venerdì 28 dicembre 2012

Dolmen e Menhir con particolare riferimento a quelli del Basso Salento


Col termine   ‘monumento megalitico’ o più semplicemente ‘megalito’ gli studiosi di preistoria indicano  una costruzione in pietra realizzata utilizzando blocchi di grandi dimensioni ( dal greco ‘megas’= grande e ‘lithos’= pietra ).

Costruzioni di tal genere nell’Europa settentrionale e occidentale ( ivi compresa l’Italia ) sono state realizzate  dalla seconda metà del V millennio fino al  I millennio a.C. .

Oltre che in Europa (Paesi Scandinavi, Penisola Iberica, Francia, Gran Bretagna, Germania meridionale, Svizzera e Italia), costruzioni megalitiche esistono in Africa  (Algeria, Etiopia, Sudan), in Giappone, nell’India centrale e meridionale e in alcune isole dell’Oceano Pacifico.

Volendosi occupare dei megaliti del Basso Salento non si può non accennare a quelli dell’Europa atlantica (Gran Bretagna, Francia e Spagna), ritenuti i più antichi e soprattutto non possiamo prescindere da quelli esistenti nelle isole del Mediterraneo (Baleari, Sardegna, Corsica, Malta, ecc.), con i quali quelli salentini presentano notevoli analogie storiche e strutturali.

Attualmente il megalitismo è ancora diffuso in Etiopia, India e Madagascar. Lo stesso dicasi per l’Oceania, dove si rizzano ‘menhir’ per un fidanzamento, per un matrimonio o per la promozione sociale di una persona in vista .

Pur nella loro varietà i megaliti, in base alle somiglianze morfologiche e funzionali, possono essere raggruppati in pochi tipi fondamentali: ‘dolmen’, ‘menhir’, ‘allineamenti’ e ‘cromlech’.

Il termine ‘dolmen’ proviene dal dialetto bretone e significa tavola di pietra (‘dol’= tavola, ‘men’=pietra ). Lo schema base di un dolmen è costituito da due o più blocchi o lastre di pietra poggiati o infissi verticalmente nel terreno, che sostengono una lastra orizzontale di copertura.     A seconda delle località, detto schema è diversificato. Talvolta, per esempio, si accede ad esso con un corridoio costituito di lastre di pietra infisse nel terreno. E’ questo il caso del ‘dolmen di Bisceglie’  (Tav.I, fig. 2), che è composto di una cella alta m. 1,80 e formata da tre grandi lastroni verticali su cui poggia il lastrone di copertura, che misura m 2,40 x m 2,80. E’preceduto da un corridoio lungo m 7,50, ottenuto con pietre piatte infisse verticalmente nel terreno. La sua apertura è verso est. Per le sue caratteristiche il ‘dolmen di Bisceglie’ presenta una certa affinità con i ‘dolmen a corridoio’, costituiti da camera circolare o poligonale e da corridoio più o meno lungo, esistenti in Bretagna e in Normandia. Undici ‘dolmen a corridoio’ sono racchiusi nel doppio tumulo di Barnanez a Plouèzoch, Finistère- Bretagna.       

I  ‘menhir’sono colonne monolitiche di altezza e forma varia; il loro nome proviene dal dialetto bretone e letteralmente significa pietra lunga (‘men’= pietra e ‘hir’= lunga ).     
L’altezza varia da meno di un metro ad oltre 20 metri, come nel caso del menhir di Locmariaquet (il Manè er Groah ), che certamente è il più famoso e fa parte del grandioso complesso di Carnac in Bretagna. Oggi giace a terra rotto in quattro pezzi e sembra che ne manchi un quinto (altezza totale: m 23 circa). Sembra sia caduto per un movimento sismico o a causa di un fulmine, il suo peso è stato calcolato in 300 tonnellate; si ritiene che per la sua erezione sia stata impegnata una forza lavoro di 3000 persone.

Il termine ‘cromlech’ proviene anch’essa dal dialetto bretone ( ‘crum’= curva e ‘lech ’= pietra) e sta ad indicare un insieme di menhir che delimitano una superficie variamente curva. Il cromlech più famoso è certamente Stonehenge (v. Tav. 2 ) in Wiltshire (Inghilterra Meridionale) , che ha un raggio di 50 metri e nella sua parte centrale (v. Tav. 3 ) conta 125 pietre, di cui 30 alte più di  4 metri che, unite da architravi monolitici, sono disposte in un cerchio di oltre 15 metri di raggio. Più internamente, separati da un altro cerchio formato con pietre più piccole, vi sono cinque triliti disposti a ferro di cavallo dei quali quello centrale è alto 8 metri . Più all’interno, quasi al centro del monumento, si trova la ‘pietra dell’altare’ posta quasi a livello del suolo, attraverso il cui asse centrale, traguardando la punta di menhir esterno al complesso, la Heelstone, si vede sorgere il sole il 21 di giugno (solstizio d’estate).
Negli ultimi tempi l’intero complesso di Stonehenge è stato studiato con l’aiuto del computer. Si è cosi pervenuti a sorprendenti risultati che si possono così riassumere: chi costruì ( in più fasi, dal 2300 al 1600 a.C.) Stonehenge aveva modo di seguire il sorgere e il tramontare del sole e della luna traguardando nei giorni equinoziali e solstiziali determinati punti; poteva quindi seguire il ciclo metonico della luna (ciclo scoperto dal greco Metone , vissuto nel V secolo a.C., cioè molto dopo la costruzione di Stonehenge) e prevedere le eclissi.        

Una serie di menhir disposti in modo da disegnare un andamento lineare più o meno rettilineo costituisce il cosiddetto ‘allineamento’. A Carnac (Francia) sorge il più famoso tra gli allineamenti, il quale è costituito da circa 3000 menhir, distribuiti in tre allineamenti: Ménec, Kermario e Kerlescan. In tutti e tre i menhir sono disposti con altezza decrescente. Si parte, infatti, dagli oltre sei metri dei più alti per arrivare ai più bassi, che misurano meno di mezzo metro. Si pensa che questo straordinario complesso architettonico avesse un significato religioso legato al culto solare, in quanto i vari gruppi di menhir sono orientati verso punti precisi dell’orizzonte. ‘ ‘Un calendario di pietra ’, ‘ un percorso trionfale per il passaggio del Sole ’ sono tipiche espressioni che si leggono nelle descrizioni dell’allineamento di Carnac.  

Dolmen e menhir appartengono alla preistoria, cioè al periodo di sviluppo della civiltà che precede l’invenzione della scrittura e l’affermazione della civiltà urbana. Ma bisogna ammettere che le località in cui si trovano i megaliti siano state abitate in tempi remotissimi da gruppi sociali dediti non soltanto alla caccia e alla raccolta di frutti, ma anche all’agricoltura e, perciò, con dimora relativamente stabile.

Detti gruppi, oltre ad essere costituiti di numerosi individui, dovevano possedere una tecnologia comprendente l’uso del piano inclinato, quello dei rulli cilindrici, utili per trasformare l’attrito radente in attrito volvente, l’uso della leva e, per quanto riguarda alcuni tipi di menhir, tra cui  quelli del Salento, la disponibilità di asce e scalpelli metallici.
Senza le conoscenze e i mezzi predetti non sarebbe stato possibile spostare pesanti massi per chilometri, sollevarli poi a una certa altezza o piantarli verticalmente al suolo.    

E’ stato accertato che la  ‘ pietra bleu ’ di Stonehenge sarebbe stata trasportata da una località distante 400 Km, attraverso terre e fiumi. Eppure i tre elementi che costituiscono la predetta pesano circa 50 tonnellate ciascuno. E’stata anche avanzata l’ipotesi che in alcune zone del Nord i massi molto pesanti siano stati trasportati d’inverno facendoli scivolare sul ghiaccio.

In Europa e nel Medio Oriente la preistoria abbraccia due milioni  di anni a partire dalla comparsa dell’uomo ed è stata suddivisa in età della pietra, età del rame e del bronzo ed età del ferro.  

L’età della pietra è stata ulteriormente suddivisa in tre periodi, e precisamente: ‘paleolitico’ o della pietra scheggiata, ‘mesolitico’ e ‘neolitico’. Durante quest’ultimo le armi e gli utensili in pietra  erano accuratamente levigati.

Lunghissima è stata la durata  del paleolitico, suddiviso a sua volta in paleolitico inferiore (il più antico), paleolitico medio e paleolitico superiore (il più recente).

Ad Altamura, in provincia di Bari, è stato rinvenuto recentemente, sigillato nelle stalagmiti di una grotta carsica, lo scheletro di un uomo vissuto all’incirca 250.000 anni fa. Si trova in una colata di pietra traslucida che lascia intravedere il teschio e il resto dello scheletro (v. Tav. V). E’ la prima volta al mondo che torna alla luce un intero scheletro di un uomo vissuto molte migliaia di anni prima che sulla terra comparisse il cosiddetto ‘homo sapiens sapiens’ (con la capacità cranica di 1350 cc ).
Si tratta di un esemplare umano collocabile tra il cosiddetto ‘homo erectus’, vissuto tra 1.600.000 e 300.000 anni fa, con una capacità cranica di 1.000 cc ,  e l’homo sapiens di Neandertal comparso 125.000 anni fa.
Di quest’ultimo sono stati  rinvenuti in Puglia un femore a Bisceglie, un molare nella grotta del Bambino a Leuca, sette corone smaltate di denti decidui nella grotta Uluzzo di Nardò e un altro dente a S. Maria al Bagno. Quindi è lecito affermare che la Puglia è stata abitata già nel paleolitico inferiore ( durato fino a 80.000 anni fa).

