domenica 20 dicembre 2015

La Questione Meridionale e Galatina



Antonio Errico nel suo articolo “Come salvare la parte cattiva dell’Italia” (v. Nuovo Quotidiano di Puglia/Lecce del 06.12.2015) scrive che, appena ha cominciato a leggere il poderoso saggio “La parte cattiva dell’Italia/Sud media e immaginario collettivo” (Editore Mimesis, ottobre 2015), scritto da due docenti dell’Università del Salento, Valentina Cremonesini e Stefano Cristante, è andato subito col pensiero all’opera “Terzo Sud”, pubblicata nel 1968 dal compianto Aldo Bello, il quale già allora sosteneva che scrittori e giornalisti che parlavano del Sud, in effetti sfioravano appena il problema della “questione meridionale”, in quanto non andavano oltre la semplice citazione di tutta una serie di luoghi comuni negativi: arretratezza, malgoverno, corruzione, criminalità organizzata, parassitismo ecc.. In altri termini già mezzo secolo fa si andava spegnendo l’interesse dei media per il degrado economico, politico, sociale e culturale del Sud d’Italia.

Egli poi, considerato che nel primo quindicennio del XXI secolo nulla è cambiato, continua dicendo che il volume di Cremonesini e Cristante ha, invece, altre finalità, altre qualità, altro spessore: è un’analisi che mostra com’è veramente il Sud. Gli strumenti usati sono quelli di un’accurata ricerca sociologica, a cui hanno contribuito altri studiosi, la quale prende in esame un trentennio di edizioni del TG1 e dei quotidiani Corriere delle Sera e Repubblica nonché alcune fiction televisive, pellicole del cinema, siti web e interviste a intellettuali. Si arriva così a stabilire che negli ultimi sei decenni il racconto del Sud ha occupato sempre meno spazio, appiattendosi viepiù sui sopraccitati luoghi comuni. Ne è emerso uno scenario complesso, dal quale si può enucleare una sorta di transizione dalla “questione meridionale” al “fattore M”, cioè a una rappresentazione negativa di un Sud, su cui non vale più la pena di interrogarsi, poiché il  permanente degrado economico, sociale e culturale è prodotto da una serie di processi intrecciati e complessi. In particolare la Lega Nord per circa un  ventennio è riuscita ad imporre un’artificiosa e completamente inventata “questione settentrionale”, come se il reddito pro-capite del Settentrione non fosse il doppio di quello del Mezzogiorno, e questo non inviasse al Nord laureati e manodopera qualificata e nello stesso tempo non spendesse da sempre presso aziende ed imprenditori settentrionali buona parte dei  finanziamenti ricevuti dallo Stato.  

Detta transizione dalla “questione meridionale” all’irrilevante “fattore M” è avvenuta e persiste nonostante la SVIMEZ (associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno) presenti ogni anno un suo rapporto, assolutamente non trascurabile.

Il rapporto SVIMEZ 2015 (pubblicato il 30 luglio u.s. ossia almeno due mesi prima che uscisse il libro di Cremonesini e Cristante) è stato molto opportunamente presentato da Marco Damilano, su “l’Espresso” del 10 settembre u.s., con l’agghiacciante titolo: E’ sparito il Sud.

In detto rapporto, infatti, si rileva fra l’altro quanto segue:
· dal 2000 al 2013 il Sud d’Italia è cresciuto del 13%, mentre la Grecia ha segnato addirittura un +24%, nonostante i suoi enormi problemi;

  • in ordine alla crescita economica nel Sud si registrano oltre 40 punti percentuali in meno rispetto alla media +56,6% delle regioni Convergenza dell’Europa a 28;
  • è in atto un vero e proprio tsunami demografico, per effetto del quale il Sud è destinato a perdere 4.200.000 abitanti nei prossimi 50 anni, poiché in esso il tasso di fecondità è sceso a 1,31 figli per donna, ben distanti dai 2,1 necessari a garantire la stabilità demografica e comunque inferiore all’1,43 del Centro-Nord; a tal proposito si tenga presente che nell’anno 2014 nel Meridione ci sono state 174.000 nascite, livello al minimo storico registrato 150 anni fa, cioè quando  e nata l’Italia unita;
  • il 62% dei meridionali guadagna meno 12.000 euro annui contro il 28,5% degli abitanti del Centro-Nord, ne deriva che al Sud una persona su tre è a rischio povertà, mentre al Nord corre tale pericolo una su dieci.

Considerate la concretezza e l’inoppugnabilità del rapporto SVIMEZ, tornano ad imporsi sulla scena della vita pubblica e nel dibattito politico i veri, autentici, storici problemi territoriali italiani: la “Questione Meridionale”.

La modestissima se non addirittura inesistente crescita economica, il consistente calo demografico, il rischio povertà e il degrado generale sono fenomeni ben presenti in Galatina, la quale d’altra parte è arrivata al 2000 avendo già perdute le buone caratteristiche socio-economiche  acquisite nei secoli passati, per cui non può più essere  considerata città, come dimostrato in altra circostanza (V. Galatina è ancora città?, articolo pubblicato il 6 luglio 2014 dal quotidiano online Galatina2000.it).

E come se non bastasse un ulteriore scadimento è recentemente avvalorato da fatti come quelli esposti qui di seguito.

  • La Fondazione Agnelli, che dal 2008 fa ricerche sulla Scuola, con il suo progetto “Eduscopio.it/confronto, scelgo, studio” ha stabilito da quali scuole secondarie provengono gli studenti di Lecce e Provincia, che conseguono migliori risultati all'università, mettendo così bene in evidenza che per nessun tipo di scuola di Galatina, antico importante centro di studi, è al primo posto: il Liceo Classico P. Colonna (che nel corrente a. s. ha una sola prima classe) è al terzo posto, il Liceo Scientifico e Linguistico A. Vallone e in quinta posizione, mentre l’Istituto Tecnico Commerciale M. La Porta è addirittura all'ottavo posto, ossia al penultimo.
  • L’Ospedale S. Caterina Novella, un tempo fiore all'occhiello della Città, è costantemente in difficoltà per le sciagurate scelte regionali. Pertanto “…Viene da pensare che, con la scusa del piano di rientro e del contenimento della spesa, si è attuata una politica decisionale che ha pianificato di lasciare in agonia l’ospedale di Galatina fino alla chiusura definitiva. In questa visione troverebbero giustificazioni i finanziamenti mai arrivati, gli organici dei reparti dimezzati, i lavori prima cantierizzati poi interrotti e mai portati a termine. … .” (V. Articolo apparso sul quotidiano online Galatina.it del 9 dicembre u.s.).

