giovedì 30 maggio 2013

Nel 1926 il primo 'Pronto Soccorso' di Galatina


Un “servizio di pronto soccorso” fu istituito per la prima volta a Galatina nel 1926, ma non nell’Ospedale Civile, nel quale purtroppo l’ambulatorio chirurgico funzionava nei giorni pari della settimana e soltanto per un’ora, mentre addirittura mancava il medico di  guardia, che potesse in ogni momento intervenire nei casi urgenti dovuti a ferimenti, infortuni ed altre cause violente.    
Molto opportunamente, quindi, il 2 agosto 1926 entrò in funzione l’ISTITUTO POLITERAPICO / CON POSTO DI PRONTO SOCCORSO IN TUTTE LE ORE, avente sede in via Del Balzo, 35 e via Garibaldi, 32 – Galatina. In  esso prestavano la propria opera i dottori: 
  • Salvatore Tarantino– chirurgia, 
  • Augusto Leante – otorinolaringoiatria, 
  • Nicola Megha – malattie interne e dei bambini,  
  • Antonio Russo – malattie degli occhi, 
  • Nicola Bardoscia e Felice Capano – consultazioni e cure medico-chirurgiche, 
  • Paolo Vernaleone – malattie urinarie, sifilitiche e della pelle. 

La Sezione chirurgica (degenza e operazioni) si trovava in un altro stabile, sito in via Guidano.