Nel paleolitico superiore (durato fino al 10.000 a.C.) va scomparendo l’uomo di Neandertal e s’impone un’altra razza più progredita in tutti i sensi, la quale somaticamente può reggere il confronto con le razze attuali [uomo di Cro-Magnon / Dordogne (F) ].

Il neolitico inizia intorno al  IX  millennio a.C. e si protrae per circa tre millenni. Intorno al 6.500 a.C. ha inizio il ‘calcolitico’, cioè l’era preistorica caratterizzata dalla presenza contemporanea di strumenti di pietra e di utensili di rame. Questo metallo, rinvenibile in natura allo stato puro (rame nativo), di solito non veniva fuso, ma lavorato colpendolo fino a dargli la forma voluta.  

All’inizio del II millennio a.C. comincia l’età del bronzo o ‘eneolitica’, caratterizzata dall’uso prevalente della lega di rame e stagno per la fabbricazione di armi e utensili.  
Alla  fine del  II millennio a.C. e all’inizio del  I comincia l’età del ferro.

I brevi cenni sulla preistoria soprariportati aiutano a collocare nel tempo la costruzione di dolmen e menhir in generale, e di quelli del Salento in particolare .

Nel 1867, in occasione del Congresso Internazionale di Antropologia e di Archeologia tenutasi a Parigi, ci fu un acceso dibattito tra gli studiosi di preistoria e i cosiddetti ‘antiquari’. Questi ultimi, interpretando le cerimonie religiose delle tribù celtiche, avevano creduto di identificare nei dolmen gli altari sui quali i sacerdoti celtici, i Druidi, compivano sacrifici umani. Ma questo non spiegava come mai i dolmen fossero stati costruiti anche in zone mai abitate da popolazioni celtiche.

Invece gli studiosi di preistoria col metodo comparativo- scientifico e sulla scia del progresso e della evoluzione biologica allora dominanti, sostenevano l’idea di un’influenza da parte dei centri più progrediti del vicino Medio-Oriente nei confronti di quelli più “arretrati” dell’Europa occidentale. A questo concetto si aggiungeva l’idea che i megaliti costituissero un fenomeno unitario, la cui comparsa nelle singole aree europee fosse da ricollegare direttamente alla “colonizzazione” da parte di un “popolo dei megaliti”.    
       
I paletnologi collegarono quindi la presenza di queste strutture dell’Occidente europeo alle manifestazioni dell’età del bronzo nella Grecia micenea (dal XVI all’XI sec. a.C.), individuando in Spagna e in Francia le prime tappe del passaggio ad Occidente.

Ma intorno al 1960, con il metodo del carbonio 14 ( C 14 ), fu stabilito che l’età delle costruzioni megalitiche, già fissata col metodo comparativo-scientifico, andava portata indietro di numerosi secoli.
Più precise datazioni sono state ottenute successivamente confrontando la cronologia di alcune piante ultramillenarie, ottenuta attraverso lo studio degli anelli di accrescimento, con  quelle fornite dal metodo del C14. Si è così dimostrato scientificamente che i megaliti della Francia e della Spagna sono molto più antichi di quelli del mondo miceneo. In particolare:

- i dolmen a corridoio di Barnanez nella Finistère sarebbero stati costruiti tra il 3800 e il 3500 a.C.;
- gli allineamenti di Carnac ( F ) risalirebbero al Neolitico e al Calcolitico ( IV-III millennio a.C.);
- il cromlech di Stonehenge sarebbe sorto tra il 3000 e il 1500 a.C. col concorso di numerose generazioni.

I dolmen di Puglia, pur essendo caratterizzati di una rozza tecnica costruttiva ( sono fatti con blocchi appena sbozzati, la loro camera è di piccole dimensioni, da 2 a 4 mq , e la loro altezza è modesta ); sono localizzati in una stretta fascia costiera e possono essere complessivamente attribuiti alla prima metà del II millennio a.C. ( età del bronzo ), quando la Regione era densamente popolata da gruppi sociali dediti all’agricoltura, che conoscevano l’uso della leva, del piano inclinato e del rullo.

I menhir del Salento risalirebbero invece all’età del ferro, cioè all’inizio del primo millennio a.C.. Infatti osservandoli si nota subito che sono stati prodotti con sussidi tecnologici molto più numerosi di quelli che avevano reso possibile la costruzione dei dolmen. Certamente furono cavati dalla roccia e squadrati con utensili taglienti, per es. accette e scalpelli costruiti con un metallo più duro e meno fragile del bronzo, quale è appunto il ferro.

L’architettura megalitica pugliese conta complessivamente un centinaio di monumenti tra dolmen e menhir, tenendo conto non solo dei monumenti giunti sino a noi integri, ma anche dei dolmen di cui è rimasto solo il lastrone superiore o frammenti di esso e di menhir ridotti a monconi di pietra.

C’è da notare che i dolmen del Salento sono un po’ diversi da quelli esistenti nella zona di Bari,  (per es. il dolmen di Bisceglie); infatti avendo i loro pilastri costituiti da massi, talvolta sovrapposti, sono simili a quelli di Malta, che risalgono al XV secolo a.C. .

Il dolmen di Scusi, in territorio di Minervino di Lecce, è stato il primo ad essere scoperto, nel 1867  da Luigi Maggiulli. Dieci anni dopo, nel 1877, Cosimo De Giorgi  scoprì e descrisse un secondo dolmen, quello di Cocumola. Seguì la scoperta fatta da Pasquale Maggiulli di altri otto dolmen in territorio di Giurdignano, sulla strada per la masseria Quattro Macini (v. Tav. VI ).

Lo stesso Pasquale Maggiulli in una sua comunicazione (corredata da tavole fotografiche e planimetriche) presentata nel 1910 alla Società delle Scienze, a proposito dei dolmen da lui scoperti e di quelli già noti, ha scritto fra l’altro: “ dodici (dolmen) sorgono in lunga fila, quasi da Nord a Sud, alla vista e poco lontani dalle coste del mare Adriatico e due soltanto sulle coste dello Ionio. I primi si estendono dalle campagne di Vaste fino a quelle di Melendugno, per quasi venti chilometri in linea retta”  

Nel 1912 Cosimo De Giorgi nel volume III della rivista ‘Apulia’ pubblicava un articolo intitolato “Censimento dei dolmen di Terra d’Otranto”.
Il primo che in Terra d’Otranto segnalò i menhir, detti anche ‘pietre- fitte ’, fu il predetto Luigi Maggiulli. Successivamente, nel 1881, sul ‘Bollettino di Paleontologia Italiana’, Ulderico Botti pubblicava un articolo dal titolo “Schiarimenti intorno alle pietre-fitte di Terra d’Otranto”. E nel 1916 Cosimo De Giorgi scriveva per la ‘Rivista di Storia Salentina un articolo intitolato “I menhir della Provincia di Lecce”.     

Da queste brevi notizie  sul ritrovamento e sulle prime pubblicazioni sui megaliti del Salento si evince che detti monumenti, mentre hanno alimentato, come si vedrà più avanti, la fantasia e la religiosità popolare, non hanno invece suscitato concreto interesse tra gli studiosi di storia e di archeologia.

Nel 1933 Pasquale Maggiulli, in un articolo intitolato “ Le nostre pietre-fitte ”, pubblicato su  ‘Rinascenza Salentina’ (pp. 252-258), scrive “ …Le nostre pietre-fitte sono tutte, con la loro faccia più stretta, matematicamente orientate verso la stella polare e quindi nel piano della culminazione solare, come disse il De Giorgi, …(il che) certamente accenna ad un concetto naturale religioso che richiama quello…degli allineamenti dei menhir nei ‘menec’ (di Carnac in Francia) ”.     

Continua il Maggiulli: “ … con le loro parti più larghe rivolte a oriente e occidente le nostre pietre fitte accennano al verificarsi dei solstizi (22 giugno e 22 dicembre) e degli equinozi (21 marzo e 23 settembre) ? oppure accennano al quotidiano viaggio del sole che sorge al mattino ad Est e tramonta nella sera a Ovest, continuando poi nella notte, secondo le antichissime credenze, il suo viaggio su una barca sul fiume Oceano ?

E conclude: “ La risposta non è facile ed io non so, né posso darla.”
Purtroppo quest’ultima affermazione è ancora attuale, poiché molto è stato scritto sui megaliti pugliesi, ma il loro problema non è stato mai risolto: molte sono le cose che rimangono ancora da chiarire. 
Paolo Malagrinò, nel suo volumetto ‘Dolmen e menhir di Puglia’ (Schena Editore –Fasano,1978), afferma testualmente: “ E’ un problema di per sé la presenza dei megaliti in Puglia, assenti nel resto dell’Italia continentale. Procedendo dal Medio- Oriente all’Europa di Spagna, Francia e Inghilterra, la Puglia e le Isole (Malta, Sardegna, Corsica, Baleari, ecc.) assicurano la continuità del fenomeno. Ancora non si può definire con molta precisione la loro età, in quanto per i dolmen vengono in aiuto, a volte, i reperti archeologici, attraverso i quali si possono avanzare ipotesi e riferimenti cronologici limitati, per i menhir non abbiamo nulla di tutto ciò …”.  
    
Alcuni dolmen pugliesi hanno restituito scheletri ( e lo stesso è avvenuto per i dolmen maltesi ), ma altri no, probabilmente perché depredati nel tempo.