Di questo passo la nostra Galatina rischia di finire nel sud del Sud d’Italia. Per cominciare a risalire la china dovrebbero esserci in Municipio amministratori e dirigenti attivi e all'altezza del proprio compito. Invece quelli attualmente in carica, che sarebbero del Partito Democratico, sembrano “impegnati” a consegnare la civica amministrazione a chissà quale forza politica emergente. Infatti non si degnano di prendere in considerazione neppure uno dei 10 punti del Cahier de doléances che puntualmente appare nella prima pagina di ogni numero del quindicinale "il galatino".

Pietro Congedo


sabato 28 novembre 2015

Pietro Colonna detto "Il Galatino" - parte seconda




Le opere di Pietro  Galatino
   Pietro Galatino dell’Ordine dei Frati Minori nel 1506 dedica al re di Spagna, Ferdinando II il Cattolico, che aveva occupato Napoli, l’opera “De optimi principis”.

   Scrive nel 1507 la “Espositio dulcissimi nominis tetragrammaton”, sulla questione relativa alla pronunzia del nome ebraico di Dio, e dopo produce le  opere indicate qui di seguito, adottando quasi sempre il criterio base della sua esegesi, che consiste nell’ interpretare tutta la S. Scrittura come riferita a Cristo e alla Chiesa.

Nel 1515 pubblica sia la “Oratio De Circumcisione Dominica” sul mistero della Circoncisione di Gesù, letta il 1° gennaio alla presenza di papa Leone X, sia la “Epistola ad Reuchlin”, indirizzata al grecista tedesco Giovanni Reuchlin, nella quale  con ricercata eleganza annunzia la sua prossima opera, dedicata all’Imperatore Massimiliano I ed intitolata “De arcanis catholicae veritatis”(*). Quest’ultima, terminata nel 1516, è l’unico scritto che lo stesso autore fece stampare, ad Ortona a Mare (CH) nel 1518, sotto gli auspici della duchessa di Bari Isabella d’Aragona. Quindi è anche il suo scritto più noto e diffuso.  Si compone di dodici libri e dopo la morte dell’autore è stato anche pubblicato a Basilea (2 volte), a Parigi nel 1603 e a Francoforte (3 volte). Una copia dell’edizione 1518 è nella Biblioteca di Galatina. Nelle edizioni postume la stessa  compare unita al De arte cabalistica di Reuchlin.

Il “De arcanis…” è redatto in forma di dialogo, di cui sono interlocutori lo stesso autore (Galatinus), il Reuchlin (Capsius) e Giacomo Hochstratem, inquisitor fidei, al quale lo stesso Reuchlin è stato deferito (Hogostratos). Quest’ultimo sostiene che tutti i libri usati dagli ebrei debbano essere respinti, perché nessuno di essi giova al Cristianesimo, gli si oppongono i primi due con un serrato ragionamento, tendente a dimostrare che quei libri sono invece utili in quanto forniscono argomenti comprovanti la verità delle dottrina cattolica.
Ne viene fuori un commentario esegetico, teologico e mistico di Bibbia e Talmud.

   Scrive nel 1519 il “Libellus de morte consolatorius ad Leone X”, in occasione della morte del duca di Urbino, Lorenzo dei Medici, nipote del pontefice.

   E’ del 1521 il “De repubblica christiana”, opuscolo dedicato anch’esso a Leone X, nel quale sono dibattute questioni ascetico–formative. Infatti, considerate le condizioni morali ed intellettuali del clero, macchiato da ambizioni temporalistiche, da esasperato individualismo e vita frivola, si pensa che la Chiesa non solo richieda vescovi saggi, virtuosi e culturalmente illuminati, ma anche degni sacerdoti nonché dotti e santi religiosi. Proprio a questi ultimi competerebbe in modo specifico il ministero della predicazione, accompagnata questa da vita esemplare che offra testimonianza di buon esempio.

   Del 1522 è soltanto la “Oratio de dominica passione”, predica sulla passione di Gesù, tenuta il venerdì santo nella cappella del Papa.

    Sicuramente del 1523 è il “De septem Ecclesiae tum temporibus tum statibus”, dedicato al cardinale Francesco Quinones: è un’introduzione al commento dell’Apocalisse di qualche anno dopo; infatti vi si accenna alle sette epoche corrispondenti, secondo le interpretazioni mistiche, a sette diverse condizioni della Chiesa. In particolare, quando si parla dei bizantini scismatici, che preferiscono i Principi secolari al Sommo Pontefice, si accenna a Martin Lutero.
Anteriore al 1524 è il “De Ecclesia destituta” (cioè abbandonata) , in 8  libri, nei quali si discute delle calamità della Chiesa attraverso l’interpretazione sia delle profezie  bibliche che di quelle medioevali, facendo di queste larga menzione.

E’ pure anteriore al 1524 il “De Ecclesia restituta” (cioè restaurata),  in 5 libri, nei quali ricercando il senso mistico di alcuni Salmi, delle profezie bibliche e dell’Apocalisse, si conclude che la vera riforma della Chiesa potrà ottenersi col ritorno al suo stato originario.

   Sempre col criterio della lettura allegorica è stato compilato nel 1524 e dedicato all’imperatore Carlo V “Il commento dell’Apocalisse, in 10 libri, nei quali l’autore, pur riconoscendo il merito dei commentatori precedenti (soprattutto dell’abate Gioacchino da Fiore), sostiene che solo al suo tempo si sarebbero potute vedere chiare le allusioni agli ultimi avvenimenti. Con questa convinzione identifica nel settimo capo della bestia apocalittica l’Islamismo, che solo l’imperatore Carlo V avrebbe potuto recidere, riconducendo così tutte le genti alla religione cristiana.
In questo testo è inserita la descrizione dell’eccidio di Otranto del 1480.
   Del 1525 è la “Vaticini Romani explicatio” che contiene l’interpretazione di un oscuro vaticinio, dato a Roma nel 1160.

   E’ stato compilato nel 1526 il “De Sacra Scriptura recte interpretanda”, che ha il sottotitolo “Ostium apertum” (la porta aperta), nel quale sono esposti i criteri da adottare per aprire la porta che nasconde agli occhi umani le verità scritturali più riposte, le quali si rivelano con modalità diverse da epoca a epoca, perché i misteri occultati dal senso letterale del testo si attuano nella storia a seconda dei tempi e delle persone; lo scritto è dedicato al re d’Inghilterra Enrico VIII.
   Di incerta datazione è il “De cognoscendis pestilendibus hominibus deque refellendis eorum versutiis” , in 2 libri e dedicato al cardinale Andrea della Valle, il quale scritto contiene una serie  di consigli per difendersi dai malvagi.