In particolare il “servizio di pronto soccorso” era stato affidato ai dottori Felice Capano e Paolo Vernaleone. Questi il 1° settembre indirizzarono una lettera al Commissario Prefettizio Giacomo Palmisani (all’epoca reggente del Comune), alla quale allegarono il ‘resoconto clinico’ del proprio lavoro,  svolto dal 2 al 31 agosto e consistente nell’aver di giorno o di notte soccorso e curato con sollecitudine complessivamente n.33 pazienti.
I due sanitari, ritenendo “non disprezzabile” l’attività svolta in un solo mese, nel loro scritto pregavano il Commissario di considerare che in Città “la classe dei poveri era abbastanza estesa” e proprio in essa più frequentemente si verificavano “casi di pronto soccorso”, per  far fronte ai quali occorreva sia l’opera del medico che la disponibilità “di materiale costoso (medicatura e medicinali)”.
Gli stessi concludevano affermando testualmente: «Nella certezza che la S.V. vorrà  dare il giusto valore a quanto sopra è detto, e che per conseguenza il Comune, dalla S.V. sì degnamente rappresentato, vorrà contribuire ad un’istituzione così eminentemente umanitaria e necessaria ad un centro tanto importante, ci permettiamo chiedere che ci venga dato un assegno annuo tale da metterci in condizione da poter prestare le nostre cure ai poveri del tutto gratuitamente».
Questa richiesta fu parzialmente soddistatta dal responsabile pro-tempore dell’Amministrazione Municipale, che adottò la delibera relativa allo stanziamento a favore dell’Istituto Politerapico del sussidio annuo di lire 1200, quale rimborso delle spese per il materiale chirurgico occorrente in ogni singolo intervento richiesto, più che per compenso professionale ai due medici.
Tale contributo fu confermato in ognuno degli anni successivi con delibera regolarmente approvata dal R.Prefetto di Lecce. Tuttavia nel dicembre 1932 il podestà Domenico Galluccio, constatato che per l’esercizio finanziario 1933 non vi era un apposito stanziamento, ma il relativo fabbisogno poteva essere prelevato dal fondo di riserva, inserì nel testo del bilancio comunale 1933 un nuovo articolo, denominandolo: “Contributo per il pronto soccorso - categoria settima (beneficenza pubblica) del Capo 3°”. Operazione questa finalizzata a rendere possibile l’adozione della delibera podestariale n. 197 / 31 dicembre 1932, con la quale fu ufficialmente istituito “il servizio di pronto soccorso gratuito per tutti i bisognosi poveri del Comune per i casi in cui fosse richiesto l’immediato intervento medico-chirurgico, presso l’Istituto Politerapico di Galatina diretto dai dottori Paolo Vernaleone e Nicola Bardoscia […]”, ai quali veniva corrisposta annualmente la somma di £ 2.500, quale rimborso spese e compenso per il servizio che dovevano prestare giorno e notte.
Successivamente, avendo la Prefettura invitato l’Amministrazione Comunale di Galatina a compilare un regolamento per la disciplina dello stesso “servizio di pronto soccorso” (v. nota n.10102 del 29 maggio 1932), il Podestà, cav. Domenico Galluccio, completò il 24 giugno 1933 la suddetta delibera n. 197 / 31 dicembre 1932 con il il seguente documento:
COMUNE  DI  GALATINA
REGOLAMENTO
per il disciplinamento del servizio di pronto soccorso
    Art.1 E’ istituito nel Comune di Galatina, ed affidato all’Istituto Politerapico locale, il servizio di pronto soccorso finanziato dal Comune con i mezzi annualmente stabiliti ed appprovati nei modi di legge.
   Art. 2  Il fine che si prefigge l’istituzione è quello di prestare prontamente e gratuitamente le prime cure medico-chirurgiche, in tutti i casi d’urgenza per i quali è richiesto l’immediato intervento del sanitario, a beneficio degli iscritti all’elenco dei poveri del Comune aventi diritto all’assistenza pubblica gratuita.
   Art. 3  Possono avvalersi del servizio di pronto soccorso, sempre nei casi d’urgenza di cui all’art. precedente, anche i poveri di passaggio, appartenenti ad altri Comuni, con facoltà di rivalsa di onorari e spese a carico dei Comuni stessi, nonché tutti gli abbienti che corrispondano all’Istituto Politerapico le competenze stabilite dalla tariffa approvata dal Sindacato Medico.
   Art. 4  Il  servizio di pronto soccorso per l’assistenza gratuita dei poveri del Comune è disimpegnato dai medici chirurgi Ernesto (detto Paolo – n.d.r.) Vernaleone e Bardoscia  Nicola (che intanto aveva rimpiazzato il dott. C. F.Capano – n.d.r.), entrambi membri di detto Istituto Politerapico, ai quali il Comune corrisponderà un assegno annuo, oggetto del finanziamento di cui all’art. 1, a titolo di compenso e di rimborso delle spese per il  funzionamentodel servizio stesso.
   Art. 5   L’opera di pronto soccorso dei Sanitari sarà prestata nei locali dell’Istituto in qualsiasi ora del giorno e della notte per tutti i casi di urgenza, nessuno eccentuato, semprechè la necesità di un bisogno immediato di cura sia stata constatata dagli stessi Sanitari.
   Art. 6 Le persone colpite da grave infermità o gravemente ferite, che per trovarsi nelle condizioni indicate dagli artt. 2 e 3 del presente regolamento abbiano ricevute le prime cure nell’Istituto, se necessario saranno inviate all’Ospedale Civile locale, con le attenzioni e cautele migliori disposte dai sanitari curanti.  
   Art. 7    I sanitari dell’Istituto sono tenuti a sostituirsi reciprocanente, affinchè la puntualità e l’efficienza necessarie al funzionamento regolare del servizio non vengano sospese o menomate.
   Art 8  Nei casi di forza maggiore procuranti l’assenza o l’impedimento dei dottori dell’Istituto Politerapico, i medesimi dovranno preoccuparsi e disporre acciocchè il servizio non venga a mancare.       Art. 9    I Direttori dell’Istituto Politerapico sono responsabili delle irregolarità di servizio, ed il Podestà può sempre intervenire per provvedere alla ripresa del regolare funzionamento.
   Art. 10   Col presente regolamento s’intende fare riferimento, per l’osservanza doverosa che agli stessi Direttori viene di per sè attribuita, a tutte le altre disposizioni in materia contemplate dalle leggi sanitarie vigenti.         
Il Segretario Comunale (F.to Domenico Galluccio)                                                 Il Podestà (F.to Anselmo Fabris)                                     

