mercoledì 27 marzo 2013

I Vernaleone, un'antica famiglia galatinese




Il visitatore del centro storico di Galatina, che da piazza San Pietro s’inoltra in corso G.Garibaldi, all’altezza dei nn. 28-36 è attratto dallo stupendo portale bugnato di un austero palazzo cinquecentesco, accanto al quale è murata una lapide marmorea con incisa un’epigrafe, che nel 1914 è stata composta e firmata da Giovanni Porzio (1873 –1962), principe del foro napoletano e uomo di Governo prima e dopo il ventennio fascista. In essa si legge: 
“IL DOTT. PAOLO VERNALEONE / AL CAPEZZALE DEGLI INFERMI E NEI TUGURI DEI / DERELITTI  / SENTI’ BALZARE RADIOSA NELL’ANIMO / LA VISIONE /  DI UNA NUOVA UMANITA’ / GETTO’ SUI DOLENTI LA LUCE DELL’IDEA E LO SQUILLO DI GUERRA / POI CADDE IN MEZZO AL CAMMINO / COLLA FRONTE ILLUNINATA / DAI FULGORI DELLA SPERANZA // AL GAGLIARDO CONDOTTIERO / L’ESERCITO IN MARCIA POSE QUESTO RICORDO /  XXVI 3 MDCCCLIX  /  XX 1 MCMII ”.
La lapide ricorda che in detto edificio nel 1902 morì Paolo Vernaleone, medico e filantropo, il cui “…socialismo … riempiva il cuore di speranza in quanti lo seguivano, disponendoli alla solidarietà e al coraggio nell’affermazione dell’idea che condannava le colpe di tutti, per una società più giusta. ….”. (V. Antonio Falco, Paolo Vernaleone, in Storia di Galatina di M. Montinari, Ed. Salentina, 1972, pag. 411).
Paolo Vernaleone, nato il 26 marzo 1859  da Fortunato e Giuseppa Tarantini, apparteneva ad una famiglia galatinese molto antica, che secondo lo storico Alessandro Tommaso Arcudi (1655-1718) è stata “…nella sua Patria un Seminario di tutte le scienze, un’Accademia di tutte le belle lettere, un albergo di tutte le Muse, un Senato di tutta la prudenza civile. …”.(V. A.T.Arcudi, Galatina letterata, Genova, 1709, pag.141).
L’Arcudi nella sua opera (pp. 141-170) cita alcuni personaggi appartenuti a detta famiglia e per sei di essi presenta anche un breve profilo biografico. Egli inizia con la citazione di Orazio Vernaleone figlio di Domizio che, entrato nella Comunità monastica di Camaldoli (AR) col nome di fra Mauro, donò nel 1579 al Monte di Pietà (M.d.P.) di Galatina tre poderi  con complessivi 357 alberi di ulivo  ed anche quattro botteghe “…nella strada pubblica della Piazza” ed un magazzino in “…vico del Monte, i quali sono siti nel fabbrico di detto Monte all’ora (sic) casa del …donatore.” (V. Testamento di fra Mauro, allegato all’Inventario dei beni del M.d.P. conservato nell’Archivio dell’Ospedale di Galatina). Lo stesso dispose  che nel cortile di detta casa fosse costruita la cappella  del M.d..P., dedicata al nome di Gesù e della sua SS. Madre Maria.  Si accedeva alla  chiesetta (che ancora esiste, sebbene murata) attraverso corte del Monte, retrostante l’attuale palazzo Gaballo di corso Vittorio Emanuele.
   Sono poi citati Vespasiano Vernaleone, famoso “… per le sue argute e poetiche fantasie”, e Altobello Vernaleone, medico e poeta, che nel 1541 scrisse “…in ottava rima la Presentazione di San Gio: Battista” e nel 1544, da sindaco della città , invitò i Frati Minori Cappuccini a venire e far convento in Galatina.