   E’ del 1532 il “De SS. Eucharistiae sacramenti mysteriis” , il cui contenuto risulta evidente dal titolo.

   E’ certamente successiva al 1533 la “Emendatio opusculorum de mysteriis et de Domini nostri Iesu Christi generatione”, dedicata al vescovo Paolo Capizucchi, che aveva invitato l’autore a correggere e ridurre alla retta lezione i  due opuscoli ebraici non ben tradotti in latino forse dall’aragonese Paolo de Heredia, maestro di Pico  della Mirandola; se fossero state vere le ipotesi fatte dal Galatino in seguito alla emendatio, i due brevi scritti avrebbero avuto rara importanza storica e il secondo sarebbe stato composto addirittura nei giorni della passione di Gesù Cristo.

    E’ stato scritto dopo il 1534 il “De Ecclesia Instituta”, in 3 libri, nei quali l’autore, facendosi interprete dell’attesa generale dei cristiani che papa Paolo III compia l’auspicata riforma della Chiesa, delinea l’istituzione della stessa, interpretando i passi della S. Scrittura che si riferiscono alle sue fortunose vicende.

Anche dopo 1534 sarebbero state scritte le due operette dedicate al cardinale Nicola Rodolfo, “De anima Intellectiva” e “De homine”: la prima tratta dell’essenza, della potenza e dell’immortalità dell’anima; nella seconda si parla della congiunzione dell’anima razionale al corpo e vi è chiarito il concetto dell’uomo considerato come un “microcosmo”.

   Dal 1534  il Galatino, ormai settantaquattrenne, si dedicava al vastissimo “De vera Theologia”, repertorio di scienza teologica rimasto nel 1539 incompleto dopo le prime cinque parti, già comprendenti circa cinquanta libri, nei quali, partendo dal concetto di Dio, passando per tutta la serie degli esseri creati fino all’uomo, viene trattata la sua caduta e della sua redenzione; inizia con la dedica a Paolo III ed alla  V parte segue, come appendice, il trattatello  “De idiomatum communicatione”.      

   Intorno al 1539 è stata compilata l’opera “De Angelico Pastore”, riguardante l’atteso pontefice, dalle caratteristiche specificate in varie profezie, il quale avrebbe riformato la Chiesa, riconducendola alla povertà e al servizio di Dio.
L’autore in questa sua opera raccoglie tutte le elucubrazioni sull’argomento, che aveva già espresse in vari suoi scritti.

   Dopo questa rassegna delle opere di Pietro Galatino, c’è da osservare che egli non traccia un piano concreto per la riforma della Chiesa. Infatti, benché nelle sue riflessioni si mostri consapevole degli errori commessi e dei mali provocati dagli ecclesiastici, conclude poi solo col proporre una serie d’iniziative di cambiamento, in base alle quali l’Angelico Pastore avrebbe potuto impostare un proprio piano di rinnovamento della Chiesa. Perciò la riforma tanto auspicata dal teologo francescano, finisce col rimanere vaga ed aleatoria nonché  condizionata dalla figura dell’ipotetico Angelico Pastore.

   Invece egli poteva e doveva stimolare direttamente e con urgenza i Pontefici suoi contemporanei, su cui esercitava un certo ascendente, affinché programmassero e mettessero in atto concreti piani di riforma.

Conclusioni
   A conclusione di questa presentazione della vita e delle opere del personaggio di fama mondiale, qual è stato Pietro Colonna, si ritiene opportuno accennare alla considerazione in cui lo stesso è stato ed è tuttora tenuto dai suoi conterranei.

Il suo nome è reso noto a tutti da una Commissione Comunale, presieduta dal Sindaco pro tempore, la quale il 5 novembre 1873 compila un nuovo regolamento per il Ginnasio-Convitto di Galatina, che all’articolo 1 recita: “Lo stabilimento letterario sistente (sic) in Galatina prenderà da oggi innanzi il nome di Ginnasio-Convitto Galatino, in memoria dell’illustre cittadino Pietro Galatino”.

   Successivamente l’Istituto, con decreto 3 marzo 1898 del re Umberto I, è dichiarato ‘Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza’ ovvero ‘Opera Pia’. La Commissione Amministrativa di questa viene eletta dal Consiglio Comunale con delibera n. 50/1899, in cui compare per la prima volta la denominazione Pio Istituto Pietro Colonna detto il Galatino, poi usata nella forma ridotta Pio Istituto P. Colonna.

   Nella pratica con questa denominazione si è poi indicato tanto Scuola e Convitto  quanto l’edificio ospitante gli stessi, cioè l’ex convento dei PP. Domenicani, ora “Palazzo della Cultura". Questo, dunque, è stato di fatto il “monumento” che nel XIX secolo gli amministratori comunali di Galatina hanno inteso erigere al grande concittadino Pietro Colonna.

Purtroppo, però, dopo 123 anni amministratori comunali del XXI hanno con disinvoltura soppresso la ormai consolidata denominazione di detto edificio. Ma sanno costoro chi era Pietro Galatino?    


Pietro Congedo
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(*) In effetti nella prima pagina di copertina c’è la seguente epigrafe, nella quale, eliminate le abbreviazioni con l’aggiunta delle lettere tra parentesi, si legge:
Opus toti christian(a)e Reipubblic(a)e maxime utile, de arcanis
chatholic(a)e veritatis contra obstinatissimam Iud(a)eoru(m)
nostr(a)e tempestatis perfidiam: ex Talmud aliisque
hebraicis libris nuper excerptun: &  
quadruplici linguarum genere
eleganter cogestum
[Traduzione: L’opera più utile in tutto il mondo, riguardo ai misteri della verità cattolica contro l’ostinatissima perfidia dei giudei del nostro tempo: estratta ultimamente dal Talmud e da altri libri ebraici, scritta correttamente in quattro lingue.] 
A questa epigrafe segue un epigramma in ebraico in lode dell’autore del libro 











venerdì 13 novembre 2015

Pietro Colonna detto "Il Galatino" - parte prima



  Premessa
 Un’apposita commissione, della quale facevano parte Luigi Papadia (sindaco e presidente), Antonio Dolce, Pietro Garrisi e Giuseppe Galluccio, compilò il 5 novembre 1873 per il Ginnasio – Convitto di Galatina un nuovo regolamento, che all’art. 1 recitava testualmente: “Lo stabilimento letterario sistente (sic) in Galatina prenderà da oggi innanzi il nome di Ginnasio-Convitto Galatino, in memoria dell’illustre cittadino Pietro Galatino.”