La delibera podestariale n.197 / 1932, integrata da questo regolamento, fu approvata dal R. Prefetto il 1° giugno e dalla Giunta Provinciale Amministrativa (G.P.A.) il 14 luglio 1933, con provvedimento n.16281, perciò il podestà Domenico Galluccio in data 31 luglio ne trasmise copia al Direttore dell’Istituto Politerapico, invitandolo ad attenersi a tutte le condizioni stabilite nella stessa.
Intanto la G.P.A. con propria delibera del 7 febbraio 1933 aveva già disposto che il servizio di “pronto soccorso” dovesse essere istituito presso l’Ospedale Civile, che all’epoca era amministrato dalla Congregazione di Carità (C.d.C.), presieduta dal dott. Fedele Sambati. Ma questi il successivo 4 aprile, con nota n.510, aveva comunicato al R. Prefetto che le precarie condizioni economiche del Nosocomio non consentivano di istituirvi il suddetto servizio, per il quale era necessario assumere due medici di guardia.
Due anni dopo lo stesso presidente della C.d.C., Fedele Sambati, indirizzò al R.Prefetto una lettera, in cui dichiarava fra l’altro: “ …Trovandosi ora questa Amministrazione nelle condizioni di poter istituire detto servizio, si prega vivamente V.E. di voler dare le opportune disposizioni al sig. Podestà perché il servizio di pronto soccorso possa essere trasferito, alle identiche condizioni, a questo Ospedale Civile…”.
Il podestà D.Galluccio, ottemperando alla nota prefettizia n.14984 /16 luglio 1935, con la quale era stato sollecitato ad adottare i provvedimenti di sua competenza per l’istituzione del “pronto soccorso” nell’Ospedale, il 14 agosto 1935 chiese alla C.d.C. quali fossero le sue determinazioni in proposito. Il successivo 16 settembre il presidente F.Sambati rispose che responsabile del servizio sarebbe stato il capo- reparto di chirurgia, prof. Donato Vallone, mentre i medici addetti allo stesso sarebbero stati Carlo Massa e Maccagnano Giuseppe. Questi avrebbero avuto a disposizione una stanza per la permanenza notturna ed avrebbero utilizzato per il proprio lavoro le sale di medicazione, arredate com’erano per il servizio ospedaliero.
La deliberazione podestariale per l’affidamento del “servizio di pronto soccorso” all’Ospedale Civile, adottata il 7 dicembre 1935, ottenne l’approvazione del R. Prefetto il 14 gennaio 1936. In quest’ultima data quindi ebbe ufficialmente termine l’analoga attività, che a partire dal 2 agosto 1926 era stata ininterrottamente esercitata dal benemerito Istituto Politerapico ed in particolare dai dottori Nicola Bardoscia e Paolo Vernaleone.
Pietro Congedo

lunedì 20 maggio 2013

"La Puglia non è un binario morto. Ridateci i treni!"


Ricordando questa scritta, che campeggiava in un grande striscione esposto a Bari il 12 gennaio 2012 sulla facciata del palazzo della Presidenza della Regione Puglia, sono stato indotto ad occuparmi ancora una volta della “soppressione dei treni a lunga prercorrenza”, effettuata dalla S.p.A Trenitalia nel dicembre 2011. 

Di questo argomento ho già scritto sia su galatina.it  (24.03.2012) che su IL PICCOLO, quotidiano di Trieste (15.05.2012). In entrambi i casi ho evidenziato che i manager di Trenitalia nel dicembre 2011, mentre erano in corso le celebrazioni del 150° anniversario  dello Stato unitario, hanno mandato in vigore l’orario ferroviario invernale, col quale dividevano di fatto l’Italia in due ben distinte “sezioni territoriali”, proprio alla maniera della eversiva secessione dalla Nazione Italianadella fantomatica Padania, che la Lega Nord vagheggia e minaccia da decenni, fortunatamente senza riuscire ad ottenere risultati pratici.

Tra la “sezione territoriale–sud”(comprendente l’ex Regno delle Due Sicilie ed alcune Province dell’ex Stato Pontificio) e la “sezione territoriale–nord” (comprendente quasi tutte le Province centro-settentrionali), è stato quindi stabilito un vero e proprio confine, sia pure virtuale, che passa per Roma e Bologna. Infatti nell’una o nell’altra di queste due città debbono interrompere la loro corsa i  treni ICN (intercity notte), che in passato collegavano giornalmente  le località del Meridione a quelle del Settentrione della Penisola e viceversa, come veri simboli dell’Italia Unita.


Così, per esempio, i viaggiatori dell’ICN partito da Lecce alle 22.10, se intendevano andare a Trieste, dovevano trasbordare una prima volta a Bologna su un treno regionale per raggiungere Mestre-Venezia, e qui una seconda volta per poter arrivare a Trieste. Addirittura il trasbordo a Bologna era imposto anche ai viaggiatori delle due Frecce Azzurre diurne Lecce-Venezia.   Invece un trattamento migliore, ma solo in apparenza (in quanto comportava un notevole aggravio del costo del viaggio), era riservato ai viaggiatori dell’ICN partito da Lecce alle 23.20, i quali se erano diretti a Torino, giunti a Bologna potevano trasbordare sul treno denominato “freccia rossa” e in poco più di due ore essere a Torino.


Da tutto questo si desume che vero obiettivo dell’infausta “rivoluzione-secessione” prodotta  da Trenitalia a partire dal dicembre 2011 era soltanto quello di promuovere i “viaggi in freccia rossa”, che non tutti si possono concedere, specie in tempi di crisi economica.