   Nelle pp.142-145 di Galatina letterata è tratteggiata la figura del giureconsulto Giovanni Paolo Vernaleone senior, che alla perfetta perizia legale univa “una raffinata prudenza politica”. A questo proposito è riferito che i galatinesi, aspirando ardentemente di ottenere nella propria Città  una Cattedra Vescovile, nel 1524 in una pubblica assemblea, appositamente convocata dal Sindaco, avevano entusiasticamente espresso voto unanime, affinchè fra Pietro Colonna, che viveva a Roma, si adoprasse a loro favore in tal senso, chiedendo magari di essere lui stesso nominato vescovo di S. Pietro in Galatina. Ma, poiché all’epoca il tracotante duca Ferdinando Castriota Scanderbeg angariava la cittadinanza con atti di prepotenza e soprattutto arrogandosi  diritti feudali nella riscossione delle imposte e nell’amministrazione della giustizia, Giovanni Paolo Vernaleone con un suo intervento convinse tutti i concittadini  che urgeva ottenere dalle Autorità la cessazione dei soprusi del feuadatario e non la Cattedra Vescovile. Questo fatto ebbe una tale risonanza da meritare una memoria intitolata “Ad Sanctopetrinates Cives”, scritta molti anni dopo dal sacerdote e dotto teologo morale Francesco Maria Vernaleone, undicesimo figlio di Pietro junior e di Drusiana d’Aruca, che “…applicò il suo talento alle lettere, nelle quali fece tanto profitto, quanto si scorge nell’opre che felicemente compose…”. Inoltre nell’annosa vertenza dell’Università di Galatina contro la pessima ammministrazione dell’Ospedale S. Caterina, praticata dagli Olivetani, s’impegnò al punto da informarne intorno al 1563 i Padri del Concilio di Trento con la sua Oratio dicenda in Aecumenico Concilio Tridentino contra Monacos Montis Oliveti de S. Pietro in Galatina.
   Un’ampia nota biografica è riportata nelle pp.146-147 di Galatina Letterata sul padre del predetto Francesco Maria, cioè l’illustre giureconsulto, fratello di Altobello, Pietro Vernaleone junior, il quale nel 1522  insieme al filosofo Marcantonio Zimara fu mandato a Napoli per perorare presso il vicerè Carlo di Lannoya la causa  intentata dall’Università al duca Ferdinando Castriota per i suoi misfatti contro la cittadinanza. Egli scrisse un trattato sulle Costituzioni del Regno e  ebbe dalla moglie Drusiana, oltre a Francesco Maria, altri dieci figli fra cui Ottavio e Lattanzio, entrambi dediti agli studi giuridici, e il medico e filosofo Lucio.
   Proprio di Lucio Vernaleone, morto il 13 giugno 1574,  parla l’Arcudi nelle pagine 150 – 151 della sua opera, esaltandone l’eccezionale perizia medica, la grande cognizione di lettere greche e la “perspicace e sottile” attitudine filosofica, che dimostrò anche con la sua opera intitolata Paradoxorum liber Lucii Vernelioni.  
Ben sei pagine (159 – 164) di Galatina Letterata son dedicate alle note biografiche di Giovanni Paolo Vernaleone junior (1527-1617), figlio di Altobello, che l’Arcudi considera “il massimo” ingegno della famiglia. Studiò a Napoli, dove trascorse gran parte della sua vita. “… Fu principalmente matematico eccellentissimo, e fece i Commentari sopra Euclide, ma mentre si preparava a stamparli, da mano rapace ed infedele gli furono con sommo dolore involati…”.       In seguito il gesuita tedesco P. Clavio, anche lui matematico, trovandosi a Napoli volle conoscerlo per farsi spiegare alcuni difficili “luoghi” della teoria di Euclide, promettendo che, “nello stampare i (propri) ingegnosissimi Commentari” sullo stesso Euclide, avrebbe testimoniato “al Mondo” di essere stato da lui aiutato. La promessa non fu mantenuta e G.P.Vernaleone se ne “dolse” in una lettera inviata a Clavio, il quale si scusò attribuendo l’omissione all’editore.
   Giovan Battista della Porta scrisse di aver composto la sua opera De Caelesti Phisiogonomia “…ad istanza del Vernaleone e col suo aiuto”, infatti gli fece i calcoli e dispose la materia “…in modo ragionevolmente chiaro”, in quanto lo stesso era “…astrologo (tanto) grande, che le sue Efemeride e Natività andavano per tutta l’Europa ed erano ricercate e tenute in molta stima”.
   G.P.Vernaleone “si dilettò pure di poesia, cosi latina, come volgare” e sarebbe diventato ricchissimo “…se non avesse consumato gli averi nell’indagare i secreti (sic) dell’Alchimia e della natura, facendo prove infinite…”. “In tante applicazioni specolative non lasciò di beneficare la Patria,…liberandola con i suoi buoni uffici da un gravoso alloggio di  soldati …”.
   Fu molto onorato da numerose personalità dell’epoca, tra cui suo cugino D. Francesco Maria che gli dedicò componimenti poetici, tra cui la canzone URANIA, riportata  nelle pagg. da 165 a 170 di Galatina Letterata.