    Con decreto 3 marzo 1898 il Ginnasio-Convitto Galatino venne dichiarato dal re Umberto I istituto pubblico di beneficenza (IPAB), ovvero opera pia. In seguito la Commissione Amministrativa dello stesso IPAB fu nominata dal Consiglio Comunale di Galatina con delibera n. 50 del 7 agosto 1999. In questa delibera compare per la prima volta la denominazione Pio Istituto  Pietro Colonna detto il Galatino, usata poi nella forma ridotta Pio Istituto P. Colonna. Denominazione quest’ultima con cui è stato, quindi, sostituito nella pratica il nome Ginnasio-Convitto Galatino del 1873.

   Il nome del grande e famoso umanista italiano Pietro Colonna detto il Galatino è noto a tutti solo in quanto attribuito alle Scuole Classiche e all’annesso Convitto maschile di Galatina. Invece gli studiosi (in particolare i letterati, i filosofi e i teologi) conoscono bene di lui la singolare biografia e il grande valore delle numerose opere.

   Scopo di questo scritto è quello di dare anche al grande pubblico, specialmente a quello giovanile, la possibilità di venire a conoscenza, almeno per grandi linee, della vita e delle opere dell’illustre galatinese che fu teologo, filosofo ed esegeta di fama mondiale.

   La vita
   Non si conosce con esattezza la denominazione del casato di Pietro Galatino, che si  faceva chiamare in tal modo dal nome della città natale in quanto appartenente all’Ordine dei Frati Minori.

   Tuttavia il domenicano Alessandro Tommaso Arcudi, nella sua opera Galatina Letterata (Genova, 1709), con sicurezza afferma testualmente: “…Nacque in S. Pietro in Galatina da Filippo Colonna, famiglia estinta: ed una sorella, chiamata Leonarda, fu moglie di Antonio Arcudi…” . Opinione questa che, sebbene all’epoca fosse condivisa da altri autori, lo stesso A.T. Arcudi  fu costretto a difendere strenuamente  in polemica con l’abate Domenico De Angelis, autore dell’opera in due tomi “Le vite de’ Letterati Salentini” (Napoli , 1713), nella quale a pag. 213 è addirittura riportato il ritratto del Galatino con la scritta:

 “Petro Mongiò vulgo dicto  Galatino a S. Petro Galatinae. […]. 
   Dominicus de Angelis Lyciensis.

L’Arcudi nel corso di detta polemica col De Angelis affermò anche che la madre del Galatino si chiamava Caterina Mollona.

   Intanto la tesi del De Angelis sembrava prevalere, in quanto il galatinese arcivescovo  di Lanciano e poi vescovo di Pozzuoli, Lorenzo Mongiò (1551 – 1632),  dichiarandosi pronipote del Galatino otteneva dal papa  il permesso di trascriverne le opere, che si trovavano nella Biblioteca Vaticana. Ma a tal proposito l’Arcudi aveva già scritto che il suddetto Lorenzo Mongiò fosse “…pronepote del Galatino per via materna…”.

   Con accurate ricerche sulla denominazione del casato del personaggio in questione, lo storico Giancarlo Vallone ha demolito la tesi che la stessa fosse ‘Colonna’, ma senza accettare quella di ‘Mongiò’. Egli, Infatti, nel 1989 ha pubblicato un saggio dal titolo propositivo “Pietro S. Galatino”, nel quale in maniera adeguatamente documentata sostiene che la lettera iniziale del vero cognome del Galatino fosse una “S”,  introduttiva di un cognome probabilmente albanese. Questo è stato poi confermato, sia pure con qualche riserva, dallo stesso Vallone in un suo articolo, pubblicato nel n. 5 /2013 della rivista ‘il filo di Aracne’. Tale conferma è avvenuta sulla base di uno scritto dell’artista galatinese Pietro Cavoti, rinvenuto nel museo di Galatina da Luigi Galante, dal quale scritto si apprende che il Galatino era figlio del soldato albanese  Tho. Spanoi che, sbarcato in Calabria con  l’esercito del condottiero Demetrio Reres, aveva disertato e, vagando senza fissa dimora, si era rifugiato, forse nel 1459, in Galatina. Qui fu assunto come domestico da persone benestanti e, messa su famiglia, ebbe dei figli, tra i quali Pietro Spanoi, il quale  volle cambiare per sempre il proprio cognome con quello di Galatino, datogli dai francescani del Convento Santa Caterina, dove aveva iniziato i suoi studi.

Tuttavia c’è chi sostiene che, mentre rifiutava il suo vero cognome, egli accettava o addirittura agevolava quello di Colonna, che, sebbene fosse insignificante in Galatina, era invece di gran prestigio a Roma, dove visse a lungo.  Tra coloro che sostengono questa tesi c’è anche l’orientalista Giuseppe Gabrieli (1872-1942) di Calimera (LE).

   La data di nascita di Pietro Galatino, prima variamente indicata dai biografi, è stato poi possibile fissarla con sufficiente approssimazione al 1460, in quanto egli nel dedicare intorno al 1539 una sua opera al vescovo di Nicastro (CZ) dichiarava di avere 79 anni, e sottraendo il numero 79  da 1539 si ottiene appunto 1460.

    Giovanissimo prese l’abito francescano dei Frati Minori nel Convento di  Santa Caterina, fondato in Galatina da  Raimondello  del Balzo Orsini alla fine del XIV secolo. Ivi rimase almeno fino al 1480, infatti a proposito dell’eccidio di Otranto, che avvenne in quell’anno, in un suo scritto dichiarò: “…Pauca referam, quae oculis   vidi… . ” […Riferirò le poche cose che vidi con i (miei) occhi… .]. Ma non molto tempo dopo i suoi superiori, per l’eccezionale intelligenza e per la ferma volontà di proseguire gli studi da lui dimostrate, lo mandarono a Roma, dove rimase per quasi tutta la vita, allontanandosene solo per non lunghi periodi.

   Infatti nel 1492 fu a Taranto, dove potette osservare il testo della profezia di San Cataldo; a gennaio del 1506 fu a Napoli per fare omaggio al re Ferdinando il Cattolico della sua opera “De optimi principis diademate” con la seguente dedica: “ Prego dunque che la tua maestà si degni di accettare il mio piccolo dono con volto benevolo (come è tua abitudine) e che consideri affidati alla tua benevolenza me, il mio Ordine del quale sei molto devoto, la stessa mia patria(*) e tutto questo regno”.

   Dimorò a Bari, in qualità di Ministro dei Frati Minori della “Provincia Apulia”, intitolata a San Nicola, nell’ultima fase unitaria dell’Ordine minoritico, cioè prima che papa Leone X, successore di Giulio II, separasse con la bolla “Ite vos” (29 maggio 1517) i Frati Minori Osservanti dai Frati Minori Conventuali.

