa delle molto precarie condizioni sociali - economiche delle classi popolari.
Successivamente si converti al cattolicesimo ed entrò nell'Ordine dei Frati Minori.

Conseguita la laurea in medicina nell'Università degli Studi di Pavia, in breve divenne una colonna portante della psicologia.
Nel 1914 fondò la rivista Vita e Pensiero, che divenne  un vero  laboratorio d’idee.

Durante l’anno di neutralità dell’Italia Gemelli, interventista dichiarato, auspicava che l’Italia scendesse in guerra a fianco degli Imperi Centrali.

Tuttavia, quando al contrario il Governo italiano dichiarò guerra all’Austria e alla Germania, il Nostro, con una conversione a centottanta gradi scriveva:
“La patria chiama tutti alla sua difesa.
Cessino le discussioni e i dissidi…[…]. Oggi non c’è più luogo che per il proprio dovere, per tutto il proprio dovere compiuto con sacrificio, sino all'eroismo.
Noi cattolici, che sino a ieri abbiamo lavorato per impedire la guerra, oggi dobbiamo dare tutta la nostra vita, tutta la nostra attività, tutto il nostro cuore, tutto il nostro ingegno a chi tiene nelle sue mani i destini della Patria.” (V. “Vita e Pensiero” del 1° ottobre 1915).

Dopo con disinvoltura si atteggiò a teorico della lotta ai tedeschi, ritenuti “barbari”.              
Egli pensava che la guerra fosse fondamentalmente un’occasione da non perdere.
Teorizzava il conflitto come “espiazione”, “rinascita”, insistendo affinché, negli orrori, le masse (“e soprattutto i miscredenti della classe operaia …”) si rivolgessero alla Fede cristiana come speranza di salvezza.      

Lo storico Sergio Tanzarella ha scritto: «Gemelli  era capitano medico assegnato al Comando Supremo. In quel ruolo fu uno dei più ascoltati consulenti di Cadorna. Come psicologo si propose di abbassare ogni forma di resistenza tra i soldati rispetto alla morte che li attendeva agli inutili assalti. Alla stessa morte Gemelli attribuiva una valenza religiosa in grado di convincere i fanti che si trattava di condividere la missione salvifica di Cristo. Gli articoli di Gemelli in quelli anni e il suo libro, intitolato “Il nostro soldato. Saggi di psicologia militare”, Milano,  1917, sono un’abominevole raccolta di pensieri raccapriccianti, dove la fede viene posta a servizio di una causa di morte. Gemelli scriveva che la conversione del soldato si realizzava sul letto dell’Ospedale prima di morire, ma era cominciata al fronte e ad essa aveva dato un contributo decisivo una singolare forza di catechesi, la catechesi del cannone.

Pertanto la guerra era compresa come provvidenziale occasione di rinascita cristiana. Gemelli fu molto abile a preparare un intruglio di edificazione-rassegnazione di fronte alla catastrofe della guerra offrendo ad essa una mistica consolatrice come quando scrive: “Per noi che rimaniamo, per le spose, per le madri, per i figli, per le sorelle, per gli amici, per i compagni d’armi, per quanti siamo in lutto in queste giornate di prova la morte dei nostri giovani è ragione di conforto. Essi hanno accettato di morire, perché hanno sentito la bellezza cristiana del sacrificio per la patria. Essi hanno fatto di più: hanno fatto risuonare nella morte questa dolce voce di speranza cristiana che consola, che rende forte, che sprona al sacrificio, che ci fa degni insomma dell’ora della prova in cui viviamo”» (V. Gigante, Kocci e Tanzarella La grande menzogna. Tutto quello che non vi hanno raccontato sulla I guerra mondiale, Ed, Dissensi, Viareggio, 2015). 

Da quanto sopra esposto risulta evidente che padre Agostino Gemelli, in qualità di frate minore, non si preoccupò minimamente di portare tra le rigide pareti del comando cadorniano la mitezza e la bontà proprie del Santo di Assisi.

Purtroppo, come durante la sua attività sperimentale di scienziato non s’impietosiva mai del dolore animale (“… sembra che l’animale provi dolore, ma non è del tutto esatto: si tratta, più che altro, di contrazioni nervose istintive …”), così non provava alcuna compassione per i poveri fanti e aviatori che, esauriti, malati di nervi e traumatizzati dalla guerra, si presentavano per visita medica. Egli li rispediva al fronte senza pietà, spesso trattandoli da poltroni e da vigliacchi, affermando che “La paura non è una malattia”.

Quindi l’impassibilità dimostrata da Gemelli durante gli esperimenti su animali è la stessa che egli ostentò nei riguardi dei poveri soldati traumatizzati dagli orrori delle battaglie.

Forse all'epoca i traumi psichici erano ancora ben lungi dall'essere studiati, ma da un frate minore diventato esperto psicologo forse qualcosa in più ci si poteva aspettare.    
                                                                                                          

Pietro Congedo