E’ lecito quindi avanzare l’ipotesi che essi fossero tombe in cui venivano seppelliti personaggi ritenuti importanti dal gruppo sociale di appartenenza, per esempio capi tribù, stregoni, sacerdoti  dei culti solari, ecc. . Forse precedentemente si destinavano ad uso sepolcrale grotte naturali;  poi si è cercato di riprodurre tali grotte artificialmente costruendo dolmen o scavando tombe sotterranee. La scelta dell’una o dell’altra soluzione sarebbe stata determinata dal terreno, dalla natura litologica del substrato: un terreno duro e roccioso, come quello calcareo, avrebbe indotto alla costruzione dei dolmen; un terreno più facile a lavorare e scavare avrebbe orientato verso l’escavazione di tombe sotterranee. I dolmen forse erano coperti da un tumulo di pietre e terra dal quale sarebbero stati liberati dall’azione degli agenti atmosferici e da quella dell’uomo.

I megaliti hanno sempre suscitato stupore a causa delle loro dimensioni e del mistero della loro origine. Perciò essi sono stati anche oggetto di pratiche idolatriche.

Nei primi secoli dell’era cristiana il ‘culto delle pietre ’era talmente diffuso che nel 453 d.C. un editto dell’imperatore Teodosio II imponeva la distruzione di detti monumenti. Nel 452 il concilio di Arles dichiarava ‘colpevole di sacrilegio il vescovo che avesse tollerato nel suo territorio il culto delle pietre ’. Ancora, nel 789 Carlo Magno ordinava la distruzione delle pietre venerate dalle popolazioni del suo impero. Ma a giudicare dal numero di megaliti giunti fino a noi bisogna dire che né gli editti degli imperatori, né le minacce di anatemi del clero furono molto ascoltate.

Intorno ai monumenti megalitici sono nate sin dai tempi più remoti superstizioni e leggende. I dolmen, per esempio, sono stati ricollegati a popolazioni di Giganti. Si tratterebbe quindi delle loro tombe o delle abitazioni di spiriti del bosco costruite da giganti loro amici o ancora di dimore di fate o di streghe.

Ai menhir è stato di solito attribuito un influsso negativo, come rivelano le denominazioni (pietra malvagia, pietra del peccato, pietra del diavolo, ecc.).
P. Maggiulli racconta che un contadino, riferendosi ad un menhir che si trova nei pressi della stazione ferroviaria di Giurdignano,  avrebbe detto: “non si può sradicare ed abbattere quella colonna, perché è tenuta dalle unghie di diavoli.”  
Talvolta, però, si credeva che toccando un menhir si potesse guarire da alcune malattie: a Drachè, nella Loire, si passava un arto ferito o malato nel foro di un certo menhir per guarire e nella Charente si passava attraverso il dolmen di Cressac per avere figli.

Anche gli allineamenti di Carnac non si sono sottratti all’immaginazione popolare: nelle lunghe file di menhir regolarmente disposti si è arrivati a ravvisare i soldati romani pietrificati da S. Cornelio che volevano arrestare.

Col diffondersi del Cristianesimo anche i menhir hanno subito un processo di cristianizzazione notevole. Anche nel Salento alcuni menhir sono stati “timbrati” col segno della croce e trasformati in colonna  de lu Sanna” ovvero in Osanna, che nel linguaggio ebraico significa “salva, o Signore.” Si direbbe che la Chiesa, constatata l’inefficacia delle sue sollecitazioni e degli editti imperiali, tendenti alla distruzione dei megaliti, abbia fatto di necessità virtù, “ lanciando ( come scrive P. Maggiulli)  agli evangelizzati popoli una parola di conforto: la pietra può star bene con l’Evangelio.”

Fra i numerosi megaliti del Salento i seguenti, facilmente visitabili, sono fra i più noti:

- il dolmen di  Scusi è l’esemplare più bello e meglio conservato; si trova a 500 metri da Minervino di Lecce sulla via per Uggiano la Chiesa, a 50 metri dalla strada in un fondo denominato Scusi; è composto da un lastrone di breccia calcarea dello spessore di cm 45, il cui  perimetro è superiore a 11 metri (lunghezza m 3,80 ca., larghezza m 2,50 ca.); esso poggia ad un metro dal suolo su otto pilastri, dei quali uno solo è monolitico e misura un metro sia alla base che in altezza, gli altri pilastri sono costituiti da pietre sovrapposte tra loro o ad affioramenti rocciosi; un foro di 20 centimetri di diametro attraversa il lastrone da parte a parte;

- il dolmen Gurgulante si trova sulla via Melendugno-Calimera, ad un paio di chilometri da Melendugno; è costruito in tufo molto friabile ed ha piccole dimensioni, infatti il lastrone di copertura misura m 2,00 x m 1,50 e poggia su cinque pilastri monolitici a cui sono state aggiunte,  probabilmente in epoca posteriore, altre pietre per rendere più stabile la costruzione; si alza dal suolo una settantina di centimetri e presenta l’apertura rivolta a N-NW;   

- il dolmen  Placa, bello e solenne, ha un aspetto diverso dal precedente dal quale, sulla via Melendugno-Calimera,  dista un paio di chilometri ; ha la tavola di copertura di medie dimensioni (m 1,80 x m 1,60), poggiante su sette pilastri di cui quattro monolitici, che si alza  per meno di un metro dal suolo; ha l’apertura rivolta a S-W ed è costruito in calcare molto tenace;

- il menhir Croce di S. Antonio è situato nelle vicinanze di Muro Leccese, in località Zicche; alto e snello, misura m 4,20 in altezza e cm 50 x cm 30 alla base; nella parte superiore è sgretolato e la cima è alquanto singolare; la sua linea svettante è accentuata dalla presenza di un basamento isolato alto un metro;

- il menhir S. Vincenzo si trova all’ingresso di Giurdignano, all’incrocio della strada provinciale con la via Menhir; alto m 3,50, misura alla base cm 45 x cm 30; é orientato con le facce larghe nella direzione E-W; nella parte superiore è stato apposto un nastro di ferro per evitare che si rompesse;

- il  menhir S. Paolo è nei pressi dell’abitato di Giurdignano; sorge infisso nella roccia su una piccola grotta artificiale, sulle cui pareti è stato dipinto in affresco S. Paolo,e che è tuttora luogo di venerazione; è alto m 2,25, ha la base cm 35 x cm 25 ed è orientato con le facce larghe nella direzione E-W;           

- il menhir Vicinanze I  è posto fuori Giurdignano, lungo la strada che porta a località Vicinanze. Alto m 3,00, alla base misura cm 42 x cm28 con le facce larghe orientate in direzione E-W;

- il menhir di Bagnolo si trova fuori del Paese sulla strada che porta a Cursi, nei pressi del cimitero; misura oltre 4 metri di altezza e cm 45 x cm 30 alla base con le facce più larghe orientate in direzione E-W; è ben conservato e bello a vedersi;

- il menhir Croce di Bagnolo si trova lungo la strada Bagnolo–Cursi e, malgrado il nome, è posto nel territorio del Comune di Cursi; alto m 4,60, misura alla base  cm 50 x cm 30 con le facce più larghe orientate in direzione E-W; ha un aspetto bello e imponente.  
                                                                                                                         Pietro Congedo

Concezione storica municipale?



Riporto una mia lettera del 15 maggio 2010 indirizzata al Direttore della rivista "Il filo di Aracne", Prof. Rino Duma.

Chi mi conosce sa bene che non posseggo una preparazione storiografica acquisita con studi universitari e/o insegnando storia. Tuttavia amo occuparmi di storia locale, avendo cura di documentare le notizie riferite ed ogni opinione espressa, tacendo su ciò che non è dimostrabile, evitando faziosità e, ove possibile, rimuovendo pregiudizi ed emendando giudizi parziali.                                 

Il mio primo lavoro di un certo impegno, intitolato “Appunti e documenti per la storia del Convitto P. Colonna di Galatina ” e pubblicato nel n. 10/2000 del “Bollettino Storico di Terra d’Otranto”, è stato definito dal prof. Mario Marti “Un vero volumetto nel volume…incentrato sulla storia del Convitto…, con minuta narrazione delle vicende e con sempre attenta documentazione, dove attenzione erudita si vivifica con paziente amore all’argomento” (v. La Voce del Sud n. 27/08.09.2001, pag. 6).

Questo autorevole giudizio mi ha incoraggiato a passare dagli articoli per periodici locali a vere monografie pubblicate in proprio. Di queste finora ne ho pubblicate quattro, l’ultima delle quali, intitolata “L’ospedale di Galatina dal XIV al XX secolo”, é stata redatta nel rigoroso rispetto dei sopraccitati criteri di ricerca e di esposizione, per i quali in passato c’è stato sempre  l’apprezzamento di numerosi studiosi.

Tra costoro ritengo ci sia anche lei, sig. Direttore, che dal 2006 al 2008 ogni bimestre ha riservato a miei articoli, nel periodico “il filo di aracne”, un apposito spazio, detto “una finestra sul passato”. Inoltre ha consentito che la suddetta monografia fosse pubblicata come supplemento al n.5/2009 dello stesso periodico.