   Dal 1536 al 1539 fu ancora Ministro provinciale dei Frati Minori Osservanti.

   Il Galatino, stando a Roma, alla perfetta conoscenza del latino e del greco aggiunse quella della lingua ebraica, in cui acquistò una tale pratica da essere creduto egli stesso un ebreo convertito. Studiò anche l’etiopico con Giovanni Potken.

   Per questa larga conoscenza delle lingue si congratularono con lui da una parte l’imperatore Massimiliano I, fautore dello studio delle lingue orientali per la propaganda della fede, dall’altra l’arcivescovo titolare di Nazaret Giorgio de Salviatis. Della stessa conoscenza egli si servì per l’interpretazione dei sacri testi.

  Tuttavia, frequentando il circolo romano che si raccoglieva intorno al cardinale Egidio Canisio da Viterbo, apprese anche la cabala, cioè la divinazione del futuro a mezzo di lettere, numeri, figure o sogni, appassionandosene tanto da non sapersi più sottrarre all'influsso delle preoccupazioni criptografiche che essa gli suggeriva.

   E’ probabile che il Galatino abbia esercitato il magistero di Teologia e di lingua greca. Mentre è  certo che egli abbia tenuto l’ufficio di Penitenziere apostolico della Basilica di S. Pietro e che sia stato cappellano prima del Cardinale Lorenzo Puccio e dal 1531 del cardinale Francesco Quinones.

Questa preminente posizione in Roma gli consentì di contrarre autorevoli amicizie. In particolare entrò in relazione con i pontefici Leone X e Paolo III, dei quali fu anche commensale, e fu in corrispondenza, oltre che con l’imperatore Massimiliano I  e il re Ferdinando il Cattolico, con Carlo V , Enrico VIII d’Inghilterra e con i più celebri umanisti del suo tempo.

    Il Galatino ebbe in vita grandissima fama come teologo, filosofo, esegeta, tanto da essere esaltato in versi latini ed ebraici, e il noto  grecista tedesco Giovanni Reuchlin lo salutava “doctissime ac disertissime, gemma ordinis Minorum”.

Tale fama declinò, però, dopo la sua morte che avvenne probabilmente nel 1540, in quanto sappiamo che lasciò incompleto il trattato De vera Theologia, al quale lavorava in anni successivi al 1536, mentre Luca Wadding, storico dell’Ordine francescano, riferendosi all’anno 1539 afferma: “vivebat in hoc anno in senili iam aetate frater Petrus”.

Quindi egli morì all’età di circa ottanta anni e fu sepolto nella chiesa di  Aracoeli in Roma, dove volle che fossero custoditi i suoi manoscritti, che tuttavia furono poi trasferiti nella Biblioteca Vaticana.

    Anche sulla sua immagine non è mancata l’incertezza, giacché è da ritenere del tutto fantastico il ritratto riportato nel libro del De Angelis. Mentre è accettabile la seguente descrizione che ne fa A. T. Arcudi: “Fu Pietro Colonna di bell’aspetto, pallido, e femminile, di faccia pienotta, e alquanto tonda, come appare dal suo ritratto, ch’io tengo in rame.” Questa immagine (senza tener conto del riferimento al ritratto in rame, che nessuno ha visto o può vedere) corrisponde in tutti i lineamenti alla miniatura del viso del francescano, che si trova in una Q iniziale sulla copertina dell’unico suo libro stampato nel 1518, il De arcanis catholicae veritatis, del quale una copia era nel Convento S. Caterina e ora si trova nella Biblioteca “P. Siciliani” di Galatina, mentre altre copie sono a Basilea, Francoforte e Parigi.

    A conclusione della presente breve biografia di Pietro Galatino c’è da rilevare che  nei suoi numerosi scritti, oltre al già citato riferimento all’eccidio di Otranto, non ci sono notizie relative agli avvenimenti del suo tempo. Ciò risulta veramente singolare, ove si consideri tanto l’importanza dei fatti di cui sarebbe stato informato o addirittura spettatore (basti per tutti il celebre sacco di Roma del 6 maggio 1527 ad opera dei lanzichenecchi), quanto la sua grande amicizia con personaggi che all’epoca erano di prim’ordine.

Pietro Congedo

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(*) Non è da escludere che con tale omaggio il Galatino abbia voluto richiamare la benevola attenzione del sovrano spagnolo sui problemi della Comunità francescana di Galatina, che aveva perduto il Convento S. Caterina, in quanto a suo tempo il re Alfonso II d’Aragona lo aveva donato insieme all’Ospedale e al relativo patrimonio all’Ordine Olivetano. Perciò era in corso da anni una penosa lite fra i due Ordini.
Comunque è certo che in maniera inaspettata sia entrato in scena, inviato (forse su preghiera di re Ferdinando il Cattolico) da papa Giulio II, il  cardinale Giovanni Antonio di San Giorgio, vescovo di Frascati che riuscì a mettere d’accordo gli olivetani con i francescani. Infatti, con atto notarle del 1° giugno 1507, i primi, conservando l’Ospedale di Galatina e il suo patrimonio, cedettero ai secondi il Convento S. Caterina e il giardino detto ‘Parco’.  

mercoledì 28 ottobre 2015

Brevi e modeste considerazioni di un cattolico praticante sul celibato dei sacerdoti


Da testi biblici veterotestamentari si apprende che il sommo sacerdote Aronne era sposato (v. Levitico) e lo erano anche i Profeti (v. Isaia, 8-3).

San Pietro era anch’egli sposato (v. Matteo, 8-14). La moglie di S. Pietro era ancora in vita quando S. Paolo scriveva: “…non abbiamo noi il diritto di condurre in giro con noi una moglie sorella di fede, come fanno anche gli altri Apostoli e … Cefa (cioè Pietro) ? ”

I ministri della chiesa primitiva potevano sposarsi. A tal proposito S. Paolo nella Prima Lettera a Timoteo fra l’altro scrive: “Ecco una parola sicura: se qualcuno desidera avere un compito di pastore nella comunità, desidera una cosa seria. Un pastore deve essere un uomo buono, fedele alla propria moglie, capace di controllarsi, prudente, dignitoso, pronto ad accogliere gli ospiti, capace d’insegnare. Non può essere un ubriacone, un violento o uno che litiga facilmente: sia invece gentile e non si mostri attaccato ai soldi. Sappia governare bene la sua famiglia, i suoi figli siano ubbidienti e rispettosi. Perché se uno non sa governare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? (cap. 3, 1-5)”[v. La Bibbia in lingua corrente, Elle Di Ci, Leumann (TO), 1985,pp. 331-332].