Il titolo del presente articolo, tratto dallo striscione fatto esporre dal presidente Nichi Vendola, esprime bene il grave disappunto suscitato nel popolo dei vaggiatori dall’operazione di Trenitalia, che il vice-presidente dell’ANCI e sindaco di Bari, Michele Emiliano, definiva “insensata ed anticostituzionale” e, augurandosi il ripristino di almeno parte dei n.30 collegamenti soppressi, precisava: “I treni a lunga percorrenza del sud avevano il pregio di assicurare, durante la notte, collegamenti a costi contenuti, consentendo a chi doveva spostarsi per lavoro di poterlo fare anche con budget limitati, potendo risparmiare due notti in albergo”.


Lo stesso Emiliano con i sindaci di Lecce e Foggia e di altri comuni di Basilicata e Campania nel dicembre 2011, dopo lunga insistenza, riuscivano a farsi ricevere dall’amministratore delegato di Trenitalia, ing. Vincenzo Soprano, il quale aprì uno spiraglio alla revisione dell’orario ferroviario in questione. Ma nel corso dell’incontro gli stessi sindaci presero coscienza dei due deleteri retroscena seguenti:
  · Il Governo (allora presieduto da Berlusconi), pur essendo stato preventivamente informato del taglio dei treni, nulla aveva fatto per evitarlo;
  · Trenitalia aveva 6,5 miliardi di debiti (in parte verosimilmente contratti per la realizzazione dell’alta velocità), che il Governo non poteva sanare neppure in parte, poiché erano e sono vietati gli aiuti di Stato alle aziende privatizzate.


Una situazione già così precaria (destinata a peggiorare a causa della voluta rinuncia a sicuri introiti dai treni ICN e del più che probabile insuccesso economico dell’alta velocità), unita alla consapevolezza, che le stesse “frecce rosse” devono fare i conti con la concorrenza  dei treni ad alta velocità “italo” e che i voli aerei low cost sono economicamente più convenienti di ogni tipo di viaggio in treno, avrebbe dovuto dissuadere in partenza i manager di Trenitalia. dall’effettuare la sopraccitata “rivoluzione-secessione”, la quale a lungo andare potrà provocare alla stessa S.p.A. una fine come quella toccata qualche anno fa ad  Alitalia.  


Sempre alla fine del 2011 ebbe luogo un’audizione del nuovo Ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, in Commissione Trasporti della Camera dei Deputati, nel corso della quale i Parlamentari delle Regioni Meridionali posero sul tavolo la questione del trasporto pubblico, ivi compresa l’angosciosa situazione delle quasi 1000 persone rimaste senza lavoro a causa della soppressione dei treni notturni.


Comunque, nonostante i sopraccitati interventi, la revisione dell’orario ferroviario promessa dall’ing. Vincenzo Soprano non si ebbe neppure nel giugno 2012, in occasione della  pubblicazione dell’orario  estivo. Pertanto il presidente Nichi Vendola in un appello rivolto al Ministro della Coesione Territoriale, Fabrizio Barca, unico uomo di Governo ad aver mostrato sensibilità verso la Puglia, affermava fra l’altro: «Le forbici del profitto di Trenitalia e della incuria istituzionale dei tecnici (al Governo – n.d.r.) stanno frammentando ancor di più l’Italia, costruendo di fatto un paese a due velocità. Il diritto alla mobilità di ciascun cittadino è un diritto inviolabile. E invece, nonostante i miei ripetuti appelli del 2011 e del 2012, ad ogni cambio di orario ferroviario, invernale o estivo che sia, ci ritroviamo con qualche brutta sorpresa e con qualche sottrazione di tratta. …» (v. La Gazzetta del Mezzogiorno del 15 nov. 2012, pag. 15).


Verosimilmente proprio l’intervento del ministro Barca fece finalmente cessare l’assordante silenzio di Trenitalia che, pubblicando l’orario ferroviario invernale nel dicembre 2012, produsse l’attesa revisione migliorativa. Questa però si rivelò subito inferiore a tutte le aspettative, poiché si riduceva a modesti ritocchi, che praticamente lasciavano inalterata la sopralamentata divisione dell’Italia in due “sezioni territoriali”. Infatti tutti i treni I.C.N. provenienti dal Sud  hanno continuato ad aver il capolinea a Roma o a Bologna, dove i viaggiatori diretti a Nord-Est trasbordano solamente su treni regionali, mentre quelli diretti a Nord-Ovest possono anche prendere “le frecce rosse”. Da Lecce l’unica novità di rilievo consiste nella possibilità di prendere una “freccia bianca” al mattino o al pomeriggio per andare direttamente fino a Venezia, mentre in precedenza chi arrivava a Bologna con la “freccia bianca” doveva trasbordare su una “freccia azzurra” per andare a Venezia.


