lunedì 14 aprile 2014

I Castriota Scandembergh, duchi di Galatina




Alcuni anni fa ho cercato di consultare presso la biblioteca “P. Siciliani” di Galatina  un estratto dalla ‘Rivista Storica Salentina’del luglio 1903, costituito di 32 pagine della stessa (da p.152 a p.183), nel quale è riportato un saggio di Umberto Congedo[1], intitolato appunto ‘I Castriota Scandembergh / Duchi di Galatina (1485 – 1561).  Allora, però,  non mi fu possibile  portare a termine detta consultazione, poiché da quel fascicolo era stato asportato il foglio centrale, causando un salto di quattro pagine, e precisamente dalla p.19 alla p.22 (corrispondenti alle pp. 167-170 della rivista). Ovviamente non si sa chi sia stato l’autore del “misfatto”, avvenuto verosimilmente in tempi remoti.

Mi sono, quindi, domandato: perché  lo sconosciuto lettore ha sottratto il suddetto foglio, mutilando il testo del saggio? Forse vi ha trovato qualcosa di molto interessante?   
Per avere una risposta sarebbe bastato consultare la suddetta ‘Rivista Storica Salentina’, la quale, purtroppo, non era però a portata di mano, in quanto mai posseduta dalla “Siciliani”.

Ultimamente, essendo stata istituita presso la Biblioteca Comunale di Galatina una Mediateca, c’è la concreta possibilità di consultare pubblicazioni del passato, purché i loro contenuti siano stati registrati in appositi file.
Pertanto qualche settimana fa la solerte addetta alla Mediateca, sig.ra Beatrice Ghezzi, nel giro di qualche minuto, coadiuvata dal collaboratore distributore della biblioteca, Donato Grandioso,  mi ha potuto fornire il testo completo del lavoro di Umberto Congedo. 

Così ho appurato che il foglio sottratto contiene, fra l’altro, quanto segue[2]:

« […] A  poco a poco colla violenza e colla paura il duca avea tolto ai Galatinesi tutti i loro antichi privilegi. Si era intromesso nell’amministrazione della giustizia da una parte assicurando l’impunità ai delinquenti che potessero pagarla, dall’altro incarcerando…e  torturando i cittadini nelle prigioni del castello, accusandoli  ingiustamente di trasgredire alle leggi di pubblica sicurezza…, estorcendo da loro onerosi pagamenti per spese processuali. Ai cittadini imponeva gravami di ogni sorta: li reclutava come soldati […] toglieva loro ogni libertà ed ogni indipendenza nella elezione dei propri magistrati […]. Le tasse e i balzelli si riscuotevano a beneplacito del duca riguardo al tempo ed alla quantità, approfittando di tutto perfino del denaro destinato dall’Università al Capitano della stessa corte ducale. La proprietà privata era in tutto manomessa: i cittadini  dovevano aprir le loro case ed alloggiare chi al duca piacesse; non potevano tutelare le proprie possessioni dalle mani avide dei dipendenti del duca, che allegerivano ai contadini le fatiche della raccolta, e dal pascolo abusivo delle greggi ducali […]. 

I Galatinesi dopo una prima ribellione piegarono il capo, ma, ridotti agli estremi, lo risollevarono se non colla violenza col reclamare i loro diritti […], ottenendo capitoli che il duca giurò di rispettare  e permise che su di essi cadesse il sugello della reale approvazione.[…].  Eppure con quei capitoli, sanzionati dal vicere, con diploma del 14 agosto 1514, i Galatinesi avevano rinunziato, pur di vivere in pace, a non pochi dei loro privilegi.
Ma le buone intenzioni del duca, se pur mai n’aveva avute, durarono poco; e le prime  avvisaglie si ebbero in due liti dello stesso con i frati olivetani custodi e gerenti dell’Ospedale di S.Caterina: la prima per la riscossione delle tasse fiscali, la seconda  per la giurisdizione di tre  casali. 

La prima fu risolta … da un ordine di Ferdinando il Cattolico, dato il 25 ottrobre 1515, col quale proibiva  al duca di S. Pietro in Galatina l’esigere le funzioni fiscali delle terre feudali dello spedale di S. Caterina […].
La seconda lite, relativa alla grave prevaricazione ai danni del nosocomio riguardante l’amministrazione della giustizia sia penale che civile, che il duca esercitava senza averne titolo nei casali di Aradeo, Bagnolo e Torrepaduli, percependone i diritti.
La giurisdizione criminale su detti casali, essendo stata un diritto degli Orsini del Balzo, dopo l’estinzione della loro casata era passata a Ferrante I d’Aragona e quindi alla corona di Napoli. Spettava dunque al re di Napoli pro tempore amministrarla direttamente o assegnarla a un feudatario. Invece il duca non solo se ne era di fatto appropriato durante la guerra franco-spagnola, ma tendeva anche ad invadere il campo della giustizia civile, che tradizionalmente era amministrata dalla curia cateriniana.

Nel 1515 il Capitolo degli Olivetani avea chiesto a Ferdinando il Cattolico che nei tre casali suddetti il Monastero potesse eleggere ogni anno due magistrati per amministrar la giustizia; uno di questi approvato dal duca dovesse risolvere (per conto del medesimo) le cause criminali, mentre l’altro avrebbe amministrato per conto dell’Ospedale S. Caterina la giustizia civile che, come disposto dal sovrano, comprendeva ogni reato che non comportasse la pena di morte o di mutilazione di membra.

