venerdì 28 dicembre 2012

Dolmen e Menhir con particolare riferimento a quelli del Basso Salento


Col termine   ‘monumento megalitico’ o più semplicemente ‘megalito’ gli studiosi di preistoria indicano  una costruzione in pietra realizzata utilizzando blocchi di grandi dimensioni ( dal greco ‘megas’= grande e ‘lithos’= pietra ).

Costruzioni di tal genere nell’Europa settentrionale e occidentale ( ivi compresa l’Italia ) sono state realizzate  dalla seconda metà del V millennio fino al  I millennio a.C. .

Oltre che in Europa (Paesi Scandinavi, Penisola Iberica, Francia, Gran Bretagna, Germania meridionale, Svizzera e Italia), costruzioni megalitiche esistono in Africa  (Algeria, Etiopia, Sudan), in Giappone, nell’India centrale e meridionale e in alcune isole dell’Oceano Pacifico.

Volendosi occupare dei megaliti del Basso Salento non si può non accennare a quelli dell’Europa atlantica (Gran Bretagna, Francia e Spagna), ritenuti i più antichi e soprattutto non possiamo prescindere da quelli esistenti nelle isole del Mediterraneo (Baleari, Sardegna, Corsica, Malta, ecc.), con i quali quelli salentini presentano notevoli analogie storiche e strutturali.

Attualmente il megalitismo è ancora diffuso in Etiopia, India e Madagascar. Lo stesso dicasi per l’Oceania, dove si rizzano ‘menhir’ per un fidanzamento, per un matrimonio o per la promozione sociale di una persona in vista .

Pur nella loro varietà i megaliti, in base alle somiglianze morfologiche e funzionali, possono essere raggruppati in pochi tipi fondamentali: ‘dolmen’, ‘menhir’, ‘allineamenti’ e ‘cromlech’.

Il termine ‘dolmen’ proviene dal dialetto bretone e significa tavola di pietra (‘dol’= tavola, ‘men’=pietra ). Lo schema base di un dolmen è costituito da due o più blocchi o lastre di pietra poggiati o infissi verticalmente nel terreno, che sostengono una lastra orizzontale di copertura.     A seconda delle località, detto schema è diversificato. Talvolta, per esempio, si accede ad esso con un corridoio costituito di lastre di pietra infisse nel terreno. E’ questo il caso del ‘dolmen di Bisceglie’  (Tav.I, fig. 2), che è composto di una cella alta m. 1,80 e formata da tre grandi lastroni verticali su cui poggia il lastrone di copertura, che misura m 2,40 x m 2,80. E’preceduto da un corridoio lungo m 7,50, ottenuto con pietre piatte infisse verticalmente nel terreno. La sua apertura è verso est. Per le sue caratteristiche il ‘dolmen di Bisceglie’ presenta una certa affinità con i ‘dolmen a corridoio’, costituiti da camera circolare o poligonale e da corridoio più o meno lungo, esistenti in Bretagna e in Normandia. Undici ‘dolmen a corridoio’ sono racchiusi nel doppio tumulo di Barnanez a Plouèzoch, Finistère- Bretagna.       

I  ‘menhir’sono colonne monolitiche di altezza e forma varia; il loro nome proviene dal dialetto bretone e letteralmente significa pietra lunga (‘men’= pietra e ‘hir’= lunga ).     
L’altezza varia da meno di un metro ad oltre 20 metri, come nel caso del menhir di Locmariaquet (il Manè er Groah ), che certamente è il più famoso e fa parte del grandioso complesso di Carnac in Bretagna. Oggi giace a terra rotto in quattro pezzi e sembra che ne manchi un quinto (altezza totale: m 23 circa). Sembra sia caduto per un movimento sismico o a causa di un fulmine, il suo peso è stato calcolato in 300 tonnellate; si ritiene che per la sua erezione sia stata impegnata una forza lavoro di 3000 persone.