   L’Arcudi nelle pagg. 157-158 della sua opera esalta la poetessa Leonarda Vernaleone, definendola “novella Saffo”, che egli non avrebbe mai conosciuto se non avesse rinvenuto un suo libro di poesie, “tutto maltrattato dall’umidità del luogo più che roso dai denti del tempo”. In questo egli trovò soprattutto composizioni poetiche, con le quali erano state “ingegnosamente celebrate”  lodi a Maria Castriota, figlia del 1° duca di Galatina, Giovanni Castriota Scanderbeg, “…principessa d’alti pensieri, specchio di virginal pudicizia e di cristiana  pietà…”.
   Però lo stesso Arcudi, pubblicando nel 1709 il più volte citato volume Galatina Letterata, stranamente non fece alcun cenno a membri della famiglia Vernaleone a lui contemporanei, come  per esempio quel Franccesco Vernaleone, che era certamente attivo nel 1673 in qualità di notaio. 
Nella chiave dell’arco del robusto portale bugnato di corso Garibaldi, 30 campeggia lo stemma bipartito delle famiglie  de Mico e Coletta, cheab antiquo sarebbero state le prime proprietarie dello stabile.
A questo punto viene in soccorso della presente ricerca un documentato articolo di Giovanni Vincenti, pubblicato a p. 3 de Il Galatino del 16.09.1988 e intitolato Il cinquecentesco Palazzo Vernaleone, del quale si riportano qui di seguito alcuni brani molto interessanti.
La famiglia de Mico, una delle più facoltose e prosperose della nobiltà galatinese del Ciquecento, diede inizio alla costruzione di questo palazzo nella seconda metà del secolo: è in tal periodo infatti, che è residente un Marcantonio de Mico, il cui figlio Pompeo è coniugato con Maria Bonuso, figlia ventunenne di don Pietro, e possiede nel 1545 il maggior patrimonio dei galatini residenti stimato in 278 ducati. Alla stessa casata dovè appartenere Vincenzo de Mico, primo arciprete di rito latino, morto nel 1541 […].
Di minor rilievo la famiglia Coletta, importata nel ‘500 da un Raimondo e tra i suoi esponenti annovera alcuni professionisti, come lo speziale Avolio, ma che dai documenti d’archivio non si riesce a legare ai de Mico, mancando alcun contratto di matrimonio.[…].
Tramontate le fortune ed il prestigio della famiglie de Mico e Coletta sul declinare del XVII secolo, il palazzo pervenne…(ai) Vernaleone che non disdegnarono certo lavori di ristrutturazione pur non apponendo il loro scudo araldico sul portale, come era consuetudine del tempo… .
   (Nel)…primo decennio del Settecento…questa casa palazzata (era) di proprietà di Giuseppe Vernaleone e dei suoi  tre figli Donato Antonio, Domenico Santo e Francesco, canonico, (appartenenti ad un) ramo che non è possibile legare prosopograficamente (ovvero con una “ricerca biografica condotta su gruppi di personaggi storici di un certo periodo o di un certo ambiente” – n.d.r.) a quello di Giovanni Paolo Vernaleone senior […] .
   Valutato circa duemiladuecento ducati, … il palazzo, passato a miglior vita Donato Antonio, divenne proprietà del fratello Domenico Santo che, avendo già…(nel) 1708 acquistato la parte spettante a Francesco…(che) ancora possedeva il 1754, come risulta dal Catasto Onciario, e vi dimorava con i nipoti D. Pietro Paolo sacerdote di anni 43, Gio.Battista di anni 35 e Domenica di anni 40. […] .”        Nonostante nella presente ricerca, a causa della carenza di documenti, ci siano notevoli discontinuità temporali, specialmente per quanto riguarda i periodi “dal 1617 al 1708” e “dal 1754 al 1859”, si è ritenuto opportuno chiederne comunque la pubblicazione, poiché con la stessa (ricerca)  si è voluto raccontare il lungo intrecciarsi delle vicende storiche particolari dei membri di un’antica famiglia con quelle generali della Città.
Inoltre con la pubblicazione viene offerta a tutti la possibilità di fare osservazioni e proporre integrazioni, che saranno gradite, in quanto potranno contribuire al superamento delle suddette discontinuità.   
Pietro Congedo

giovedì 7 marzo 2013

I Borboni donarono a Galatina le scuole secondarie comunali. I Savoia le regificarono, ma a pagamento.