Il concilio di Nicea (325) respinse la proposta di interdire il matrimonio dei preti e il papa del tempo, Silvestro I, ordinò che ogni prete avesse la propria moglie.
San Gregorio Nazianzeno (330 – 389) era figlio di un vescovo.
Nel 911 i Veneziani elessero loro vescovo Orciano, il quale andò ad abitare il palazzo vescovile con la propria moglie.

Ildebrando Aldobrandeschi di  Soana (1020 – 1085) era monaco del Monastero di Cluny, che all’epoca era il centro dell’orientamento riformatore della Chiesa, dove conobbe  Brunone di Toul. Questi, divenuto papa col nome di Leone IX, chiamò preso di sé Ildebrando che così divenne Suddiacono della Sede Apostolica e, come tale, fu poi al servizio dei vari papi, che si susseguirono nel giro di pochi anni, l’ultimo dei quali fu Alessandro II. Alla morte di questo lo stesso Ildebrando il 24 aprile 1073 fu eletto papa spontaneamente dal popolo romano. Pertanto, immediatamente ordinato sacerdote e vescovo, ascese al soglio pontificio col nome di Gregorio VII.

Egli, ispirandosi ai principi riformatori cluniacensi, mise in atto per la Chiesa una politica di grande rigore morale, prendendo energiche decisioni particolarmente contro la simonia e il concubinato del clero, le quali decisioni furono poi promulgate in un Sinodo romano, convocato nella Quaresima del 1074. Proprio in questa occasione fu dunque sancito l’obbligo del celibato per i sacerdoti cattolici.

Contemporaneamente Gregorio VII lavorò indefessamente per l’affermazione della superiorità della Chiesa sull’Impero. A tal proposito, nel 1075,  compose il “Dictatus  papae”, raccolta di affermazioni sul primato del vescovo di Roma, col quale veniva istituita una nuova ecclesiologia, secondo la quale il papa era “vescovo dei vescovi”, Roma “caput ecclesiae” (centralismo romano) e ogni singolo credente era suddito del vescovo di Roma.

In questa circostanza vennero a trovarsi dalla parte dell’Imperatore non solo vescovi ostili a detto Dictatus, ma anche ecclesiastici di notevole levatura morale e non meno del pontefice impegnati contro la simonia e il concubinato del clero, quali Dionigi di Piacenza, Guido d’Acqui e Guiberto di Ravenna ( futuro antipapa Clemente III), ma decisamente contrari alla concezione gregoriana del primato papale.

Comunque nei secoli successivi la superiorità della Chiesa rispetto all’Impero divenne, relativamente presto, un fatto storicamente superato. Invece l’obbligo di celibato per i sacerdoti cattolici è rimasto costantemente in vigore per circa un millennio e addirittura il 26 giugno 1967, cioè dopo il Concilio Vaticano II, è  stato formalmente riconfermato da papa Paolo VI con l’enciclica “Sacerdotis Caelibatus”.

Tuttavia attualmente come in passato nelle Chiese cattoliche di  rito orientale non c’è obbligo di celibato. Inoltre già Pio XII concesse ai sacerdoti anglicani passati alla Chiesa cattolica di continuare il proprio ministero, restando sposati e uniti alla famiglia; analoga concessione è stata fatta più di recente da papa Benedetto XVI ad altri preti provenienti dall’anglicanesimo.

Non è facile accertare in che misura si sia ridotto, dal 1074 ad oggi, il concubinato dei preti.
Invece è assolutamente certo quanto segue.
in Italia fino al 1969 oltre 6000 (seimila) preti, essendosi sposati senza la dispensa pontificia, sono stati costretti ad abbandonare il loro ministero e intraprendere altre attività, anche manuali, per poter sostenere la famiglia  ( v.  Adolfo Percelsi, quotidiano “La Stampa”, 1 febbraio 1969);  
nel tempo sono spesso emerse a carico di sacerdoti altre devianze a carattere sessuale, quali i rapporti omosessuali e la pedofilia, commesse ovviamente soprattutto da soggetti che per natura non erano portati a sposare una donna. Devianze queste che sempre  vengono a galla in maniera clamorosa, come è avvenuto recentemente nelle seguenti circostanze.

Il 3 ottobre u.s. il Corriere della Sera ha intervistato il sacerdote polacco, fra l’altro membro della Pontificia Congregazione della Fede e docente di Teologia nelle Università romane Gregoriana e Regina Apostolorum,  mons. Krzysztof Charamsa, il quale ha confessato di essere omosessuale e di avere un compagno, insieme al quale è poi apparso in atteggiamento affettuoso nel Tg3.  

Lo scorso 7 ottobre La7, nel corso della trasmissione pomeridiana “l’aria che tira”, ha intervistato il sacerdote trentino Gino Flain, il quale ha giustificato i preti pedofili(*), precisando testualmente: “Perché io sono stato tanto a scuola e i bambini li conosco. Purtroppo ci sono bambini che cercano affetto, perché non ce l’hanno in casa. E magari se trovano qualche prete, può anche cedere insomma. E lo capisco questo”.
Purtroppo il numero dei sacerdoti viene costantemente ridotto sia  dalla inarrestabile crisi delle vocazioni che dalla riduzione allo stato laicale dei preti sposati nonché di quelli pedofili o omosessuali dichiarati. Perciò diventa sempre più difficile garantire anche solo la Messa domenicale in ogni comunità cattolica. In Amazzonia (Brasile), per esempio, su 800 realtà ecclesiali si contano appena 27 presbiteri per 700mila fedeli. L’eucaristia è celebrata 2 o 3 volte l’anno, mentre la confessione è un miraggio.

CHE FARE?
Alcuni propongono il reintegro, previa apposita indulgenza pontificia, di coloro che hanno scelto la via del matrimonio, partecipano alla vita ecclesiale, ma hanno il divieto di celebrare la Messa: si stima che nel mondo essi siano oltre 100mila. Altri avanzano la proposta che sia concessa l’ordinazione sacerdotale a viri probati, cioè a uomini sposati di provata fede e rettitudine.

Considerato che nella nostra epoca, caratterizzata dagli sfaceli matrimoniali, sia gli ex preti con famiglie esemplari sia i viri probati, se fossero chiamati al ministero sacerdotale, potrebbero svolgere con particolare competenza la cosiddetta pastorale familiare, entrambe le proposte sono veramente di buon senso e, quindi, pienamente accettabili.

Concludo queste mie brevi e modeste considerazioni con la certezza che Papa Francesco presto saprà trovare la migliore soluzione possibile per l’annosa crisi del Clero. 