In presenza del persistente rifiuto di Trenitalia a ripristinare anche solo alcuni dei tanti treni a lunga percorrenza soppressi ci si aspetterebbe, sia sulla stampa che in rete, una corale protesta dei cittadini italiani ed in particolare di quelli del Meridione, validamente sostenuta da uomini politici di ogni livello e da tutte le organizzazioni sociali. Invece dal dicembre 2011 a tuttoggi sono state registrate solo proteste isolate, povere candele accese nel buio pesto dell’indifferenza o, peggio, della rassegnazione.


Quindi se la soppressione di tutti i treni a lunga percorrenza, avvenuta ad opera di Trenitalia, contribuirà ad allontanare l’Italia dall’Europa, di ciò siamo un po’ responsabili tutti noi italiani.

Pietro Congedo

giovedì 9 maggio 2013

A Galatina da oltre un decennio è negato il diritto di avere una Scuola Media autonoma




  In passato nel Comune di Galatina erano in funzione non solo i Circoli Didattici 1° (p.zza Cesari), 2° (via Spoleto) e 3° (via Arno), ma anche la  Scuola Media “G. Pascoli”(con sezione staccata a Collemeto), la Scuola Media “Giovanni XXIII” e la Scuola Media di Noha (via degli Astronauti). 
  I rispettivi 3 direttori e 3 presidi svolgevano il proprio ruolo conformemente al 1° comma dell’art. 3 del D.P.R. 31.05.1974, n. 417, che disponeva: « Il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; a tal fine presiede alla gestione unitaria di dette istituzioni, assicura l’esecuzione delle deliberazioni degli organi collegiali ed esercita le specifiche funzioni di ordine amministrativo, escluse le competenze di carattere contabile, di ragioneria e di economato che non implichino assunzioni di responsabilità proprie delle funzioni di ordine amministrativo. »
   Successivamente  è entrato in vigore  l’art. 25 – bis del Decreto Legislativo 6 marzo 1998, n. 59, il quale sancisce fra l’altro: « 1. Nell’ ambito dell’amministrazione scolastica è istituita la qualifica dirigenziale per i capi di istituto preposti alle istituzioni scolastiche ed educative alle quali è stata attribuita personalità giuridica ed autonomia  a norma dell’art. 21 della  legge 15 marzo, n. 29. […] 2. Il dirigente scolastico assicura la gestione unitaria dell’istituzione, ne ha la gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il dirigente scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative ed è titolare delle relazioni sindacali.    […] . 4. Nell’ambito delle funzioni attribuite alle istituzioni scolastiche, spetta al dirigente l’adozione dei provvedimenti di gestione delle risorse e del personale.   […]   »
   Quindi, in seguito all’istituzione della qualifica dirigenziale, le figure di direttore didattico e di preside sono state accorpate nell’unica figura del dirigente scolastico. Comunque, secondo i parametri stabiliti dal Ministero della P.I., un’istituzione scolastica per ottenere l’assegnazione di un dirigente titolare deve avere un numero di alunni superiore a 600 unità.
   Nel Comune di Galatina attualmente [come già alla fine del secolo scorso],  mettendo insieme gli alunni che frequentano quelle che in passato sono state la S.M. “G.Pascoli” (con sezione staccata a Collemeto), la S.M. “Giovanni XXIII” e la S.M. di Noha, si superano le 850 (ottocentocinquanta) unità. Tuttavia è stata a suo tempo scartata a priori l’evidente opportunità (se non obbligatorietà) di costituire un unico Istituto d’Istruzione Secondaria di 1° grado, preferendo invece la meno opportuna istituzione di n.3  Poli (o istituti comprensivi), corrispondenti ai 3 ex Circoli Didattici, ognuno integrato con uno o addirittura due “spezzoni”[due che nel 2013 da soli  contano complessivamente n. 687 iscritti frequentanti] delle 3 ex Scuole Medie, ai fini del superamento del limite dei 600 alunni. Così facendo, però, non è stato certamente reso un buon servizio né agli studenti galatinesi né agli stessi tre Dirigenti scolastici in carica.
    Infatti la costituzione (mancata !) in Galatina di un’unica Scuola Media avrebbe ovviamente comportato la creazione di almeno due Scuole dell’Infanzia e Primarie.
   Ciò avrebbe molto facilitato l’adozione delle decisioni di ordine didattico, che la legge demanda ai Collegi dei docenti, poiché nel caso specifico, ci sarebbero stati un collegio costituito da soli professori di scuola media e altri due composti da soli maestri. Pertanto, mentre il Dirigente assegnato alla Scuola Media, presiedendo il relativo Collegio, avrebbe dovuto organizzare “l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia formative” (come disposto dalla sopraccitata norma del 1998) soltanto relativamente ad alunni di età dagli 11 ai 14 anni, ognuno degli altri due dirigenti avrebbe dovuto curare la stessa organizzazione per bambini dai 3 ai 6  e dai 6 agli 11 anni, ossia proprio nei limiti previsti dagli ordinamenti del passato.
   Una tale facilitazione non è cosa da poco, ove si considerino i molteplici doveri ed impegni che le norme vigenti demandano al dirigente scolastico, tra cui quelli di carattere amministrativo– contabile e burocratico, che frequentemente finiscono  col prevalere su quelli di natura didattico-formativa. Cosa questa che non deve assolutamente avvenire, perché il dirigente scolastico, essendo stato un docente, può e deve mettere gli insegnanti del proprio istituto in condizione di far bene il loro lavoro. Non si tratta però d’imporre uno stile pedagogico piuttosto che un altro, ma di indirizzare (dirigere appunto) i docenti verso un lavoro di sempre maggiore efficacia formativa e quindi sempre più gratificante.    
  Istituti Secondari di 1° grado autonomi ci sono a Lecce e a Nardò. Anche a Maglie c’è una Scuola Media autonoma, nata dalla fusione dell’ex  Scuola Media “S. Panareo” e dell’ex Scuola Media “O. De Donno”.  
  Gli Istituti Comprensivi (Sc. dell’Infanzia + Sc. Primaria + Sc. Media) si addicono ai piccoli Comuni, nei quali ci sono oggettive difficoltà a superare il numero di 600 alunni frequentanti uno stesso tipo di scuola. Ma Galatina, che su una popolazione di oltre 27.000 conta nel 2013 più di 850 alunni di età compresa dagli 11 ai 14 anni, ha ben diritto di avere la propria Scuola Media autonoma.
   Pertanto è auspicabile che l’Amministrazione Comunale, i Consigli d’Istituto, i Collegi dei Docenti e i Dirigenti Scolastici, ognuno nell’ambito delle proprie competenze, si attivino sollecitamente per ottenere l’istituzione  della stessa per il prossimo a.s. 2013-14.