 Di tutto questo la ringrazio ed ancor più le sono riconoscente per aver segnalato a p.11 del n. 2/marzo-aprile 2010,  la pubblicazione  del mio libro con la seguente annotazione:

“ L’autore…ricostruisce con dovizia di particolari la storia dell’Ospedale di Galatina, attraverso un’avvincente viaggio dal XIV secolo fino ai nostri tempi. L’opera è stata realizzata dopo tre anni di dura fatica grazie ad un lavoro capillare e ad un’analisi sempre attenta e scrupolosa, sostenuti dall’amore per la ricerca e dal vivo desiderio di sottrarre all’oblio documenti di rilevante importanza ”. 

Con questo Lei si è dimostrato in perfetta sintonia con quanto, il 9 marzo u.s. dinanzi ad un numeroso pubblico, è stato detto da coloro che hanno presentato la mia opera e in particolare dal prefetto dott. Alberto Capuano, il quale ha voluto dirigerne la presentazione.           
     
Purtroppo, però, nello stesso numero del periodico, alle pp. 20 e 21, è apparsa una recensione al  mio libro dai toni del tutto diversi. A questa l’estensore, Gianluca Virgilio, ha dato un titolo che sembra  l’enunciato di un “teorema”, dalla cui dimostrazione dovrebbe emergere la mia “concezione storica municipale”. In altri termini egli ritiene essenziale stabilire se la maniera da me scelta per descrivere le vicende della plurisecolare esistenza dell’ospedale di Galatina (che io ho precisato non essere conforme ai canoni della storiografia) abbia le caratteristiche della cronaca o dell’annalistica ad usum historici o della storiografia municipale.

Nella prima parte del suo scritto il recensore dedica solo poche righe ai primi 12 capitoli del libro, che riguardano le vicende dell’ospedale relative al periodo che va dal 1400 al 1860. E, nonostante in detti capitoli gli avvenimenti remoti siano stati per la prima volta trattati con continuità temporale e mediante lo studio di antiche carte, che nessuno in passato aveva preso in considerazione, sbrigativamente egli definisce il tutto semplice  ricerca bibliografica”.

Poi, non tenendo conto di quel che io ho scritto nella “nota introduttiva” (v. pp. 13-15), procede imperterrito nella dimostrazione del suo “teorema”, definendo i contenuti  dei 14  capitoli successivi al XII “[] la parte per cosi dire originale dell’opera, che rivela in pieno il metodo di Congedo. Egli non tralascia nulla di ciò che incontra nelle sue ricerche riportando anno per anno regolamemti, delibere, bilanci (entrate, uscite), provvedimenti, tabelle di spese sostenute, insomma i nudi fatti, senza commentarli se non eccezionalmente  e sempre con estrema misura .

Quest’affermazione  può indurre un potenziale lettore a credere che nella mia opera ci siano monotone elencazioni come in una rubrica telefonica. Invece a chi ha letto con attenzione e spassionatamente quel che io ho scritto non può essere sfuggito quanto segue: 

a)      inserendo in maniera dettagliata, dal XIV al XVII capitolo, alcuni dati e decisioni relativi alla gestione, effettuata dal 1863 al 1937 dalla Congregazione di Carità, è stata offerta al lettore la possibilità di fissare lo sguardo sulle vicende quotidiane e, quindi, conoscere meglio  l’opera di amministratori che in tempi difficili hanno gestito oculatamente le scarsissime risorse patrimoniali disponibili, preservando e migliorando i servizi ospedalieri;
b)      anche nei capitoli dal XVIII al XXII è stato opportuno inserire dati contabili ed elementi normativi per una completa informazione del lettore sulla disastrosa gestione imposta dal fascismo dal 1937 al 1943 e sulla ripresa alla fine della guerra e nel dopoguerra, la quale ripresa, difficilisima dal 1944 al 1946, è andata poi lentamente migliorando dal 1947 al 1953;
c)      negli ultimi quattro capitoli, per meglio descrivere  la “crescita impetuosa ” dell’istituzione, avvenuta dal 1954 al 1966, sono stati presentati dati sull’evoluzione dei regolamenti e delle disponibilità finanziarie, sugli acquisti di moderne apparecchiature e sulla costruzione della nuova sede, sui concorsi (per la prima volta per titoli ed esami) relativi alla stabilizzazione del numeroso personale, attore  anch’esso dello sviluppo e del potenziamento dei servizi.

Pertanto mi è gradito riportare qui di seguito un brevisimo stralcio della recensione scritta dal compianto Zeffirino Rizzelli per la mia monografia intitolata “ Il Convitto P. Colonna di Galatina (dal 1867 al 1969) ”, che contiene anch’essa regolamenti, delibere, bilanci ecc. :

 “[…] episodi marginali o notizie particolari che per altri sarebbero state di scarso o nullo rilievo acquistano per lui (Congedo) quel valore di corollario che completa, amplia e arricchisce la ricostruzione storica. Questa meticolosità d’indagine, lungi dall’appesantire il racconto storico, lo carica di ulteriore interesse e lega il lettore a proseguire la lettura con più partecipazione, con personale curiosità. Il periodare sempre breve e incisivo, senza divagazioni inutili, ma con precisione di termini e di date aiuta molto il lettore nel seguire la vicenda storica. […]” (v.‘il galatino’, 30 aprile 2004). 

I termini “luci” e “ombre”, presenti nel sottotitolo del mio libro, stanno a indicare, senza possibilità di equivoci, rispettivamente le vicende fauste e quelle infauste della vita dell’ospedale.
Virgilio, invece, fa distinzione fra “ cose dette ” (luci ?) e “ cose passate sotto silenzio”(ombre ?) da me autore e, mentre cita tra le prime la menzione di alcuni amministratori e sanitari meritevoli, stranamente tace sul mio impegno a mettere in risalto l’onesto operato di un amministratore, vittima di un grave pregiudizio che io ho rimosso (v. capitolo XXII, pp. 161-170).

Egli considera cosa passata sotto silenzio il non aver io evidenziato i motivi del conflitto tra il podestà A. Ancora e il dott. C. D’Amico, pure lui fascista, anche se forse lo fosse suo malgrado. 
Mi domando: dall’ampia analisi dai documenti (v. pp. 133-138) non emerge in maniera evidentissima che trattasi di un contrasto tra due iscritti al P.N.F., il primo dei quali, essendo più in alto nella gerarchia del regime, con arroganza difendeva la sua disastrosa gestione del nosocomio dalle critiche, che il secondo faceva insieme a concrete proposte di miglioramento?

Riguardo a quanto ho scritto sulla vicenda di cui è stato protagonista il dott. Domenico Galluccio, mi è gradito riferire che ciò è stato molto apprezzato dal lucidissimo novantatrenne interessato.
Quanto poi all’esistenza di  una “prassi clientelare” che avrebbe ridotto l’ospedale a serbatoio di voti per la D.C., non ho trovato nessun documento per poterla dimostrare, perciò ho preferito tacere. Invece le infelici considerazioni del Virgilio possono solo aver offeso la dignità di molte persone che onestamente hanno lavorato o ancora lavorano nel nosocomio.

Per quanto mi riguarda, come ho sostenuto essere luce la rifondazione del nosocomio del decennio 1957-1966, così sostengo essere ombra la decadenza dello stesso, a cui si assiste da alcuni decenni. Perciò il 9 marzo u.s. ai numerosi concittadini che mi ascoltavano ho proposto di agire allo stesso modo dei nostri antenati, la cui lotta contro gli olivetani in difesa dell’ospedale, durata circa 170 anni, si concluse nel 1710 con il pieno ripristino del funzionamento dello stesso.

Ringraziando per lo spazio concessomi, la saluto.
                                                                                                   Pietro Congedo


Il sottoriportato messaggio, riservato ai Lettori del libro “L’Ospedale di Galatina dal XIV al XX secolo”, è stato pubblicato il 22 giugno 2010 dal sito www.galatina.it con il seguente titolo:

L’Ospedale di Galatina dal XIV al XX secolo.
Singolare iniziativa dell’autore Pietro Congedo.
Gianluca Virgilio massacra il mio lavoro sul Filo di Aracne
ed il direttore Rino Duma censura la mia difesa"

Mi rivolgo ai lettori del libro “L’ospedale di Galatina dal XIV al XX secolo” e intendo presentarVi alcune considerazioni e precisazioni in ordine ai contenuti di un articolo apparso sul periodico  “Il filo di aracne”, edito dal Circolo Athena di Galatina (v. n. 2/2010, pp. 20-21).

Detto articolo è una recensione alla mia opera, alla quale l’estensore, Gianluca Virgilio, ha dato un titolo che sembra l’enunciato di un “teorema”, dalla cui dimostrazione dovrebbe emergere la mia concezione storica municipale. In altri termini egli intende stabilire se la maniera da me scelta per descrivere le vicende della plurisecolare esistenza del nosocomio galatinese sia cronaca oppure annalistica ad usum historici o soltanto il prodotto di una concezione storica municipale.

Però, tenendo presente che nella nota introduttiva del volume (v. pp. 13-15) io ho esplicitamente dichiarato che trattasi di pubblicazione che non può essere definita storia dell’ospedale, perché non conforme ai canoni della storiografia e che la stessa negli ultimi capitoli  assume addirittura le caratteristiche proprie della cronistoria, l’impegnativo lavoro del recensore sembra proprio l’impresa di chi si accinge a sfondare una porta lasciata spalancata.

Virgilio nella prima parte del suo scritto con sole 34 parole valuta i primi 12 capitoli del libro,  concludendo sbrigativamente che trattasi di una accurata ricerca bibliografica, per la quale (ci tiene a  precisare) mi sarei avvalso degli studi di vari autori (fra i quali include anche chi nulla ha scritto sul nosocomio), ma non tiene conto del fatto che in passato le vicende storiche dell’ospedale, relative al periodo 1400-1861, non sono mai state presentate nella loro continuità temporale, vicende per le quali la mia narrazione é anche basata su molti documenti finora inediti.   