   Mons. Francesco Antonio Duca, ultimo vescovo di Castro, proveniente dalla Nunziatura Apostolica di Napoli, era bene informato in ordine alla disponibilità del Governo borbonico ad istituire scuole normali o di uniforme istruzione,come quelle che, a partire dal 1774, erano state istituite nell'Impero Austriaco dai sovrani asburgici. Perciò per la per la propria Diocesi nel 1792 presentò al re Ferdinando IV di  Borbone [marito di Maria Carolina, figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria] un articolato programma d’istruzione da finanziare con le rendite  di tre conventi che conveniva sopprimere: uno di Domenicani ad Andrano (rimasto con un solo monaco) ed altri due di Francescani Conventuali rispettivamente a Poggiardo (rimasto con due monaci) ed  a Marittima (rimasto con tre monaci).
   Detto programma prevedeva, fra l’altro, l’istituzione di una scuola normale a Poggiardo e delle  seguenti scuole a Castro: “una dei primi rudimenti (con metodo normale) e del catechismo, la seconda di grammatica e belle lettere, la terza di filosofia e matematica, la quarta di diritto civile e canonico con elementi di storia sacra e profana”.
Il re Borbone, accogliendo la proposta del vescovo Duca, dispose la soppressione di detti conventi e, con dispaccio del 12.03.1796, decretò l’istituzione delle scuole richieste. Inoltre con successivi decreti concesse cattedre di agronomia, teologia morale, teologia dogmatica e S. Scrittura. Infine il 25.02.1797 elevò al grado di Università il complesso delle Scuole di Castro.
Intanto a Galatina nessuna iniziativa veniva presa per l’istituzione di scuole pubbliche, infatti anche nei sei conventi ivi esistenti rimanevano disattese le ordinanze governative del 17 e 24 aprile 1789, che prescrivevano l’obbligo di ogni casa religiosa ad aprire scuole pubbliche o in alternativa versare il 10% delle proprie rendite all’ Azienda dell’Educazione.
L’Università di Castro, sebbene fosse sorta con un cospicuo patrimonio che rendeva una somma annua superiore a 2.000 ducati, non ebbe mai vita facile. L’iniziale mancanza d’insegnanti e di studenti non fu mai superata, a causa delle insormontabili difficoltà logistiche della sede e i gravi disagi dovuti alle eccezionali vicende storiche dell’epoca, quali l’effimera vita della Repubblica Partenopea (1799) e la decennale dominazione francese (1806 – 1815).
Frattanto quel che rimaneva dell’Ateneo già nel 1802, per ordine di Ferdinando IV, era stato trasferito a Poggiardo e, in data 08.04.1809, il re Gioacchino Murat aveva nominato il medico Francesco Perchia amministratore dell’Azienda delle Scuole di Castro.
   Nel 1810 morì mons. Francesco Antonio Duca; nel 1818, in seguito al concordato tra la S. Sede ed il Regno delle Due Sicilie, la Diocesi di Castro fu soppressa ed incorporata a quella di Otranto. Due anni dopo, con R.D. 06.05.1820, i beni degli ex conventi di Andrano, Marittima e Poggiardo furono assegnati a Galatina per l’istituzione di tre Scuole Secondarie.                 
   Non si conoscono le motivazioni di tale decisione presa dal re Borbone. Verosimilmente, però, sarà stata determinante l’ovvia considerazione di carattere logistico–demografico che Galatina, ombelico del Salento, era anche abbastanza popolosa. Qui sarebbero state dunque istituite: la scuola di “lingua latina inferiore”, quella di “lingua latina superiore e retorica” ed un’altra di “matematica elementare ed aritmetica”. Queste avrebbero ben integrato la prima scuola “del leggere e dello scrivere” e la seconda “di umanità”, entrambe ancora da istituire a causa dell’opposizione degli eredi di Orazio Congedo senior, morto nel 1804, il quale già nel 1801 aveva destinato parte dei suoi beni alla fondazione delle stesse.           
    Non potevano certo mancare gli oppositori alla concessione delle suddette proprietà a Galatina. Infatti, mentre l’arcivescovo di Otranto, mons. Mansi, chiedeva le stesse per il suo Seminario ed analoghe richieste avanzavano le Diocesi di Gallipoli e Ugento, le comunità  di Andrano, e di Marittima speravano nel ripristino dei loro conventi. In ogni caso le maggiori proteste provenivano  dal Comune di Poggiardo, nel quale però le scuole trasferite da Castro funzionavano in modo sempre più precario e disordinato. Per questo il trasferimento dei beni a favore di Galatina fu definitivamente confermato con risoluzione sovrana del 02.02.1833 ed ebbe luogo il 12.07.1834 con la consegna da parte del dott. Francesco Perchia alla Commissione Amministrativa delle Scuole dei titoli di proprietà degli immobili già appartenuti ai tre conventi soppressi e un saldo attivo di ducati 2.880,70 in titoli di Rendita del Debito Pubblico.   