(*) Si noti che la pedofilia è reato punito, ai sensi dell’art. 609 del C.P., con la reclusione da 5 a 10 anni.                                                                                                                        

Pietro Congedo

lunedì 25 maggio 2015

Professori e Alunni Del Regio Liceo – Ginnasio “P. Colonna” di Galatina caduti nella Grande Guerra 1915 – 1918



Il 24 maggio 1923 in onore dei professori e degli alunni del Liceo-Ginnasio di Galatina, morti nella Grande Guerra,  venne inaugurato un monumento, murato sulla facciata ovest dell’ex convento dei P.P. Domenicani, attualmente ‘Palazzo della Cultura’, che all’epoca era la sede dell’Istituto scolastico. Detto monumento consiste in un’artistica targa di bronzo, circondata da tre lapidi marmoree.
Sulla lapide centrale è incisa una nobile epigrafe commemorativa dettata dal preside pro tempore, prof. Nicola Matera, mentre i nominativi dei Caduti sono distribuiti tra quella che è sinistra e l’altra che è a destra.
Si riportano qui di seguito il testo dell’epigrafe e l’elenco dei Caduti. Inoltre per ogni Caduto oltre al grado ed al nominativo, già incisi nel marmo, vengono ora riportati il luogo e la data sia della nascita che della morte ed eventuali altre notizie.
ATENE E ROMA / MAESTRE DI LIBERTA’ / L’ODIO IN NOI ACCESERO CONTRO I TIRANNI / IL PENSIERO DEI FILOSOFI LA VOCE DEI POETI IL SANGUE DEI MARTIRI /  EDUCARONO LE MENTI E I CUORI NOSTRI / AL CULTO DELLA PATRIA / ITALIA AVANTI TUTTO ITALIA SU TUTTO/ IN QUESTE AULE SCOLASTICHE SOGNAMMO E SEGUIMMO / NEL TRIONFALE CAMMINO SEGNATO DAI FATI / PER LEI / SUI CAMPI DELL’ONORE / SANTAMENTE COMPIMMO IL SUPREMO SACRIFIZIO / PER LEI / DALLA FREDDE ZOLLE OVE NUDE GIACCIONO LE NOSTRE OSSA / PACE FECONDA / DI SAPIENZA DI AMORE E DI VIRTU’ / DI LAVORO DI LIBERTA’ E DI GLORIA  / ORA E NEI SECOLI CHIEDIAMO ANELANTI ALLE FUTURE GENERAZIONI
                                                                                                                                                                     N. MATERA
1 – Cap. Panico Giuseppe fu Pietro, n. a Galatina l’11.08.1868 e m. a Taranto il 05.08.1915.
2 – Cap, Bardoscia Alberto di Carlo, n. a Galatina il 23.09.1889, gravemente ferito sul M. Sei Busi, morì nell’ospedale di Airola il 06.01.1918 e venne  decorato con medaglia d’argento.   
3 – Ten. Medico Gorgoni Nicola fu Filippo, n. a Galatina il 25.07.1886 e m. a Verona l’01.11.1918.
4 – Ten. Medico Scupola Luigi, n. a Specchia il - -.- -.- - - - e m. a Verona l’11.11.1918.
5 -  Ten. Del Genio ing. Basurto Fedele fu Nicola, n. a Racale il - -. - -. - - - - e morto a Palmanova il 29.10.16.
6 - Ten. Venturi Giseppe di Ferrante, n. a Galatina il 22.07.1889 e m. a Oppecchiasella il 17.09.1916, durante la VI battaglia dell’Isonzo.
7 – Sottoten. Leante Ernesto, n. a Galatone l’01.01.1891 e m. a Castelnuovo del Carso il 05.07.1915, durante la prima battaglia dell’Isonzo
8 -  Sottoten. Villani Gaetano, n. a Galatina il 13.06.1896, morì a Monte S. Michele il 26.07.1915, durante la seconda battaglia dell’Isonzo, e venne decorato con medaglia si bronzo e con croce al merito di guerra.      
9 – Sottoten. Albanese Antonio di Biagio, n. a Torino il 15.09.1899 e m. a Monte Asolone (del gruppo del gruppo del M. Grappa) 04.06.1918, durante la battaglia del solstizio o del Piave.
10- Sottoten. Congedo Pantaleo di Liberato, n. a Galatina il 22.04.1895 e m. a S. Pietro all’Isonzo Il 21.10.1915, durante la terza battaglia dell’Isonzo.  
11- Sottoten.  Arditi Eugenio, n. a Presicce il - -.- -.- - - - e m. a Monastir di Treviso il 18.06.1918, durante la battaglia del solstizio o del Piave.
12- Serg. Magg. Capani Antonio di Ferdinando, n. il 27.05.1888 e m. il 21.07.1915 nell’Ospedale da Campo n.64, durante la seconda battaglia dell’Isonzo.
13- Caporale Antonaci Pompilio fu Cosimo, n. a Galatina il 30.01.1891 e m. a Conca di Plezzo il 26.11.1915 durante la IV battaglia dell’Isonzo.
14- Soldato Scarcella Ferdinando, n. ad Acquarica del Capo il - -.- -,- - - - e m. Mestre in O. da C. il - -.- -. - -.
15- Soldato Vallone Liborio fu Donato, n. a Galatina il 19.11.1894 e m. a Bosco Varagne il 25.08.1915.
16- Soldato Duma Castese fu Giuseppe, n. a Galatina il 07.01.1883 e m. il 17 agosto 1916 nella Sez. Sanità, durante la VI battaglia dell’Isonzo.
17- Soldato Greco Francesco – medico, n. a Caprarica di Lecce il 02.02.1889 e m. a Zuara (Libia) il 26.12.1918, verosimilmente vittima dei ribelli Senussi.
18- Cap. Ferrarese Giuseppe di Antonio, n. a Galatina 30.05.86 e m. il 02.11.15 a Sella di S. Martino del Carso, durante la IV battaglia dell’Isonzo.
19- Ten. Medico Frigino Domenico fu Nicola, n. ad Aradeo il 15.07. 1889 e m. a Taranto il - -.- -.- - - - .
20- Aspirante ufficiale medico Rizzelli Ippazio, n. a Spongano il - -.- -.- - - - - e m. a Cormons il 22.10 1917.
21- Ten. Giaccari Francesco, nato a Ruffano il - -.- -.- - - - e m. a S. Martino del Carso il 10.11. 1915, durante la IV battaglia dell’Isonzo.
22- Ten.  De Filippo Alfredo, n. a Matino il - -.- -.- - - - e m. a Castelnuovo il 10.08.1915, durante la seconda battaglia dell’Isonzo..
23- Sottoten. Tundo Giuseppe fu Angelo, n. a Galatina il 25.02.1890 e m. a Monte Zebio, sull’Altopiano di Asiago, il 22.07.1916 nella lotta per contenere la ‘spedizione punitiva’ degli austriaci.
24- Sottoten. Marzo Luigi, n. ad Acquaviva del C. il 25.03.1894 e m. a Monte S. Michele il - -. - .- - - - .
25- Sottoten. Tondi Tommaso di Fortunato, n. a Noha l’08.04.1896 e m. ad Asiago il 20.06.1916, nel corso della lotta per contenere la ‘spedizione punitiva’ degli austriaci.
26- Sottoten. Maniglio Vincenzo, n. a Zollino il 22.03.1895, morto sul Campo il 19.09.1917, verosimilmente durante la battaglia del Monte Ortigara.
27 – Sottoten. Pedaci Angelo, n. ad. Acquarica del Capo il 30.05.1892 e m. a M. S. Michele il 20.07.1915, durante la seconda battaglia dell’Isonzo.
28 -  Sottoten. Micheli Vincenzo di Mario, n. a Galatina l’01.01.1897 e m. Zenzon Piave il 20.11.1917, durante la ritirata di Caporetto.
29 – Sottoten. Notaro Pietro di Giovanni, n. a Galatina il 17.04.1886 e m. a S. Pietro Feletto il 30.10.1918, cioè nel giorno in cui le truppe italiane, occupando Vittorio Veneto sfondavano il fronte nemico.
30 – Serg. Magg. De Vito Giuseppe, n. a Galatina il 26 marzo 1890 e m. a Bosco Castelnuovo il 05.07.1915 durante la prima battaglia dell’Isonzo.
31 – Caporale Martines Carlo di Vito, n. a Galatina il - -.- -.1890 e m. nell’Ospedale da Campo n. 60 il 07.06.1917, durante la battaglia del Monte Ortigara.
32 – Soldato Angelelli Ludovico Paolo, n. a Sogliano C. il 26.01.98 e morto prigioniero a Milonitz - Boemia il 28.10.17.
33 – Soldato Tanza Domenico fu Francesco, n. a Galatina l’08.03.1887 e morto sul fronte occidentale a Rennes - Francia il 07.09.1916.  
Dal soprariportato elenco si evince che dei 33 Caduti, 19 erano i galatinesi e 14 i provenienti da altri comuni. Questi ultimi quasi certamente erano ospiti del Convitto “P. Colonna”.  
Nel chiostro dell’edifico, almeno fino a metà del secolo scorso, erano esposti i ritratti dei suddetti, a cui le famiglie mandavano fiori, specie nelle ricorrenze patriottiche.
Al fine di mantenere alto e presente nell’animo della gioventù il sentimento di riverenza e di gratitudine verso i gloriosi Caduti per la Patria, con R. D. 9 dicembre 1923, n. 2747 fu istituita in ogni Comune una Guardia d’onore, a cui era affidata la custodia ideale dei Monumenti e dei Parchi della Rimembranza.
La Guardia d’onore faceva servizio nei giorni delle celebrazioni patriottiche e occupava un posto distinto nella formazione dei cortei. I componenti (per le Scuole Classiche, due di ogni classe del Ginnasio inferiore) erano scelti tra gli alunni risultati migliori negli esami e nello scrutinio del primo trimestre, con preferenza – a parità di merito – per gli orfani di guerra e per gli iscritti all’Opera Nazionale Balilla.
Guardia d’onore nell’a. s. 1930  - 1931
I   ginnasiale: Vantaggiato  Luigi e Ancora Felice;
II  ginnasiale: Barone Pasquale e Burlizzi Cosimo;
III ginnasiale: De Fabrizio Antonio e Savina Antonio;
Caporale: Savina Antonio.
N.B. A Galatina il grandioso Monumento ai Caduti di piazza Alighieri è stato inaugurato il 2 luglio 1928, quindi quello in onore di ‘professori e alunni del Liceo Ginnasio P. Colonna, caduti nella grande guerra’, inaugurato il 24 maggio1923,  è stato eretto più di cinque anni prima.
Pietro Congedo