Il recensore poi procede deciso nella dimostrazione del suo “teorema”, prendendo di mira i contenuti dei 14 capitoli successivi al XII, che così presenta: “Questa è la parte per così dire originale dell’opera, che rivela in pieno il metodo Congedo. Egli non tralascia nulla di ciò che incontra nelle sue ricerche riportando anno per anno regolamenti, delibere, bilanci, (entrate, uscite), provvedimenti, tabelle di spese sostenute, insomma i nudi fatti, senza commentarli se non eccezionalmente e sempre con estrema misura.”

Questa affermazione-valutazione potrebbe indurre un potenziale lettore a credere che nella “parte originale” del libro ci siano monotone elencazioni, come in una rubrica telefonica. Invece al lettore attento e spassionato non può sfuggire quanto segue:

a)      sia le notizie riferite che le opinioni espresse sono state rigorosamente documentate, tacendo su ciò che non è dimostrabile, evitando faziosità, rimuovendo pregiudizi, emendando inesatte interpretazioni di dati e avendo cura di precisare  il contesto storico degli avvenimenti;
b)      inserendo alcuni dati e provvedimenti relativi alla gestione della Congregazione di Carità (1863-1937), è stata offerta al lettore la possibilità di fissare lo sguardo sulle vicende quotidiane dell’Istituto e sull’operato di chi in tempi difficili ha gestito con oculatezza le magre risorse disponibili, preservando e migliorando i servizi ospedalieri;
c)       l’inserimento di dati contabili e di elementi normativi nei capitoli dal XVIII al XXII  ha reso possibile una concreta presentazione della disastrosa gestione fascista nel periodo 1937-1943 e della lenta ripresa nel biennio 1944- 45 e nell’immediato dopoguerra;
d)      negli ultimi quattro capitoli, per descrivere la crescita impetuosa dell’istituzione (1954-1966) non si poteva certo prescindere dalla presentazione di almeno alcuni degli innumerevoli dati relativi alla evoluzione dei regolamenti e delle disponibilità finanziarie, ai frequenti acquisti di costose apparecchiature, alle varie fasi della costruzione dell’imponente nuova sede e ai concorsi per l’assunzione e  la stabilizzazione del personale, dei quali sono stati citati i vincitori, attori anch’essi dello sviluppo e del potenziamento dei servizi.     

Mi è gradito, a questo punto, riportare qui di seguito un brevissimo stralcio della recensione scritta dal compianto Zeffirino Rizzelli per la mia monografia intitolata “Il Convitto P.Colonna di Galatina (dal 1867 al 1969)”, che contiene anch’essa delibere, regolamenti, bilanci ecc.: […] Episodi marginali o notizie particolari che per altri sarebbero state di scarso o nullo rilievo acquistano per lui (Congedo) quel valore di corollario che completa, amplia e arricchisce la ricostruzione storica. Questa meticolosità d’indagine, lungi dall’appesantire il racconto storico, lo carica di ulteriore interesse e lega il lettore a proseguire la lettura con più partecipazione, con personale curiosità. Il periodare sempre breve e incisivo, senza divagazioni inutili, ma con precisione di termini e di date aiuta molto il lettore nel seguire la vicenda storica. […]. (v. ‘il galatino’, 30 aprile 2004).

I termini luci e ombre, presenti nel sottotitolo del mio libro, stanno ad indicare, senza possibilità di equivoco, rispettivamente le vicende fauste e quelle infauste della vita dell’ospedale.                         Invece Virgilio fa distinzione fra cose dette (luci ?) e cose passate sotto silenzio (ombre ?) da me autore, naturalmente. Poi cita tra le prime la mia menzione di alcuni amministratori e sanitari meritevoli, ma stranamente tace sul mio impegno a documentare l’onesto operato di un amministratore, vittima di un grave pregiudizio (v. cap. XXII, pp. 161-170).

Egli considera cosa passata sotto silenzio il non aver io riferito i motivi del conflitto tra il podestà Angelo Ancora e il direttore dell’ospedale, dr. C. D’Amico. Mi domando: dai documenti citati ed in parte riportati (v. pp. 133-138) non risulta evidente che si trattava del contrasto tra due iscritti al Partito Nazionale Fascista, il primo dei quali, essendo più in alto nella gerarchia del regime, con arroganza difendeva dalle critiche del secondo la propria disastrosa gestione dell’ospedale?

Per la vicenda riguardante Domenico Galluccio mi è gradito riferire che quanto ho scritto è stato molto apprezzato per l’aderenza alla realtà dei fatti dal lucidissimo medico  novantatreenne.
In ordine all’esistenza di una prassi clientelare, che avrebbe ridotto il nosocomio a serbatoio di voti per la D.C., ho ritenuto doveroso tacere, non avendo rinvenuto alcun documento in proposito;      
                        
invece le inopportune e generiche considerazioni di Virgilio possono solo aver leso la dignità di tante persone che onestamente, magari dando il meglio di se, hanno lavorato nell’ospedale.

Infine, come non ho esitato a considerare luce la rifondazione del nosocomio, avvenuta nel decennio 1957-1966, cosi sostengo essere ombra l’attuale decadenza dello stesso. Perciò il 9 marzo u.s. ai numerosi concittadini, intervenuti alla presentazione del libro, ho ricordato l’esemplare comportamento dei nostri antenati, che per circa 170 annni non si stancarono di lottare contro gli Olivetani per il ripristino della piena funzionalità dell’istituto (1710).

Quanto sopraesposto è stato già comunicato con lettera del 15 maggio u.s. al direttore de “il filo di aracne”, prof. Rino Duma. Questi, “pur condividendone il contenuto e accettando le buone ragioni” che mi hanno indotto a produrre detta missiva, con nota del 19 maggio u.s., ha comunicato la decisione, presa d’intesa con suoi collaboratori, di non consentire la pubblicazione della stessa, adducendo i seguenti motivi, da lui ritenuti  “imprescindibili”:

-         testo molto lungo e non corredato di alcuna immagine;
-         necessità di rinunciare ad una inserzione pubblicitaria;
-         probabilità che alla mia lettera sarebbe seguita un’altra dalla sponda opposta e in tal caso tutto sarebbe scaduto in “un va e vieni” sterile e, forse anche, da “barruffe chiozzotte”(sic!).   

Tuttavia in detta nota il prof. Duma dignitosamente si è assunta la responsabilità della pubblicazione dello “scritto incriminato” ed ha chiesto scusa. Egli mi ha anche pregato di soprassedere al proposito di pubblicare le mie rimostranze nei confronti di Gianluca Virgilio.            
Ma quest’ultima richiesta io posso accoglierla solo in parte, poiché ritengo sia mio diritto-dovere inviare a Voi, gentili Lettori, il presente messaggio chiarificatore.

                                                                                                    Pietro Congedo

lunedì 24 dicembre 2012

Testimonianza di Pietro Congedo all'Inaugurazione della Sala di Consultazione e Lettura "Donato Moro"