   Nel 1834 si concluse anche la vertenza relativa al legato di Orazio Congedo senior.
 L’apertura delle scuole comunali di Galatina ebbe finalmente luogo nel 1836, ma per oltre diciotto anni il loro funzionamento lasciò molto a desiderare, con momenti di crisi profonda. Perciò la Commissione Amministrativa delle Scuole, che era presieduta dal Sindaco, cercava disperatamente di affidare la stesse ad un ordine religioso dedito all’insegnamento. Addirittura, il 21 maggio 1849, il Sindaco pro tempore, Domenico Galluccio, trasmise all’ Intendente di Terra d’Otranto la delibera del Decurionato tendente ad avere da S. M. Ferdinando II di Borbone “la grazia di ottenere una casa di Padri Barnabiti o di quelli delle Scuole Pie detti Scolopi”.
 Dopo altri quattro anni di ricerche e suppliche finalmente con regio decreto del 26.08.1853 fu ottenuto l’assenso reale all’insediamento a Galatina (nell’ex convento dei Domenicani) dei Padri Scolopi, ai quali vennero affidate tutte le Scuole della Città.
    Con l’insegnamento e le cure dei Padri Scolopi, diretti da padre Annibale Moschettini, il funzionamento delle Scuole galatinesi in breve tempo migliorò notevolmente, anche perché essi nell’a.s.1854-55 istituirono “un Collegio con convitto e pernottazione per l’educazione morale e letteraria” dei giovani. Pertanto l’intera popolazione annua delle Scuole secondarie, che prima del 1854 era stata mediamente di appena 30 unità, nel 1860 raggiunse n.180 alunni (55 convittori + 125 esterni), i quali erano suddivisi in sei classi: le prime tre di “grammatica”, una di “lettere umanistiche”, una di “retorica”, e la sesta di diritto morale, fisica, filosofia e matematica. Quindi a buon diritto il Consiglio Comunale di Galatina in una deliberazione del 26.11.1964 fra l’altro affermava: “(Gli Scolopi)…riscossero sempre il plauso generale non solo della nostra popolazione, ma anche di molti paesi della Provincia, il che viene dimostrato dal concorso degli alunni di Galatina e forestieri. …”. Purtroppo questa  deliberazione era stata adottata perché  gli istituti scolastici gestiti da religiosi erano ormai seriamente minacciati dalle leggi eversive adottate dal Governo Sabaudo dopo la “conquista” delle Province del Meridione d’Italia. Si giunse all’ estremo col R.D. 07.07.1866, col quale furono soppresse le Congregazioni Religiose, per cui gli Scolopi solo dopo due giorni uscirono definitivamente di scena, rassegnando al Sindaco e alla Giunta, in presenza del notaio P. Garrisi, “…tutte le rendite, i cespiti, le scadenze e quant’altro apparteneva alla Scuola Secondaria…”. 
   Scuole e Convitto, passati sotto la gestione diretta del Comune, per alcuni anni continuarono a funzionare come prima, poiché vi erano rimasti come dipendenti comunali alcuni docenti ex scolopi, tra cui il direttore-rettore, Sebastiano Serrao, il quale portò a compimento la trasformazione in Ginnasio delle scuole secondarie galatinesi, ai sensi del R.D. 10.02.1861.        Ma dopo la morte di Serrao (1870) ebbe inizio una decadenza tale che il Convitto rimase chiuso nel bienno 1876-77/1877-78. In seguito le precarie condizioni del Ginnasio-Convitto, che nel 1872 fu intitolato a Pietro Colonna detto il Galatino, si aggravarono al punto che nel 1883-84 gli alunni delle cinque classi erano in tutto 55. Una certa ripresa ci fu sotto la direzione del sacerdote Carlo Tarentini, assunto nel 1883 e, con alterne vicende, rimasto in carica per 13 anni, cioè fino al 1896, quando fu sostituito dal sacerdote trentino Rocco Catterina, assunto quest’ultimo dall’Amministrazione Comunale presieduta dal dott. Mario Micheli, della quale faceva parte l’ing. Antonio Vallone in qualità di assessore.                    
   A partire dall’a. s. 1896-97 il funzionamento dell’Istituto andò sempre più migliorando, con un costante aumento del numero di giovani presenti sia nelle Scuole che nel Convitto.