Il termine ‘cromlech’ proviene anch’essa dal dialetto bretone ( ‘crum’= curva e ‘lech ’= pietra) e sta ad indicare un insieme di menhir che delimitano una superficie variamente curva. Il cromlech più famoso è certamente Stonehenge (v. Tav. 2 ) in Wiltshire (Inghilterra Meridionale) , che ha un raggio di 50 metri e nella sua parte centrale (v. Tav. 3 ) conta 125 pietre, di cui 30 alte più di  4 metri che, unite da architravi monolitici, sono disposte in un cerchio di oltre 15 metri di raggio. Più internamente, separati da un altro cerchio formato con pietre più piccole, vi sono cinque triliti disposti a ferro di cavallo dei quali quello centrale è alto 8 metri . Più all’interno, quasi al centro del monumento, si trova la ‘pietra dell’altare’ posta quasi a livello del suolo, attraverso il cui asse centrale, traguardando la punta di menhir esterno al complesso, la Heelstone, si vede sorgere il sole il 21 di giugno (solstizio d’estate).
Negli ultimi tempi l’intero complesso di Stonehenge è stato studiato con l’aiuto del computer. Si è cosi pervenuti a sorprendenti risultati che si possono così riassumere: chi costruì ( in più fasi, dal 2300 al 1600 a.C.) Stonehenge aveva modo di seguire il sorgere e il tramontare del sole e della luna traguardando nei giorni equinoziali e solstiziali determinati punti; poteva quindi seguire il ciclo metonico della luna (ciclo scoperto dal greco Metone , vissuto nel V secolo a.C., cioè molto dopo la costruzione di Stonehenge) e prevedere le eclissi.        

Una serie di menhir disposti in modo da disegnare un andamento lineare più o meno rettilineo costituisce il cosiddetto ‘allineamento’. A Carnac (Francia) sorge il più famoso tra gli allineamenti, il quale è costituito da circa 3000 menhir, distribuiti in tre allineamenti: Ménec, Kermario e Kerlescan. In tutti e tre i menhir sono disposti con altezza decrescente. Si parte, infatti, dagli oltre sei metri dei più alti per arrivare ai più bassi, che misurano meno di mezzo metro. Si pensa che questo straordinario complesso architettonico avesse un significato religioso legato al culto solare, in quanto i vari gruppi di menhir sono orientati verso punti precisi dell’orizzonte. ‘ ‘Un calendario di pietra ’, ‘ un percorso trionfale per il passaggio del Sole ’ sono tipiche espressioni che si leggono nelle descrizioni dell’allineamento di Carnac.  

Dolmen e menhir appartengono alla preistoria, cioè al periodo di sviluppo della civiltà che precede l’invenzione della scrittura e l’affermazione della civiltà urbana. Ma bisogna ammettere che le località in cui si trovano i megaliti siano state abitate in tempi remotissimi da gruppi sociali dediti non soltanto alla caccia e alla raccolta di frutti, ma anche all’agricoltura e, perciò, con dimora relativamente stabile.

Detti gruppi, oltre ad essere costituiti di numerosi individui, dovevano possedere una tecnologia comprendente l’uso del piano inclinato, quello dei rulli cilindrici, utili per trasformare l’attrito radente in attrito volvente, l’uso della leva e, per quanto riguarda alcuni tipi di menhir, tra cui  quelli del Salento, la disponibilità di asce e scalpelli metallici.
Senza le conoscenze e i mezzi predetti non sarebbe stato possibile spostare pesanti massi per chilometri, sollevarli poi a una certa altezza o piantarli verticalmente al suolo.    

E’ stato accertato che la  ‘ pietra bleu ’ di Stonehenge sarebbe stata trasportata da una località distante 400 Km, attraverso terre e fiumi. Eppure i tre elementi che costituiscono la predetta pesano circa 50 tonnellate ciascuno. E’stata anche avanzata l’ipotesi che in alcune zone del Nord i massi molto pesanti siano stati trasportati d’inverno facendoli scivolare sul ghiaccio.

In Europa e nel Medio Oriente la preistoria abbraccia due milioni  di anni a partire dalla comparsa dell’uomo ed è stata suddivisa in età della pietra, età del rame e del bronzo ed età del ferro.  

L’età della pietra è stata ulteriormente suddivisa in tre periodi, e precisamente: ‘paleolitico’ o della pietra scheggiata, ‘mesolitico’ e ‘neolitico’. Durante quest’ultimo le armi e gli utensili in pietra  erano accuratamente levigati.

Lunghissima è stata la durata  del paleolitico, suddiviso a sua volta in paleolitico inferiore (il più antico), paleolitico medio e paleolitico superiore (il più recente).