Pietro Congedo


domenica 5 maggio 2013

Il colera a Galatina. Storia di donne e uomini coraggiosi



   Tra il 1866 e il 1867 il Salento, come altre regioni d’Italia, fu fortemente colpito dal colera, malattia contagiosa causata dal batterio vibrio cholerae e trasmessa da acque ed alimenti infetti,  la quale si manifesta con astenia, febbre, vomito e diarrea imponente che porta a enormi perdite di acqua. La morte sopravviene per complicanze della disidratazione.

   Da fonti documentarie, da tradizioni locali ed anche da ricorrenze religiose, che si celebrano ancora oggi, sappiamo che dal febbraio 1867 la situazione sanitaria in alcuni centri del Salento andava sempre più aggravandosi,  perciò le popolazioni invocavano anche l’intecessione dei Santi. A Matino, per esempio, il 27 febbraio ricorre ogni anno la festa di S. Giorgi piccinnu (ovvero ‘la piccola festa di S. Giorgio’), in quanto proprio il 27 febbraio 1867 avrebbe avuto inizio la liberazione del paese dal colera, allorchè la  statua lignea del Patrono cominciò a sudare.

   In quello stesso febbraio l’epidemia esplose violenta a Galatina, dove dal 21 ottobre 1866, cioè da poco più di tre mesi, si era insediata l’Amministrazione  comunale presieduta da Giuseppe Galluccio, 2° sindaco dopo l’Unità d’Italia. Questi appena eletto aveva subito dovuto affrontare importanti problemi, tra cui un’incresciosa vertenza con l’Erario, che intendeva confiscare i beni patrimoniali delle Scuole galatinesi, sostenendo che gli stessi appartenessero all’Ordine degli Scolopi ( soppresso dal R.D. 7 luglio 1866), il quale invece li aveva solo amministrati per tredici anni, in qualità di gestore del Ginnasio-Convitto.