Galatina, 10 aprile 2012   

Il prof. Donato Valli, rettore emerito dell’Università del Salento, nel luglio 2007, parlando in occasione del decimo anniversario della morte di Donato Moro, nel tratteggiare la sua figura riferì una propria esperienza giovanile, risalente agli anni 50 del secolo scorso.
   Egli, laureato da poco, aveva partecipato al concorso per un posto di “ordinatore” presso la Biblioteca Provinciale N. Bernardini di Lecce. I concorrenti erano numerosi, anche se si “sapeva” già chi avrebbe vinto. Ma l’Assessore Provinciale alla P.I., prof. Donato Moro, che presiedeva la Commissione esaminatrice, animato da grande onestà umana, intellettuale e politica, riuscì ad indurre gli esaminatori a valutare con equità tutti i candidati, perciò il posto di “ordinatore” fu attribuito al più bravo e non al più raccomandato.
   Il racconto di questo fatto, accaduto sicuramente dopo la primavera del 1956, richiamò alla mia mente tanti altri avvenimenti, dei quali il prof. Moro è stato a suo tempo protagonista ed io testimone. Infatti proprio in quella primavera, mentre ero segretario politico della sezione galatinese della Democrazia Cristiana, ebbero luogo le elezioni provinciali e comunali, nelle quali Donato era stato appunto eletto a far parte  del Consiglio Provinciale nonchè di quello Comunale. Ne seguì la sua nomina ad Assessore Provinciale alla P.I. e, come tale, venne a trovarsi fra i protagonisti di quella che può senz’altro essere considerata la più importante realizzazione di carattere culturale dell’Ente “Provincia di Lecce”, ossia l’istituzione dell’Università del Salento.
   Nel 1956 erano già in atto le lezioni  del 1° anno del corso di laurea in Magistero della Università Libera di Lecce, la quale era sorta tra tante difficoltà nel 1955, peraltro seriamente osteggiata dagli ambienti amministrativi e universitari baresi. Essa non aveva diritto ad alcun  contributo statale, perciò gli Enti facenti parte del Consorzio Universitario Salentino, che la avevano costituita, dovevano accollarsi tutte le spese necessarie al suo funzionamento. A tal proposito lo Statuto della stessa Università disponeva: “Il contributto di ogni Comune Consorziato è determinato nella misura di £ 10 per ogni abitante residente nel Comune; quello degli Enti non potrà essere inferiore alle 200mila lire annue, mentre quello dell’Amministrazione  Provinciale risulterà uguale a quello globale corrisposto da tutti i Comuni aderenti al Consorzio.   
   Il Presidente della Provincia, avv. Luigi Caroli, avendo “voluto fortissimamente l’Università” a Lecce, conferì all’assessore Donato Moro la delega alla P.I. con la convinzine di aver trovato l’uomo capace di portare a termine la titanica opera intrapresa. E non si sbagliava!
   Infatti il Nostro, all’età di 32 anni e in possesso di una solida formazione umana e culturale, cominciò a dedicarsi alla soluzione dei numerosi problemi relativi all’Università con una carica di entusiasmo tale che la stampa lo definì “assessore fattivo e dinamico”.
  Egli non esitò ad allontanare dal neonato Ateneo chi ne era già stato preposto e con improvvide azioni rischiava di squalificarlo agli occhi del Governo e del mondo accademico. Nello stesso tempo si adoperò affinchè fossero costituiti  due autorevoli Comitati Tecnici (C.T.), uno per Magistero e un altro per la Facoltà di lettere, la quale entrò in funzione nel novembre 1956. A tal fine non esitò a spendere la stima e il credito, di cui egli godeva nell’ambiente universitario di Pisa, riuscendo ad ottenere l’adesione al C.T. di Lettere dei proff. Giovan Battista Picotti (storia) e Antonio Traglia (letteratura latina) e del prof. Alberto Mori (geografia) al C.T. di Magistero. Inoltre ottenne l’adesione al C.T. di Lettere del prof. Raffaele Spongano (letteratura italiana a Bologna) e a quello di Magistero dei proff. Vincenzo Ussani (letteratura latina a Cagliari) e Giuseppe Codacci Pisanelli (diritto amministrativo a Bari).
   Il prof. Donato Moro, ove necessario, stimolava in tutti i modi possibili i Sindaci e gli altri componenti a partecipare alle assemblee del Consorzio Universitario Salentino. Ugualmente sollecitava gli stessi al puntuale pagamento dei contributi finanziari pattuiti. Inoltre era sempre pronto a fare opera di convincimento presso i giovani affinché s’iscrivessero alla Università libera di Lecce, per il cui riconoscimento legale si dichiarava fortemente impegnato. In occasione dell’apertura della Facoltà di lettere, ben 12 giovani galatinesi ne chiesero l’iscrizione, perchè da Lui consigliati.
   Proprio per far ottenere il riconoscimento giuridico all’Ateneo Salentino il Nostro espresse il massimo impegno possibile.
   Dal Ministero della P.I., nell’ottobre 1959, filtrò una notizia  ufficiosa, secondo la quale il ministro Giuseppe Medici, del Governo presieduto da  Antonio Segni, si sarebbe detto favorevole a riconoscere legalmente la sola facoltà di Magistero. Questo, in un manifesto fatto subito affiggere dalla D.C. in tutta la Provincia, era già stato presentato come una “grandiosa vittoria”. Pertanto nella seduta del Consiglio Provinciale, che ebbe luogo il 2 novembre ’59, il Presidente e numerosi consiglieri intendevano ringraziare il Governo. L’assessore Moro, invece, in un veemente intervento dichiarò fra l’altro: “Nessun ringraziamento, ma una vibrata protesta per quanto non è stato concesso. Non facciamoci illusioni, il Magistero è un istituto superiore a sé, e non è l’Università che noi chiedevamo e per la quale abbiamo investito decine di milioni e tutto il nostro impegno.” Ne seguì un’accesa discussione, la quale si concluse con la costituzione di una commissione unitaria che affiancasse il prof. Moro nel vedere il da farsi per ottenere il totale accoglimento delle istanze presentate.  
   Il lungo e travagliato iter per il riconoscimento di entrambe le Facoltà, nel quale il Nostro era stato vero attore protagonista,  si concluse finalmente il 10 giugno 1960 con la pubblicazione  sul n.142/1960 della G.U. del D.P.R. 22 ottobre 1959.

Sempre in quella rievocazione del 25 luglio di cinque anni fa, il professore Valli definì Donato Moro “uomo semplice e povero, la cui esistenza è stata caratterizzata da sensibilità, umanità e incapacità di risentimenti, perciò era amico di tutti.” Peraltro, il Nostro in una lettera indirizzata nel 1987 all’on Giacinto Urso ribadisce:“tu sai che non ho mai conosciuto ricchezze.
   Tuttavia il Nostro, da vero uomo di cultura qual era, non seppe fare a meno di una ricca e ben assortita biblioteca che durante la sua vita cercò costantemente di accrescere, sia in quantità che in qualità, per poter soddisfare le proprie raffinate esigenze di letterato (laureato con lode alla Scuola Normale Superiore di Pisa), di filologo, di poeta e di storico molto apprezzato, nonché di valoroso ispettore centrale della P.I., assurto alla carica di coordinatore degli ispettori centrali.
   La biblioteca personale è stata, dunque, l’unica ricchezza alla quale Donato Moro non ha saputo né potuto rinunziare, in quanto gli era indispensabile per poter coltivare  i  suoi amati studi, ai quali era tornato a tempo pieno nel 1964, interrompendo in maniera irrevocabile una brillante carriera politica, perché aveva constatato che “…attività amministrativa ed amore per gli studi storico-letterari non trovavano un punto d’accordo né un terreno comune di interessi.
    La vedova Moro, prof.ssa Maria Marinari, volendo quasi dare una continuità agli interessi del suo indimenticabile, amatissimo Donato, ha generosamente fatto donazione di tutti i suoi libri alla Biblioteca “P. Siciliani” di Galatina e, quindi, a tutti coloro che coltivano studi storico-letterari. Così facendo, Ella ha tenuto un comportamento analogo a quello avuto da Cesira Pozzolini-Siciliani nel lontano 1886, quando nel donare, insieme al figlio Vito, la “numerosa e ricca libreria” del proprio marito, il filosofo e pedagogista Pietro Siciliani, espresse il desiderio che tale donazione arrecasse a Galatina “un’utilità vera eccitando allo studio le giovani menti”.
   Cesira Pozzolini desiderava ed ottenne che il cospicuo fondo librario “Siciliani”, collocato in apposita sala, rimanesse intatto “…a ricordare ai posteri la profonda e svariata cultura dell’illustre filosofo e pedagogista ”.
   Dalla dott.ssa Angela Impagliazzo, attuale responsabile della Biblioteca Comunale di Galatina,  è stato assicurato analogo trattamento al fondo librario “Donato Moro”, i cui  4.000 volumi, già inventariati da personale esperto, sono stati sistemati in un unico ambiente, nei medesimi scaffali metallici alti tre metri (anch’essi facenti parte della donazione), nei quali erano stati in casa Moro.
   Tra il 1982 e il 1983 la prof.ssa Daniela Vantaggiato, chiamata  trasformare la “Siciliani” da antico “deposito di libri”, qual era, in “moderna biblioteca”, introdusse nella gestione della stessa  i criteri scientifici della nuova biblioteconomia. Sulla base di questi la dott.ssa Angela Impagliazzo, sin dal 1992, è lodevolmente impegnata al rinnovamento dell’intera Istituzione. Ella saprà sicuramente attribuire alla nuova “Sala Moro” le caratteristiche che si addicono ad una vera “sala di consultazione e lettura”, in cui studiosi e studenti, avvalendosi del già esistente “registro inventario”, potranno liberamente consultare i libri preferiti.
   A queste quattro donne, Cesira Pozzolini, Maria Marinari, Daniela Vantaggiato e Angela Impagliazzo, amanti della cultura, che con il loro operato hanno dato e danno lustro a Galatina, va il nostro più sentito plauso e la nostra più sincera gratitudine.

Pietro Congedo

LA BIBLIOTECA COMUNALE DI GALATINA

VERSO IL TRAGUARDO DEI 50.000 VOLUMI

DOPO LA DONAZIONE

DELLA RACCOLTA LIBRARIA DEL PROF. DONATO MORO



La Biblioteca Comunale “Pietro Sicilani” di Galatina, che nel non tanto lontano 1986 poteva vantare il possesso di 25.000 volumi, è ormai sul punto di raggiungere i 50.000.

   Infatti, poche settimane fa, è stata trasferita in essa la raccolta libraria costituita, nel corso di una brillante carriera, dal galatinese prof. Donato Moro, scomparso circa quindici anni fa.

  La vedova Moro, prof.ssa Maria Marinari, ha generosamente donato alla “Siciliani” tutti i libri del marito, che sono stati poi ordinatamente sistemati nei medesimi scaffali metallici alti tre metri (anch’essi facenti parte della donazione), nei quali si trovavano in casa Moro. Con questi scaffali è stato, infatti, arredato al completo un unico ambiente, sito alla destra di chi accede nell’atrio-ingresso  della Biblioteca, che potrebbe senz’altro essere denominato “Sala Moro”, in quanto contiene soltanto la suddetta raccolta.