Ad Altamura, in provincia di Bari, è stato rinvenuto recentemente, sigillato nelle stalagmiti di una grotta carsica, lo scheletro di un uomo vissuto all’incirca 250.000 anni fa. Si trova in una colata di pietra traslucida che lascia intravedere il teschio e il resto dello scheletro (v. Tav. V). E’ la prima volta al mondo che torna alla luce un intero scheletro di un uomo vissuto molte migliaia di anni prima che sulla terra comparisse il cosiddetto ‘homo sapiens sapiens’ (con la capacità cranica di 1350 cc ).
Si tratta di un esemplare umano collocabile tra il cosiddetto ‘homo erectus’, vissuto tra 1.600.000 e 300.000 anni fa, con una capacità cranica di 1.000 cc ,  e l’homo sapiens di Neandertal comparso 125.000 anni fa.
Di quest’ultimo sono stati  rinvenuti in Puglia un femore a Bisceglie, un molare nella grotta del Bambino a Leuca, sette corone smaltate di denti decidui nella grotta Uluzzo di Nardò e un altro dente a S. Maria al Bagno. Quindi è lecito affermare che la Puglia è stata abitata già nel paleolitico inferiore ( durato fino a 80.000 anni fa).

Nel paleolitico superiore (durato fino al 10.000 a.C.) va scomparendo l’uomo di Neandertal e s’impone un’altra razza più progredita in tutti i sensi, la quale somaticamente può reggere il confronto con le razze attuali [uomo di Cro-Magnon / Dordogne (F) ].

Il neolitico inizia intorno al  IX  millennio a.C. e si protrae per circa tre millenni. Intorno al 6.500 a.C. ha inizio il ‘calcolitico’, cioè l’era preistorica caratterizzata dalla presenza contemporanea di strumenti di pietra e di utensili di rame. Questo metallo, rinvenibile in natura allo stato puro (rame nativo), di solito non veniva fuso, ma lavorato colpendolo fino a dargli la forma voluta.  

All’inizio del II millennio a.C. comincia l’età del bronzo o ‘eneolitica’, caratterizzata dall’uso prevalente della lega di rame e stagno per la fabbricazione di armi e utensili.  
Alla  fine del  II millennio a.C. e all’inizio del  I comincia l’età del ferro.

I brevi cenni sulla preistoria soprariportati aiutano a collocare nel tempo la costruzione di dolmen e menhir in generale, e di quelli del Salento in particolare .

Nel 1867, in occasione del Congresso Internazionale di Antropologia e di Archeologia tenutasi a Parigi, ci fu un acceso dibattito tra gli studiosi di preistoria e i cosiddetti ‘antiquari’. Questi ultimi, interpretando le cerimonie religiose delle tribù celtiche, avevano creduto di identificare nei dolmen gli altari sui quali i sacerdoti celtici, i Druidi, compivano sacrifici umani. Ma questo non spiegava come mai i dolmen fossero stati costruiti anche in zone mai abitate da popolazioni celtiche.

Invece gli studiosi di preistoria col metodo comparativo- scientifico e sulla scia del progresso e della evoluzione biologica allora dominanti, sostenevano l’idea di un’influenza da parte dei centri più progrediti del vicino Medio-Oriente nei confronti di quelli più “arretrati” dell’Europa occidentale. A questo concetto si aggiungeva l’idea che i megaliti costituissero un fenomeno unitario, la cui comparsa nelle singole aree europee fosse da ricollegare direttamente alla “colonizzazione” da parte di un “popolo dei megaliti”.    
       
I paletnologi collegarono quindi la presenza di queste strutture dell’Occidente europeo alle manifestazioni dell’età del bronzo nella Grecia micenea (dal XVI all’XI sec. a.C.), individuando in Spagna e in Francia le prime tappe del passaggio ad Occidente.

Ma intorno al 1960, con il metodo del carbonio 14 ( C 14 ), fu stabilito che l’età delle costruzioni megalitiche, già fissata col metodo comparativo-scientifico, andava portata indietro di numerosi secoli.
Più precise datazioni sono state ottenute successivamente confrontando la cronologia di alcune piante ultramillenarie, ottenuta attraverso lo studio degli anelli di accrescimento, con  quelle fornite dal metodo del C14. Si è così dimostrato scientificamente che i megaliti della Francia e della Spagna sono molto più antichi di quelli del mondo miceneo. In particolare:

- i dolmen a corridoio di Barnanez nella Finistère sarebbero stati costruiti tra il 3800 e il 3500 a.C.;
- gli allineamenti di Carnac ( F ) risalirebbero al Neolitico e al Calcolitico ( IV-III millennio a.C.);
- il cromlech di Stonehenge sarebbe sorto tra il 3000 e il 1500 a.C. col concorso di numerose generazioni.