   Intanto, il 03.03.1889, con decreto del re Umberto I di Savoia, il Ginnasio-Convitto di Galatina veniva dichiarato I.P.A.B.(Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficienza). Ciò, oltre ad assicurare allo stesso ente una più agile amministrazione, avrebbe consentito il pagameto con l’aliquota del 13,20% (e non con quella del 20%) della tassa sul prodotto dei titoli di Rendita Pubblica, acquistati col ricavato dalla vendita di immobili, che era già in atto nel 1872. Si tenga presente che detto prodotto nel 1898 aveva raggiuto l’importo annuo di £ 16.000 (al lordo delle imposte), ed era destinato ad aumentare, perché le alienazioni continuavano e molte di esse venivano effettuate consentendo agli acquirenti il pagamento a rate dell’importo dovuto.    
   In data 02.03.1898 il Consiglio Comunale di Galatina deliberò la richiesta all’Autorità Scolastica Provinciale dell’autorizzazione ad istituire con funzionamento graduale, a partire dal 1898-99, un corso liceale che sarebbe stato completato nell’a.s. 1900-01. Questo corso era stato tenacemente voluto dall’ing. Antonio Vallone, che per alcuni anni vi insegnò gratuitamente fisica.
   La Commissione Amministrativa (C.A.) del suddetto I.P.A.B., della quale facevano parte Vito Vallone (presidente), Alessandro Bardoscia fu Giovanni, Luigi Palma, Emilio Galluccio e Antonio De Paolis, fu eletta dal Consiglio Comunale della Città con delibera del 07.08.1899, nella quale compare per la prima volta la denominazione “Pio Istituto Pietro Colonna detto il Galatino”, poi sempre usata nella forma ridotta “Pio Istituto P. Colonna”.
   Il dott. Vito Vallone, fratello dell’ing. Antonio, fu presidente della suddetta C.A. per otto anni (1899 – 1907), durante i quali l’Istituto conobbe un’impetuoso sviluppo, come nel periodo che va dal 1854 al 1866, cioè quando potè giovarsi pienamente della direzione e dell’attività docente degli Scolopi, che furono bruscante interrotte dalle inique leggi dei Savoia.   
   Il pareggiamento (o riconoscimento legale) del sopraccitato corso liceale fu ottenuto, grazie alla solerzia della C.A., con Decreto Ministeriale 08.05.1901, cioè durante il 3° anno di funzionamento del medesimo.
La stessa Commissione non intendeva assolutamente disattendere le aspettative della cittadinanza, sempre più orientate verso la “regificazione”, cioè la conversione in governativo del Liceo-Ginnasio, perciò deliberò sollecitamente, il 02.01.1903, la richiesta all’Amministrazione Comunale di avviare le relative pratiche, dichiarandosi disposta a cedere a tal fine parte delle rendite patrimoniali del Pio Istituto, costituite ormai quasi esclusivamente da interessi di Rendita Pubblica.
Purtroppo l’espletamento di dette pratiche fu più complesso e lungo del previsto, anche perché sopravvenne l’opportunità di attendere l’emanazione di norme che avrebbero reso meno onerosa la conversione delle scuole comunali in governative. Tale attesa ebbe finalmente termine con la pubblicazione della Legge 3 marzo 1907, alla quale era allegata la tabella per la determinazione del canone annuale da pagare per la “regificazione”. Si venne così a sapere che il  Liceo-Ginnasio comunale di Galatina sarebbe stato convertito in governativo con il pagamento  allo Stato della somma annuale di lire 36.737,25.
  Il raggiungimento di tale importo comportava annualmente:
  · la cessione del reddito delle tasse scolastiche pagate dagli studenti, pari a lire………16.615,00 
  · la garanzia offerta dal  Pio Istituto P.Colonna con la cessione all’Erario di titoli di
      Rendita Pubblica che ogni anno, al netto delle tasse, fruttavano lire………………….…12.210,00
  · l’impegno del Comune a conferire all’Esattore la delega a detrarre ogni anno dalle
          sovrimposte comunali la somma di lire……………………………………………………7.912,25        
                                                                                                            _______________________________
                                                                                                                          Totale lire  36.737.25
Pagato il sopraindicato canone fu ottenuta l’emanazione del R.D. 470 / 30 settembre 1907, che all’art.1 sanciva: “Il Liceo ginnasiale ‘P. Colonna’ di Galatina è convertito a tutti gli effetti di legge in governativo dal 1° ottobre 1907. Lo stesso all’art. 2, oltre a fissare l’importo  del canone annuo, precisava anche che il Comune doveva provvedere ai locali, alle suppellettili, al materiale scolastico e a quant’altro occorresse al buon andamento dell’Istituto.