   Tutti i libri del prof. Moro nel  2005 sono stati inventariati da personale esperto, quindi è molto agevole rilevare l’esatta collocazione di ciascuno, consultando l’apposito “registro d’inventario”. Questo  consta di ben 104 pagine, dattilografate fittamente, poichè in esse è schedato l’intero fondo che, essendo costituito di circa 4.000 volumi, risulta essere numericamente superiore ad ogni altra acquisizione fatta o donazione ottenuta dalla Biblioteca Comunale di Galatina, dalla sua origine ai nostri giorni.  Le librerie dei soppressi conventi dei Frati Cappuccini e dei Frati                                                                                             Minori Riformati, ottenute nel 1867 dal Governo Italiano, contenevano rispettivamente n. 2.271 e n. 1774 volumi; il fondo Pietro Siciliani (da cui la denominazione della Biblioteca) contava circa 1.600 volumi e 1.450 opuscoli, tutti inventariati ed anche dotati di schede manoscritte; la raccolta libraria di Pietro Cavoti, avuta in dono 43 anni dopo la morte dello stesso, contava circa circa 2.000 volumi, ma danneggiati e polverosi; numerose altre donazioni ci sono state sia nei secoli scorsi che recentemente, delle quali  però solo quella relativa alla raccolta  del prof. Giovanni Romano supera le 1.000 unità librarie. 

  Al di là, però, di ogni considerazione sulla sua notevole entità numerica, il fondo librario pervenuto recentemente alla “Siciliani” è veramente importante, perché è stato messo insieme da Donato Moro, il letterato laureato con lode nella Scuola Normale Superiore di Pisa, il filologo, il poeta e lo storico molto apprezzato, divenuto ispettore centrale e, infine, coordinatore degli ispettori  del Ministero della P.I.. Infatti nelle sue accurate scelte bibliografiche c’è il riflesso degli interessi culturali di alto livello, da lui costantemente coltivati con competenza e responsabilità, fino alla prematura morte.

  Pertanto gli studiosi giovani e meno giovani, specialmente se cultori di letteratura italiana, avranno a disposizione efficienti e moderni sussidi per le proprie ricerche nella nuova sala allestita all’interno della  “Siciliani”, alla quale la bibliotecaria, dott.ssa Angela Impagliazzo, nel quadro del proprio lodevole impegno tendente  al rinnovamento dell’intera Istituzione, saprà sicuramente attribuire le catteristiche che si addicono ad una vera “sala di consultazione e lettura”. 

  Studiosi e studenti saranno senz’altro molto grati alla prof.ssa Maria Marinari Moro, la quale ha fermamente voluto qui in Galatina, citta natale del marito, mettere a loro disposizione un prezioso presidio librario, moderno ed altamente specializzato.

                                                                              Pietro Congedo

Scuola Media “Giuseppe Palamà ”- Sogliano Cavour - Presentazione del libro “30 anni di attività" (22 giugno 1990)



SALUTO DEL SINDACO ANGELO POLIMENO

Purtroppo, cari concittadini, i mio è un saluto amaro!
Sapete già che la legge 326 / 1988 ha disposto che tutte le Scuole Medie con meno di 12 classi debbano perdere la propria autonomia e divenire Sezioni staccate di altre Scuole.   La Scuola Media di Sogliano, avendo 10 classi, non sarà più autonoma e diventerà Sezione staccata della Scuola Media di Soleto.
Noi amministratori, quando a dicembre del 1989 ci è stata comunicata questa notizia, abbiamo subito compreso che trattavasi di cosa molto seria, poiché c’era il rischio che andasse disperso un ricco patrimonio di esperienze. Pertanto il Consiglio Comunale, convocato in seduta straordinaria e urgente, all’unanimità ha espresso la propria protesta e fatto voti alle Autorità competenti affinché la nostra Scuola non perdesse la propria autonomia.   
Poi tutti insieme (amministratori, insegnanti e il presidente del Consiglio d’Istituto) siamo andati al Provveditorato agli Studi di Lecce e abbiamo detto: noi veniamo qui, considerando ovviamente il Provveditore un interlocutore che non ha alcuna responsabilità nelle scelte di politica scolastica nazionale, per esprimere la nostra protesta e per sollecitare che sia ritardata il più possibile la perdita di autonomia per la Scuola Media di Sogliano, perché nelle more potrebbero esserci ripensamenti da parte del legislatore.         In effetti il Provveditore ha risposto che c’erano in vista novità in ordine ai criteri per l’accorpamento delle piccole scuole. Purtroppo, però prendiamo atto in questa sede che a tutt’oggi  novità non ci sono state. Eppure in quella circostanza abbiamo precisato che eravamo in Provveditorato non per consumare un rito, ma perché fortemente convinti  che la perdita di autonomia della nostra Scuola significava la dispersione di un patrimonio di notevoli esperienze, e il Provveditore si è mostrato bene informato delle novità didattiche realizzate a Sogliano.
Ora, essendo già la suddetta perdita, a noi non rimane altro che fare il bilancio di trenta anni di autonomia della nostra Scuola. Perciò, quando il Preside ci ha comunicato la sua intenzione di pubblicare detto bilancio, ci siamo subito detti entusiasti e ci siamo prodigati, facendo il possibile affinché la pubblicazione avvenisse. Il risultato è un volume eccezionale. Un libro che al primo impatto può sembrare un mattone, perché è pieno zeppo di informazioni e dati; però lo stesso, se cominci a leggerlo , ti trascina, diventa appetibile, gustoso, da consumarsi  entro mezza giornata. E’ un libro molto interessante, perché mette bene in rilievo un dato fondamentale: quanto è stato possibile fare in 30 anni. Pensate che la nostra Scuola tanti anni fa era una scuola particolare: il flusso migratorio verso altre scuole era notevolissimo ed era anche elevato il numero di coloro che non completavano il corso o addirittura neppure lo iniziavano. Ebbene, la conoscenza dell’attività scolastica del trentennio è fondamentale per poter capire come sia stato possibile passare da un numero notevolissimo di alunni emigrati verso altre scuole e da tanti altri evasori  dell’obbligo scolastico, alla frequenza della nostra Scuola da parte di tutti i licenziati della locale Scuola Elementare.
Forse a lungo andare ciò sarebbe avvenuto, ma si può con estrema certezza affermare che il modo in cui la Scuola Media di Sogliano ha operato, soprattutto negli ultimi venti anni, ha reso questo processo più rapido e più intenso. Perciò è interessante quella parte del libro che mette in rilievo questo fatto.        
Io ho frequentato  la Scuola Media di Sogliano e sono stato licenziato sette anni dopo la sua istituzione, cioè quando essa era considerata di serie C, per cui i professionisti ed i benestanti soglianesi preferivano per i propri figli le scuole di serie A. Questo ha generato in me una sorta di complesso d’inferiorità che mi sono portato appresso per anni. Ma ora posso dire con grande orgoglio che la Scuola Media di Sogliano ha saputo recuperare negli anni, mettendo in moto un progetto didattico–formativo esaltante. Affermo questo non perché,  in qualità di amministratore costretto a prendere atto della perdita di autonomia della Scuola, sia qui per dire belle parole di circostanza, magari ipocritamente e senza convinzione. Sono profondamente convinto di quel che dico, perché, quando dopo gli studi universitari sono tornato a Sogliano, ho scoperto poco alla volta che le esperienze che si realizzavano nella nostra Scuola erano nuove ed interessanti, come oggi sono riconosciute da tutti. Quindi la mia è una testimonianza concreta e non fatta con parole di rito o di circostanza.  
Ripeto ancora che il libro è un lavoro molto bello e, anche per l’annuario che contiene, costituisce una fotografia d’assieme, una bellissima foto (che io immagino a colori, perché tanto mi ha tanto entusiasmato), nella quale ognuno di noi (ex alunni) può cercare e trovare quella parte che lo interessa personalmente: in questo senso è una cosa di eccezionale importanza.
Sono fortemente emozionato, perché vedo qui persone che non vedevo da anni, vedo il mio ex insegnante di Scuola Media, il prof. Antonio Benegiamo che forse non si ricorda di me, ma io ricordo che con lui abbiamo preparato la “torta di rose”, traducendo la ricetta riportata in un testo latino.
Emozionato e nello stesso tempo entusiasta per le tante importanti e gradite presenze di questa sera, voglio ancora una volta ringraziare con tutto il cuore gli alunni, gli insegnanti e soprattutto il preside  per aver realizzato il libro “30 anni di attività 1960-60”
Infine un grazie particolare allo stesso preside Pietro Congedo per averci dato un ventennio  ricchissimo di esperienze didattiche, con l’augurio che questa perdita di autonomia della Scuola non rappresenti automaticamente la dispersione di tale patrimonio educativo.
Ringrazio tutti per l’attenzione.
                                                                             Angelo Polimeno- Sindaco