I dolmen di Puglia, pur essendo caratterizzati di una rozza tecnica costruttiva ( sono fatti con blocchi appena sbozzati, la loro camera è di piccole dimensioni, da 2 a 4 mq , e la loro altezza è modesta ); sono localizzati in una stretta fascia costiera e possono essere complessivamente attribuiti alla prima metà del II millennio a.C. ( età del bronzo ), quando la Regione era densamente popolata da gruppi sociali dediti all’agricoltura, che conoscevano l’uso della leva, del piano inclinato e del rullo.

I menhir del Salento risalirebbero invece all’età del ferro, cioè all’inizio del primo millennio a.C.. Infatti osservandoli si nota subito che sono stati prodotti con sussidi tecnologici molto più numerosi di quelli che avevano reso possibile la costruzione dei dolmen. Certamente furono cavati dalla roccia e squadrati con utensili taglienti, per es. accette e scalpelli costruiti con un metallo più duro e meno fragile del bronzo, quale è appunto il ferro.

L’architettura megalitica pugliese conta complessivamente un centinaio di monumenti tra dolmen e menhir, tenendo conto non solo dei monumenti giunti sino a noi integri, ma anche dei dolmen di cui è rimasto solo il lastrone superiore o frammenti di esso e di menhir ridotti a monconi di pietra.

C’è da notare che i dolmen del Salento sono un po’ diversi da quelli esistenti nella zona di Bari,  (per es. il dolmen di Bisceglie); infatti avendo i loro pilastri costituiti da massi, talvolta sovrapposti, sono simili a quelli di Malta, che risalgono al XV secolo a.C. .

Il dolmen di Scusi, in territorio di Minervino di Lecce, è stato il primo ad essere scoperto, nel 1867  da Luigi Maggiulli. Dieci anni dopo, nel 1877, Cosimo De Giorgi  scoprì e descrisse un secondo dolmen, quello di Cocumola. Seguì la scoperta fatta da Pasquale Maggiulli di altri otto dolmen in territorio di Giurdignano, sulla strada per la masseria Quattro Macini (v. Tav. VI ).

Lo stesso Pasquale Maggiulli in una sua comunicazione (corredata da tavole fotografiche e planimetriche) presentata nel 1910 alla Società delle Scienze, a proposito dei dolmen da lui scoperti e di quelli già noti, ha scritto fra l’altro: “ dodici (dolmen) sorgono in lunga fila, quasi da Nord a Sud, alla vista e poco lontani dalle coste del mare Adriatico e due soltanto sulle coste dello Ionio. I primi si estendono dalle campagne di Vaste fino a quelle di Melendugno, per quasi venti chilometri in linea retta”  

Nel 1912 Cosimo De Giorgi nel volume III della rivista ‘Apulia’ pubblicava un articolo intitolato “Censimento dei dolmen di Terra d’Otranto”.
Il primo che in Terra d’Otranto segnalò i menhir, detti anche ‘pietre- fitte ’, fu il predetto Luigi Maggiulli. Successivamente, nel 1881, sul ‘Bollettino di Paleontologia Italiana’, Ulderico Botti pubblicava un articolo dal titolo “Schiarimenti intorno alle pietre-fitte di Terra d’Otranto”. E nel 1916 Cosimo De Giorgi scriveva per la ‘Rivista di Storia Salentina un articolo intitolato “I menhir della Provincia di Lecce”.     

Da queste brevi notizie  sul ritrovamento e sulle prime pubblicazioni sui megaliti del Salento si evince che detti monumenti, mentre hanno alimentato, come si vedrà più avanti, la fantasia e la religiosità popolare, non hanno invece suscitato concreto interesse tra gli studiosi di storia e di archeologia.

Nel 1933 Pasquale Maggiulli, in un articolo intitolato “ Le nostre pietre-fitte ”, pubblicato su  ‘Rinascenza Salentina’ (pp. 252-258), scrive “ …Le nostre pietre-fitte sono tutte, con la loro faccia più stretta, matematicamente orientate verso la stella polare e quindi nel piano della culminazione solare, come disse il De Giorgi, …(il che) certamente accenna ad un concetto naturale religioso che richiama quello…degli allineamenti dei menhir nei ‘menec’ (di Carnac in Francia) ”.     