Il Pio Istituto P. Colonna e il Comune di Galatina furono finalmente dispensati dal pagamento del suddetto canone dopo ben 24 anni, cioè per effetto  del R.D. 14 settembre 1931. 
Pietro Congedo

lunedì 4 marzo 2013

Le Orfanelle non soffrirono mai la fame




Non doveva mancare e non mancò mai il necessario alle ragazze accolte nell’Orfanotrofio Femminile “Madonna della Purità” di Galatina, sorto per la munificenza del canonico don Ottavio Scalfo (1676 – 1759), che nel catasto onciario del 1754 risultava essere il più ricco ecclesiastico galatinese. Detto Istituto, entrato in funzione il 28 marzo 1794 con “venti orfanelle in tenera età raccolte dalla strada”, aveva ereditato da don Ottavio Scalfo i seguenti immobili: una “casa palatiata nel vicinato di Porta Nuova”; l’oliveto “Margea” di 1150 alberi, unito ad un terreno seminativo; il fondo “Galatini” con 50 ulivi ed un’area di terreno libero; due grandi giardini, detti “S. Rocco” e “lo Scalfo” e vicini all’abitato di Galatina; metà di un trappeto.
Alle suddette proprietà nel 1796 si aggiunsero un vigneto di circa tre tomolate, lascito diAntonio Congedo, ed un terreno in agro di Aradeo di circa quattro tomolate, in parte a vingneto con casa e palmento. Inoltre con decreto del Visitatore della Provincia di Terra d’Otranto, datato   8 novembre 1799, furono assegnati all’Orfanotrofio i seguenti beni appartenuti complessivamente alle Cappelle del Rosario, della Concezione, di S. Leonardo e della Madonna degli Angeli: 13 fondi olivati, aventi in tutto 1113 alberi; 7 piccoli appezzamenti di terreno; 2 canoni enfiteutici per un totale di ducati 9,50 e trenta capitali censi dell’importo complessivo di ducati 2040 al tasso medio del 6%.
Questa era alla fine del sec. XVIII la consistenza patrimoniale dell’Istituto, che rimase pressochè invariata certamente fino al 1862, quando la gestione dello stesso passò alla Congregazione di Carità, come stabilito dalla “legge sull’amministrazione delle Opere Pie” del 3 agosto 1862. Anche il numero delle ragazze ospitate (che dovevano avere non meno di sette anni e non più di venti) per molti decenni rimase relativamente stabile, cioè intorno alle venti unità.        
Di tutto ciò nel 1855 diede conferma il giudice Tommaso Vanna, scrivendo: “Il numero attuale delle Orfane è 25. La rendita attuale di tal pio istituto è di ducati 1.240 annui.” [V. Tommaso Vanna, GALATINA, Napoli, 1855, in Urbs Galatina, numero unico, Galatina, 1992, p. 222].
Analoga conferma si ottiene dai documenti contabili  relativi agli anni 1862 e seguenti, nei quali è fra altro indicato che per il vitto a 24 orfanelle si spendevano annualmente non più di 500 ducati, spesa questa pienamente sostenibile dall’Ente, che prima dell’Unità d’Italia, oltre alla sopraindicate rendite, introitava anche due terzi del ricavato dal lavoro di tessitura, ricamo ecc., effettuato dalle orfane su ordinazione di privati.
Comunque, indipendemente dall’entità delle risorse economiche, il numero delle ragazze accolte non poteva assolutamente essere superiore a 25 unità a causa delle dimensioni della sede dell’Orfanotrofio, costituita soltanto dalla “casa palatiata”, già comoda abitazione del can. Scalfo, ma che aveva un numero limitato di ambienti, dei quali due del primo piano erano stati adibiti a  “saloni pe’ travagli”, ovvero laboratori di tessitura, ricamo ecc..
Un primo indispensabile ampliamento della stessa sede fu effettuato nel 1863 con la costruzione di due nuovi saloni, uno a pianoterra e l’altro a primo piano.
Le notizie soprariportate sono state tratte esclusivamente da documenti originali riguardanti l’Orfanotrofio. Alcuni autori, prescindendo da detti documenti, arrivano a denunciare una mai esistita indigenza dell’Istituto, sebbene alle povere ragazze in esso accolte sia stata costantemente assicurata una vita serena e dignitosa, con la possibilità di costituirsi anche col proprio lavoro una dote matrimoniale e con l’opportunità di  imparare a leggere, scrivere e far di conto, quando a Galatina non erano state ancora istituite scuole pubbliche.