   Di tale  argomento si era già occupata la precedente Amministrazione che, con i buoni uffici del prof. Pietro Siciliani (residente a Firenze, allora capitale del Regno), aveva potuto affidare la difesa degli interessi economici delle Scuole comunali all’avv. Luigi Samminiatelli, docente presso l’Università fiorentina e deputato al Parlamento.
   Intanto, mentre per effetto dell’eversivo R.D. 7 luglio1866 erano stati soppressi anche i Frati Minori Riformati, i Frati Cappuccini e le Clarisse, i galatinesi per l’assistenza religiosa potevano sempre contare su 16 Canonici della Collegiata e soprattutto su almeno 24 Presbiteri della cosiddetta Ricettizia, dei quali fin dal 1852 era primus inter pares l’Arciprete Rosario Siciliani.

   Purtroppo le suddette Autorità civili e religiose della Città alla comparsa dei primi casi di colera o per impegni amministrativi o per disorientamento, nel prendere i provvedimenti idonei ad evitare la diffusione del morbo, erano incerte al punto da non disporre la chiusura di scuole e chiese. Al contrario la Congregazione di Carità (C.d.C.), presieduta dal lungimirante filantropo avv. Orazio Congedo, la quale dal 1863 era succeduta nella pubblica assistenza all’antica Commissione degli Ospizi, nella consapevolezza che il modesto Ospedale cittadino (da essa amministrato) non era sufficiente a prestare assistenza ai sempre più numerosi colerosi, già il 17 febbraio 1867 con propria deliberazione sollecitò il Comune a richiedere per il ricovero degli stessi alle Autorità competenti  l’ex Convento dei Frati Minori Cappuccini, che da poco era divenuto proprietà demaniale per effetto del sopraccitato decreto eversivo del Sovrano sabaudo. Nonostante questa tempestiva sollecitazione, il Consiglio Comunale, presieduto dal suddetto Sindaco, approvò circa due mesi dopo, il 14 aprile, la richiesta all’Erario dell’ex Convento con Chiesa e giardini annessi. A tale ritardo si aggiunse inevitabilmente quello dovuto ai tempi tecnici necessari per rendere i suddetti locali adatti ad accogliere i contagiati. Tali tempi fortunatamente furono ridotti al minimo dalla sollecita e fattiva opera di Lazzaro Zappatore, membro della C.d.C. ed esperto di gestione ospedaliera, che generosamente accettò di collaborare con l’Assessore, delegato dal Sindaco alla trasformazione dell’ex convento in lazzaretto (ovvero ospedale per i contagiati), che come tale potè però funzionare solo negli ultimi 45 giorni dell’epidemia, la quale,   essendo durata oltre tre mesi, aveva provocato circa 500 morti in una popolazione inferiore a 10.000 abitanti.  

   Fra Carmelo da Galatina (al secolo Donato Moro fu Salvatore), ultimo Guardiano dei Cappuccini prima della soppressione dell’Ordine, nonostante avesse 65 anni, accettò  di assistere gli ammalati moribondi ricoverati in quello che era stato il ‘suo convento’, sostenendo coraggiosamente lunghe veglie e disagi di ogni genere.

   A numerose persone che, incuranti del pericolo di contagio, si distinsero nell’assistenza agli infermi, la Giunta Municipale, riunitasi il 3 novembre 1867, nelle persone di Giuseppe Galluccio -sindaco, Pietro Donato Siciliani - assessore anziano, Giuseppe Berardelli e Giacomo Galluccio, propose che fosse assegnata dal Governo la medaglia d’argento con l’effigie del Re, istituita con R.D. 28 agosto 1867, al fine di premiare i “benemeriti della salute pubblica”. Fra tali persone si ritiene opportuno ricordare:  