Continua il Maggiulli: “ … con le loro parti più larghe rivolte a oriente e occidente le nostre pietre fitte accennano al verificarsi dei solstizi (22 giugno e 22 dicembre) e degli equinozi (21 marzo e 23 settembre) ? oppure accennano al quotidiano viaggio del sole che sorge al mattino ad Est e tramonta nella sera a Ovest, continuando poi nella notte, secondo le antichissime credenze, il suo viaggio su una barca sul fiume Oceano ?

E conclude: “ La risposta non è facile ed io non so, né posso darla.”
Purtroppo quest’ultima affermazione è ancora attuale, poiché molto è stato scritto sui megaliti pugliesi, ma il loro problema non è stato mai risolto: molte sono le cose che rimangono ancora da chiarire. 
Paolo Malagrinò, nel suo volumetto ‘Dolmen e menhir di Puglia’ (Schena Editore –Fasano,1978), afferma testualmente: “ E’ un problema di per sé la presenza dei megaliti in Puglia, assenti nel resto dell’Italia continentale. Procedendo dal Medio- Oriente all’Europa di Spagna, Francia e Inghilterra, la Puglia e le Isole (Malta, Sardegna, Corsica, Baleari, ecc.) assicurano la continuità del fenomeno. Ancora non si può definire con molta precisione la loro età, in quanto per i dolmen vengono in aiuto, a volte, i reperti archeologici, attraverso i quali si possono avanzare ipotesi e riferimenti cronologici limitati, per i menhir non abbiamo nulla di tutto ciò …”.  
    
Alcuni dolmen pugliesi hanno restituito scheletri ( e lo stesso è avvenuto per i dolmen maltesi ), ma altri no, probabilmente perché depredati nel tempo.

E’ lecito quindi avanzare l’ipotesi che essi fossero tombe in cui venivano seppelliti personaggi ritenuti importanti dal gruppo sociale di appartenenza, per esempio capi tribù, stregoni, sacerdoti  dei culti solari, ecc. . Forse precedentemente si destinavano ad uso sepolcrale grotte naturali;  poi si è cercato di riprodurre tali grotte artificialmente costruendo dolmen o scavando tombe sotterranee. La scelta dell’una o dell’altra soluzione sarebbe stata determinata dal terreno, dalla natura litologica del substrato: un terreno duro e roccioso, come quello calcareo, avrebbe indotto alla costruzione dei dolmen; un terreno più facile a lavorare e scavare avrebbe orientato verso l’escavazione di tombe sotterranee. I dolmen forse erano coperti da un tumulo di pietre e terra dal quale sarebbero stati liberati dall’azione degli agenti atmosferici e da quella dell’uomo.

I megaliti hanno sempre suscitato stupore a causa delle loro dimensioni e del mistero della loro origine. Perciò essi sono stati anche oggetto di pratiche idolatriche.

Nei primi secoli dell’era cristiana il ‘culto delle pietre ’era talmente diffuso che nel 453 d.C. un editto dell’imperatore Teodosio II imponeva la distruzione di detti monumenti. Nel 452 il concilio di Arles dichiarava ‘colpevole di sacrilegio il vescovo che avesse tollerato nel suo territorio il culto delle pietre ’. Ancora, nel 789 Carlo Magno ordinava la distruzione delle pietre venerate dalle popolazioni del suo impero. Ma a giudicare dal numero di megaliti giunti fino a noi bisogna dire che né gli editti degli imperatori, né le minacce di anatemi del clero furono molto ascoltate.

Intorno ai monumenti megalitici sono nate sin dai tempi più remoti superstizioni e leggende. I dolmen, per esempio, sono stati ricollegati a popolazioni di Giganti. Si tratterebbe quindi delle loro tombe o delle abitazioni di spiriti del bosco costruite da giganti loro amici o ancora di dimore di fate o di streghe.

Ai menhir è stato di solito attribuito un influsso negativo, come rivelano le denominazioni (pietra malvagia, pietra del peccato, pietra del diavolo, ecc.).
P. Maggiulli racconta che un contadino, riferendosi ad un menhir che si trova nei pressi della stazione ferroviaria di Giurdignano,  avrebbe detto: “non si può sradicare ed abbattere quella colonna, perché è tenuta dalle unghie di diavoli.”  
Talvolta, però, si credeva che toccando un menhir si potesse guarire da alcune malattie: a Drachè, nella Loire, si passava un arto ferito o malato nel foro di un certo menhir per guarire e nella Charente si passava attraverso il dolmen di Cressac per avere figli.