Ma gli stessi Olivetani, temendo nuove prevaricazioni del duca, nel 1530 acquistarono da lui i diritti della giurisdizione criminale, cedendogli in cambio il feudo non abitato di Petrore.
Intanto nel 1518 il sindaco di Galatina, Giorgio Mori, si era recato in Spagna per domandare alle loro Maestà, Carlo V e Giovanna, con alcune nuove concessioni la ratifica dei patti stabiliti tra Galatina e il duca. Questa richiesta fatta direttamente ai Sovrani e non al Vicerè  prova che il duca  non era molto proclive a mantenere i patti […].
Infatti non passò molto e li violò così apertamente e con tanto danno, che Galatina ricorse al vicerè, e mandò a Napoli a patrocinar la sua causa Marcantonio Zimara e Pietro Vernaleone. Il vicerè Carlo di Mannoja spedì a Galatina Carlo della Noa per inquisire sui soprusi e sulle iniquità del duca. Lo accolsero i Galatinesi come liberatore, ma gli intrighi e il denaro del (duca) finirono coll’aver ragione.
Dopo la pestilenza del 1528 scoppiò la guerra tra Francia e Spagna e familiari del duca  di Galatina, con proprie truppe, parteggiarono attivamente a favore della seconda contribuendo al recupero di tutte le terre e città della Provincia alla divotione di Carlo V. Tale avvenimento, aumentando la benevolenza dell’imperatore per la famiglia ducale, finì con l’accrescere la superbia e la crudeltà del  duca. “Costui, scrive il Papadia (a pag. 20 delle sue Memorie storiche della città di Galatina nella Japigia Napoli, 1792), seguiva a carcerare i Galatini dentro il sotterraneo ed oscuro fosso; sacrificò alle sue vendette il nobile cittadino Bernardino Morrea, intrepido difensore della patria, si abbandonò alla dissolutezza e strappò dal seno di alcune famiglie molte fanciulle di cui abusò, e prese in prestito varie somme dell’università senza mai restituirle.” Perciò l’Università di Galatina presentò al sovrano un nuovo ricorso, che comunque non fu  l’ultimo.» 
Umberto Congedo a conclusione del suo saggio afferma: Dell’ultimo periodo della dominazione di Ferdinando Castriota [ovvero del duca più volte citato] nulla sappiamo: forse al leone invecchiato caddero gli unghioni laceratori? Ai 27 dicembre del 1561, fortunatamente senza prole maschile, moriva il Duca crudele e gli succedeva nel dominio la (bellissima) figlia Irene, moglie a Pietro Antonio Sanseverino principe di Bisignano.
Nonno del duca Ferdinando Castriota fu Giorgio Castriota Scanderbegh (1403 – 1468), invitto difensore della libertà dell’Albania, il quale durante una tregua della sua continua lotta contro i Turchi venne in Italia per aiutare il re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, nel conflitto con Giovanni d’Angiò. Per questo nel 1464 il sovrano compensò il Castriota donandogli i feudi pugliesi di Monte Sant’Angelo e S.Giovanni Rotondo.
Giorgio morì di malattia nel 1468 mentre difendeva Croia, la città albanese di cui era signore, assediata dai Turchi. Sua moglie Andronica e il figlio Giovanni, dopo la caduta di detta città, si trasferirono nel Regno di Napoli e quindi nei propri feudi del Gargano. Di questi feudi, però, nel 1485 re Ferrante richiese la restituzione, concedendo in cambio la Contea di Soleto e S. Pietro in Galatina, la quale aveva una rendita annua di 1800 ducati ed era  tornata al regio demanio.
Giovanni Castriota al titolo di ‘Conte di Soleto’ preferì quello di ‘Duca di S. Pietro in Galatina’. Ma la Città, che dal 1879 godeva i benefici della demanialità, accolse il nuovo feudatario con  ostilità tale da richiedere l’intervento del Re, il quale, dopo aver costretto con la forza i galatinesi a riconoscere il Duca, li condannò a pagare all’erario una multa di 8.000 ducati, poi dimezzata.
Dal canto suo Giovanni Castriota esercitò il suo potere con ogni sorta di vessazioni nei confronti dei sudditi. Ma suo figlio Fedinando, che gli succedette intorno al 1505, “…fu più fiero e feroce del padre, la sua gigantesca figura e il suo terribile aspetto annunziavano il carattere del suo temperamento e delle sue inclinazioni. Superbo, fiero, crudele e dissoluto altra regola non conobbe, che i suoi piaceri e il suo vantaggio…” (v. Baldassar Papadia, o. c., p.20).   
Ai coniugi Pietro Antonio Sanseverino e Irene Castriota succedette il figlio Nicolò Bernardino, che morì senza eredi nel 1606, per cui il ducato di Galatina tornò alla regia Corte.

Pietro Congedo

[1] Umberto Congedo è stato il 1° professore di lettere italiane, latine e greche del Liceo di Galatina, istituito con funzionamento graduale a partire dall’a.s. 1898– 99 con delibera del Consiglio Comunale n.70/2 settembre 1898, approvata dal Consiglio Provinciale Scolastico il successivo 1° ottobre.

[2] Solo i brani scritti in corsivo sono testuali del saggio di Umberto Congedo.