Nel decennio 1806-1815, quando il Regno di Napoli fu sotto la sovranità prima di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat, le condizioni economiche e le attivita dell’Orfanotrofio femminile di Galatina erano naturalmente quelle sopraesposte.
Vittorio Zacchino, riferendosi al periodo murattiano, ha invece scritto: « […] L’Istituto ospita 76 orfane e si accredita come la manifattura più importante della provincia, l’unica “dove si educano le donzelle a lavori di telaro di più generi”. I lavori dell’Orfanotrofio ottengono un premio d’industria nella prima esposizione di Napoli dell’agosto 1810, ricevendo una medaglia insieme agli espositori di Gallipoli Serio e Verardi.
Alla guida dell’orfanotrofio, in questi anni, c’è Alessandro Bardoscia, il padre del futuro deputato Nicola, il quale sarà collaboratore dell’inchiesta muratiana per il ramo manifatture. Il redattore statistico Giovene ha parole di elogio per il Bardoscia uomo, istruttore tecnico, benefattore di uno “stabilimento che giace nella miseria e nello squallore. Alle donzelle che vi sono rinchiuse manca anche il pane quotidiano”.
Presentando il conservatorio di Galatina come l’unica scuola di istruzione artigiana in Terra d’Otranto, Giovene immedesima il bravo filantropo con l’opificio “dove lo zelo gratuito di un ottimo cittadino qual è Alessandro Bardoscia insegna, addestra, dirige le fanciulle e donzelle ivi rinchiuse, alle manifatture di cotone e di lino”. Ed aggiunge che “se quell’orfanotrofio avesse qualche macchinuccia, se avesse un capitale per fare acquisto a tempo e luogo delle materie grezze, quell’orfanotrofio, sotto la direzione di quell’esimio uomo farebbe assolutamente prodigio”. Purtroppo – aggiunge Giovene – questo conservatorio è in una miseria indicibile, ed appena le recluse hanno un pane da mangiare, anzi, talvolta, loro manca”. […].» [V. Vittorio Zacchino, Attivita manifatturiera a Galatina e nel Salento tra sette e ottocento, in Bollettino Storico di Terra d’Otranto, 5 / 1995, Congedo Editore, pp. 83-84 ].
 N.B. I virgolettati contenuti nel brano soprariportato risultano tratti da La “Statistica” del Regno di Napoli nel 1811, a cura di D. Demarco, Roma - Accademia Nazionale dei Lincei, 1988.
Sono di tutta evidenza le macroscopiche discordanze esistenti specialmente tra le affermazioni virgolettate contenute nel brano dell’articolo di Zacchino e la realtà oggettiva dell’Orfanotrofio, quale è emersa da un rigoroso esame dei documenti riguardanti lo stesso e conservati in Galatina  negli archivi dell’Ospedale e dell’ex Ente Comunale di Assistenza.
Pertanto si è portati  a pensare che non sia stato sincero colui che, da dirigente dell’Orfanotrofio, riferì (nel corso dell’inchiesta muratiana del 1811) al redattore statistico Giovene che “76 orfane” galatinesi si trovavano in uno “stabilimento che giaceva nella miseria e nello squallore”, per cui mancava loro persino “il pane quotidiano”. E’ probabile che egli avrebbe smisuratamente esagerato, sia triplicando il numero delle orfane sia facendo credere che le stesse si trovassero in uno stato di “miseria indicibile”, nell’intento velleitario di poter fondare, con un eventuale contributo statale, un moderno opificio di tessitura, col quale sostituire  i modesti “saloni pe’ travagli”, allestiti nell’ex casa Scalfo.
Non si ottenne il contributo sperato, l’opificio moderno non fu realizzato e la vita delle orfanelle, continuando come prima, andò sempre più migliorando nei decenni successivi.  Ma coloro che a distanza di secoli leggono la “Statistica muratiana” dovrebbero poi affidarsi ad una più accurata ricerca, altrimenti finiscono con avere e presentare agli altri un’immagine distorta dell’Orfanotrofio Femminile “Madonna della Purità”, che i galatinesi hanno sempre considerato fiore all’occhiello della propria assistenza pubblica e con spirito di solidarietà avrebbero, se necessario, impedito che le ragazze in esso ospitate soffrissero la fame.  
Pietro Congedo