Anche gli allineamenti di Carnac non si sono sottratti all’immaginazione popolare: nelle lunghe file di menhir regolarmente disposti si è arrivati a ravvisare i soldati romani pietrificati da S. Cornelio che volevano arrestare.

Col diffondersi del Cristianesimo anche i menhir hanno subito un processo di cristianizzazione notevole. Anche nel Salento alcuni menhir sono stati “timbrati” col segno della croce e trasformati in colonna  de lu Sanna” ovvero in Osanna, che nel linguaggio ebraico significa “salva, o Signore.” Si direbbe che la Chiesa, constatata l’inefficacia delle sue sollecitazioni e degli editti imperiali, tendenti alla distruzione dei megaliti, abbia fatto di necessità virtù, “ lanciando ( come scrive P. Maggiulli)  agli evangelizzati popoli una parola di conforto: la pietra può star bene con l’Evangelio.”

Fra i numerosi megaliti del Salento i seguenti, facilmente visitabili, sono fra i più noti:

- il dolmen di  Scusi è l’esemplare più bello e meglio conservato; si trova a 500 metri da Minervino di Lecce sulla via per Uggiano la Chiesa, a 50 metri dalla strada in un fondo denominato Scusi; è composto da un lastrone di breccia calcarea dello spessore di cm 45, il cui  perimetro è superiore a 11 metri (lunghezza m 3,80 ca., larghezza m 2,50 ca.); esso poggia ad un metro dal suolo su otto pilastri, dei quali uno solo è monolitico e misura un metro sia alla base che in altezza, gli altri pilastri sono costituiti da pietre sovrapposte tra loro o ad affioramenti rocciosi; un foro di 20 centimetri di diametro attraversa il lastrone da parte a parte;

- il dolmen Gurgulante si trova sulla via Melendugno-Calimera, ad un paio di chilometri da Melendugno; è costruito in tufo molto friabile ed ha piccole dimensioni, infatti il lastrone di copertura misura m 2,00 x m 1,50 e poggia su cinque pilastri monolitici a cui sono state aggiunte,  probabilmente in epoca posteriore, altre pietre per rendere più stabile la costruzione; si alza dal suolo una settantina di centimetri e presenta l’apertura rivolta a N-NW;   

- il dolmen  Placa, bello e solenne, ha un aspetto diverso dal precedente dal quale, sulla via Melendugno-Calimera,  dista un paio di chilometri ; ha la tavola di copertura di medie dimensioni (m 1,80 x m 1,60), poggiante su sette pilastri di cui quattro monolitici, che si alza  per meno di un metro dal suolo; ha l’apertura rivolta a S-W ed è costruito in calcare molto tenace;

- il menhir Croce di S. Antonio è situato nelle vicinanze di Muro Leccese, in località Zicche; alto e snello, misura m 4,20 in altezza e cm 50 x cm 30 alla base; nella parte superiore è sgretolato e la cima è alquanto singolare; la sua linea svettante è accentuata dalla presenza di un basamento isolato alto un metro;

- il menhir S. Vincenzo si trova all’ingresso di Giurdignano, all’incrocio della strada provinciale con la via Menhir; alto m 3,50, misura alla base cm 45 x cm 30; é orientato con le facce larghe nella direzione E-W; nella parte superiore è stato apposto un nastro di ferro per evitare che si rompesse;

- il  menhir S. Paolo è nei pressi dell’abitato di Giurdignano; sorge infisso nella roccia su una piccola grotta artificiale, sulle cui pareti è stato dipinto in affresco S. Paolo,e che è tuttora luogo di venerazione; è alto m 2,25, ha la base cm 35 x cm 25 ed è orientato con le facce larghe nella direzione E-W;           

- il menhir Vicinanze I  è posto fuori Giurdignano, lungo la strada che porta a località Vicinanze. Alto m 3,00, alla base misura cm 42 x cm28 con le facce larghe orientate in direzione E-W;

- il menhir di Bagnolo si trova fuori del Paese sulla strada che porta a Cursi, nei pressi del cimitero; misura oltre 4 metri di altezza e cm 45 x cm 30 alla base con le facce più larghe orientate in direzione E-W; è ben conservato e bello a vedersi;

- il menhir Croce di Bagnolo si trova lungo la strada Bagnolo–Cursi e, malgrado il nome, è posto nel territorio del Comune di Cursi; alto m 4,60, misura alla base  cm 50 x cm 30 con le facce più larghe orientate in direzione E-W; ha un aspetto bello e imponente.  
                                                                                                                         Pietro Congedo