  · il medico dell’Ospedale Filippo Mandorino, che, oltrepassando i propri doveri professionali, si era distinto nella costante ed amorevole cura prestata ai contagiati;
  · Lazzaro Zappatore, che con massima premura aveva fattivamentte coadiuvato l’Assessore comunale nel fornire al lazzaretto tanto gli oggetti di primo impianto, quanto tutto ciò che era occorso nei  45 giorni di funzionamento;
  · la diciannovenne Cristina Giannelli di Matino, che volontariamente e senza mercede si era dedicata al servizio dei contagiati, come infermiera di aiuto alle Figlie della Carità, non curandosi dei  pericoli per la propria persona;
  · Vincenzo Garzja, che non si limitava a sfumicare (sic) le abitazioni infette, per cui era stato  espressamente incaricato dal Municipio, ma aiutava anche in tutti i modi gli infermi, visitandoli nelle loro abitazioni e confortandoli, sino a quando egli stesso fu colpito dal morbo, ma guarì;    
  · il vice brigadiere Valsecchi Giuseppe ed il carabiniere Costa Giovanni della Stazione di Galatina, entrambi di 26 anni, che con molta alacrità e perseveranza si erano distinti sia nel ricercare gl’infermi abbandonati nelle loro case per accompagnarli all’ospedale colerico, sia nel curare il sollecito trasporto e setterramento dei cadaveri nel Cimitero; si erano preoccupati inoltre di lenire le sventure della popolazione non solo con buone parole e consigli, ma anche con aiuti in denaro, contribuendo all’apposita sottoscrizione promossa a favore dei contagiati;
  · il maggiore dei reali carabinieri Fantoni Patrizio, comandante della Divisione di Lecce, che visitò il Comune e incoraggiò con gentili maniere il Municipio e i suoi dipendenti a perseverare nel penoso e duro compito che sventuratamente avevano davanti, e che onorò di una sua visita il lazzaretto e i poveri a domicilio, confortando tutti con opportune parole ed amorevoli consigli;
  ·  il luogotenente dei carabinieri Pirola Giuseppe, comandate della Luogotenenza di Galatina, che aveva costantemente collaborato col Municipio al fine di aiutare i colerosi, ai quali forniva anche aiuti in denaro, visitandoli personalmente; inoltre con autorevolezza aveva sempre incoraggiato i carabinieri a resistere alle lunghe fatiche e alle non poche veglie;      
  · il sacerdote ventiquattrenne don Salvatore Tondi che, andando oltre i doveri dettatigli dalla carità sacerdotale, fu solertissimo nell’assistenza ai moribondi, sopportando coraggiosamente lunghe veglie e grandi disagi nell’intera durata del colera.

    Si noti che in questo breve elenco di persone che notoriammente si prodigarono per i contagiati durante l’epidemia del 1867 ci sono i nomi di due soli ecclesiastici: dell’ex guardiano dei Cappuccini e del giovanissimo don Salvatore Tondi, unico rappresentante del numeroso clero locale.

    L’anno dopo, con verbale del 26 febbraio 1868, fu formalizzata e resa definitiva la cessione  al Comune di Galatina da parte del Fondo per il Culto (rappresentato del Ricevitore del Registro) di “ fabbricato e Chiesa, nonché le parti redditizie (ovvero 4 giardini di complessivi ettari 1,87), dell’ex Convento dei PP. Cappuccini di Galatina”.

   Due giorni dopo, con lettera prot. n. 77, il sindaco Giuseppe Galluccio autorizzò il presidente Orazio Congedo a prendere possesso, senza alcuna formalità dei suddetti immobili, che il Consiglio Comunale con la delibera del 14 aprile 1867 aveva esplicitamente richiesti per la Congregazione di Carità. Questa successivamente riservò a se stessa le parti redditizie e trasferì la proprietà dell’intero edificio conventuale all’Ospedale.

   Diciotto anni dopo, in data 15 aprile 1886, la C.d.C. deliberò il restauro dell’ex Convento “per tenerlo pronto ad ospedale per malattie epidemiche”.

   I lavori di restauro, autorizzati il successivo 5 maggio dalla Deputazione Provinciale, comportavano una spesa di £ 1.549,59 e vennero regolarmente eseguiti. Proprio in tale occasione all’inizio del viale che porta allo stabile, fu collocata una statua in pietra leccese di S.Lazzaro, vescovo di Marsiglia, patrono degli ammalati contagiosi.
   Col suddetto restauro la C.d.C. ottemperò all’obbligo di convertire lo stabile  ad uno degli usi previsti dall’art.20 de R.D. 7 luglio 1866. Quindi l’Ospedale di Galatina a buon diritto avrebbe conservato la proprietà dell’ex Convento dei Cappuccini, purché lo stesso fosse rimasto destinato all’eventuale ricovero di ammalati contagiosi.
   In seguito fortunatamente non ci furono più epidemie, per cui l’uso specifco dello stabile fu in pratica dimenticato. Ma la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Lecce, su richiesta del Ministero dell’Interno il 28 agosto 2000 ha emesso la “nota di trascrizione n.25679”, per la quale:

 “…la Chiesa dello Spirito Santo con l’annesso Convento, intestati in Catasto erroneamente in Ditta Ospedale Civile di Galatina, nonché… i terreni circostanti, erroneamente intestati in Catasto in Ditta Ente Comunale di Assistenza di Galatina, vengono trascritti e volturati al Fondo Edifici di Culto a termini degli artt. 54 e 55 della legge 20 maggio 1985, n.222.” 

Pietro Congedo