martedì 10 marzo 2015

Recensione de "La grande guerra 1915-1918 e la partecipazione dei Galatinesi"


Recensione a cura del Rev. Antonio Santoro apparso il 6 marzo 2015 su "galatina.it"

Il libro del prof. Pietro CongedoLa grande guerra 1915-1918 e la partecipazione dei Galatinesi”, Edit Santoro, (prefazione di Pietro Giannini), in questo tempo critico per la stabilità mondiale, risveglia la drammaticità dell’evento bellico e ci fa affermare con papa Benedetto XV che la guerra è: “un inutile strage”.

Il testo, infatti, non è un freddo “libro di storia”, commemorativo del centenario della prima guerra mondiale del 1915-1918, ma un ricordo vivo, come afferma l’autore stesso, “una rimembranza scritta per esortare i galatinesi di oggi, e particolarmente i più giovani, ad essere devotamente grati alle centinaia di propri concittadini che vi parteciparono, sacrificando la vita o la propria integrità fisica per il completamento dell’Unità d’Italia”.
Il testo si suddivide in due parti. La prima presenta la situazione italiana della grande guerra seguendo un ordine cronologico dal 1914 al dopo-guerra del 1919, senza la partizione classica in capitoli.

Questa parte è corredata da scritti a “presa diretta” di vari autori noti. Il realismo delle testimonianze fanno prendere coscienza al lettore del grande sacrificio sofferto dai soldati durante le battaglie e in trincea, ma anche della cattiveria di alcuni “ordini superiori”. Le pagine di questa prima sezione aiutano a collocare in maniera precisa la partecipazione dei galatinesi al conflitto, descritta nella seconda parte. Questa sezione, oltre a presentare gli elenchi dei caduti inquadrati nelle varie battaglie, i prigionieri, i dispersi e i morti per malattia contratta in servizio, descrive anche la reazione dei galatinesi alla guerra e la benemerita opera di assistenza sostenuta dal sindaco Vito Vallone.

Il libro è arricchito con foto, note, una cartina che segnala il confine italo-austriaco durante l’avanzata italiana e in appendice, con un saggio, molto interessante, sulla pace “vessatoria” della Conferenza di Parigi a cura dello studente Davide Bestagno del IB Impington Village College Cambridge UK.

Un plauso sentito va al prof. Congedo che con questo ulteriore dono, testo unico nel suo genere tra i libri di storiografia locale, ha il merito di togliere dall’oblio l’interminabile elenco di morti inciso sulla pietra del Monumento ai Caduti e di farci ascoltare il grido del sangue delle giovani vite stroncate che, dopo cento anni, ancora grida: “Pace!!!”.

Il libro sarà presentato il 20 marzo 2015, alle ore 18.30, presso la Sala Pollio della Parrocchia San Biagio V. di Galatina.