 DISCORSO  DEL  PRESIDE  PIETRO  CONGEDO
                                                                                                      
Ringrazio il Sindaco Angelo Polimeno per l’ottima valutazione che ha inteso esprimere per la  nostra Scuola Media “Giuseppe Palamà ”.
Ringrazio voi tutti per essere intervenuti numerosi a questa manifestazione, che un’imprevista difficoltà ha rischiato di compromettere in maniera veramente grave. Infatti nella scorsa settimana, e precisamente dopo il 10 giugno u. s., dall’Ufficio Postale di Sogliano C. sono stati spediti 400 inviti. Di essi quelli diretti a persone residenti a Sogliano sono stati recapitati nei giorni immediatamente successivi, cioè il 12 o il 13 c.m.,  come possono confermare coloro che li hanno ricevuti. Invece quelli indirizzati a persone residenti a Lecce e in altri Comuni della Provincia non sono ancora pervenuti ai rispettivi destinatari.
Pertanto, nell’intento di salvare il salvabile, gli Uffici della Scuola, oltre ad effettuare una serie di telefonate, mercoledì 20 giugno hanno nuovamente spedito gli inviti ai destinatari di Galatina e Cutrofiano, consegnandoli questa volta direttamente agli Ufficiali Postali dei due Comuni.
Mentre ringrazio i Direttori degli Uffici di PP. TT. di Sogliano C., Galatina e Cutrofiano, esprimo con vigore il disappunto per un fatto che si commenta da sè e certamente sminuisce la credibilità di un pubblico servizio.
Chiudo questa spiacevole parentesi, e porgo a voi tutti il saluto della Scuola Media “G. Palamà”, la quale ha potuto organizzare questo incontro grazie all’impegno, alla collaborazione e ai contributi di tutti coloro che hanno voluto, curato e sostenuto la pubblicazione del libro “ 30  ANNI  DI  ATTIVITA’  1960-’90 ”.
Qualcuno ha impropriamente definito il nostro incontro una festa.
 Ma non è così !
E come potremmo essere in festa, mentre la nostra Scuola, perdendo la sua autonomia, sarà dal prossimo 1° settembre sezione staccata della Scuola Media “Guglielmo Marconi” di Soleto?
Quello di questa sera è solo un momento di riflessione alla fine del trentennio, durante il quale la Scuola Media “G. Palamà” ha avuto propri uffici di presidenza e di segreteria.
Il libro che abbiamo tra le mani può essere un valido strumento, mediante il quale i soglianesi di varie generazioni si possano per un momento ritrovare con tutti coloro che a vario titolo hanno contribuito  alla loro formazione culturale, umana e civica.
Questo modesto volume può anche essere un invito agli uomini politici e agli alti funzionari dello Stato, affinché considerino con benevola attenzione le realtà socio-culturali dei piccoli Comuni come Sogliano. Le Scuole Medie di tali paesi, se hanno meno di 12 classi, sono considerate sottodimensionate dalle disposizioni vigenti e, perciò, trasformate in sezioni staccate di altre Scuole. Ma esse non sono mai state nicchie nelle quali presidi e segretari hanno trascorso in relativa tranquillità le loro giornate!                      Sono state, invece, ambienti nei quali presidi e segretari insieme ai docenti, avendo la possibilità  di essere più vicini agli alunni e alle loro famiglie, hanno meglio compreso i problemi e le  difficoltà degli stessi e, quindi, sentita maggiormente l’urgenza di impegnarsi con scienza e diligenza  alla rimozione dei numerosi ostacoli che contrastano la maturazione dell’uomo e del cittadino. Sono ambienti nei quali l’assenza di veri stimoli culturali richiede una particolare creatività didattica, capace di scuotere secolari apatie e ataviche rassegnate indifferenze.
Di tale impegno non privo di creatività vuole essere testimonianza il volume che l’ispettore Donato Moro ha cortesemente  accettato di presentare a voi.
Esso è uno strumento da utilizzare per un’analisi retrospettiva dell’attività della Scuola Media “G. Palamà” nel trentennio 1960-1990. Ma come ogni strumento realizzato da uomini non è perfetto. Infatti fra le notizie riportate dagli articoli e dalle relazioni in esso contenuti prevalgono quelle relative all’ultimo decennio. Ma ciò non significa che l’Istituto sia stato meno attivo precedentemente, e in particolare negli anni sessanta.
Per un ventennio ho avuto l’onore di dirigere la Scuola Media “G. Palamà”, la cui “crescita”, però, ha avuto inizio trenta anni fa, cioè a partire dal 1° ottobre 1960.
Nella copertina del nostro libro, ideata da Sandra Gaballo, alunna dell’Istituto Statale d’Arte “G. Toma” di Galatina,  tale crescita è ben sintetizzata da trenta frecce dirette verso l’alto, il cui colore azzurro va  diventando sempre più intenso. 
Con professionalità, alto senso del dovere, diligenza e generosità, l’indimenticabile preside Arnaldo Brescia e i colleghi Andrea Reggiani, Giacomo Gastone Vergine, Maria Candida Rizzo e Angela Marseglia, insieme a diecine di altri operatori scolastici, i cui nomi sono riportati nel libro, hanno avviato e progressivamente incrementato la “produttività” educativa e formativa della nostra Scuola.
Pertanto, assumendo servizio nell’ormai lontano 1° ottobre 1970, io ho solo continuato l’opera dei miei predecessori, con il vantaggio di trovare una strada spianata ed un lavoro ben avviato.
E’ stato praticamente impossibile reperire una documentazione didattica relativa al primo decennio: a tal proposito si tenga presente che il periodico avvio al macero degli elaborati degli alunni, previsto dalle disposizioni vigenti, si è reso particolarmente necessario in occasione del trasferimento dalla vecchia alla nuova sede scolastica, avvenuto nel 1968.
Inoltre numerose attività delle scolaresche sono state in passato documentate con cartelloni, talvolta pregevoli,  dei quali e stata difficile la conservazione e di qualcuno ancora esistente non è stata possibile la pubblicazione per  difficoltà di carattere tecnico.
Per reperire i fondi necessari alla pubblicazione del libro è stato richiesto il contributo finanziario di Enti pubblici e privati, di imprese artigiane ed industriali, e di privati cittadini, inviando complessivamente novanta lettere.
Hanno risposto alla richiesta e contribuito secondo le proprie possibilità: l’Amministrazione Comunale di Sogliano C., il Distretto Scolastico di Galatina, la Banca del Salento, la Fedelcementi, la locale Associazione Combattenti e Reduci, i presidi Angela Marseglia e Andrea Reggiani, l’ex segretario della Scuola Giuseppe Coroneo e ventidue privati cittadini. 
Sono stati così raccolti i circa sei milioni di lire, necessari per la stampa del testo di 264 pagine con un’elegante copertina a quattro colori.
Non intendo sottrarre tempo all’ispettore Donato Moro, ma ritengo opportuno far presente che tutte le scolaresche, da un decennio, sono impegnate nell’attività di cineforum, realizzata con la lettura strutturale dei film, effettuata col metodo di Nazareno Taddei.
Anche l’insegnamento dell’informatica è stato impartito a tutti gli alunni sin dal 1984.
Cineforum, informatica e visite guidate ad ambienti naturali, città,  monumenti, opifici ecc. sono stati programmati dagli Organi Collegiali integrando con opportune unità didattiche i curricoli delle varie discipline.
E’ stata così attuata un’originale esperienza didattica documentata dalle relazioni e dagli elaborati degli alunni, riportati nella seconda parte del volume.                            
Alcune relazioni sono sequenze oppure collage di brani scritti da alunni o da gruppi diversi e talvolta non nello stesso anno. Il ricorso a tale tecnica ha permesso di aumentare il numero degli “autori” del libro. Quindi numerosi sono gli ex alunni che potranno trovare inseriti nei testi delle relazioni riportate nel libro brani scritti da loro stessi. 
Ovviamente tutti coloro che sono passati per le aule della Scuola troveranno il proprio nome nelle righe dell’annuario.
Prima di concludere il mio intervento non posso esimermi dal fornire col sussidio della lavagna luminosa qualche chiarimento in ordine alla lettura dei  dati statistici relativi al trentennio di attività della Scuola, presentati  nella I parte del volume.      
Alla raccolta ed alla elaborazione di essi hanno contribuito numerose persone, fra cui gli alunni delle seconde e delle terze classi.
Nel primo paragrafo, col prospetto A e le prime tre tabelle ( pp. 21-23 ) sono presentati i dati relativi ad iscrizioni e scrutini.
Dalla tab. 1 si evince che le iscrizioni hanno raggiunto il massimo nell’a.s. 1978-’79 con 245 unità, mentre negli ultimi quattro anni si sono stabilizzate intorno alle 220 unità.
Sempre negli ultimi anni la percentuale degli alunni scrutinati (tab. 3) è andata progressivamente avvicinandosi al 100% , che ha  raggiunto negli anni 1988 e 1989.
Nel secondo paragrafo per evidenziare la costante crescita della Scuola è stato diviso il trentennio in dieci trienni e di ognuno di questi ultimi sono stati presi in esame gli anni conclusivi ( prospetto B di p. 25 )  Per ogni anno di fine triennio, a partire dal 1962 –’63, sono stati considerati il numero I degli iscritti (dell’anno preso in esame) ed il numero N delle nascite avvenute nel triennio corrispondente.  
Nel grafico della tab. 4 ( p. 26 ) i rettangoli neri stanno ad indicare i valori I (iscritti), mentre i rettangoli tratteggiati indicano i valori di N (nati in un triennio). In esso è possibile constatare che alla fine del 10° triennio, cioè nell’anno 1989-’90, I ed N sono uguali. Se poi si vuole constatare l’andamento del rapporto I / N basta osservare il grafico della tab. 5 ( p. 26 ), nel quale è evidente il costante avanzamento del quadratino indicatore, che si colloca nella posizione più alta possibile alla fine dell’ultimo triennio.
Nel corso del trentennio la Scuola ha acquisito una notevole dotazione didattica e bibliografica, infatti dispone di una  ricca biblioteca, di un nuovo pianoforte, di numerosi ed efficienti sussidi audiovisivi e di un’aula d’informatica con nove posti macchina.        La crescita di tale patrimonio, il cui valore attuale è di circa  56.000.000 di lire, è evidenziata dal grafico della tab. 6 ( p. 28 ): si noti il rapido aumento avvenuto nell’ultimo decennio.   
Il paragrafo 3 è interamente dedicato alla interazione tra la Scuola e la Comunità soglianese ( pp. 28 – 35 ).
Fino all’anno scolastico 1988-’89 hanno conseguito la licenza 1.305 alunni, dei quali è stato fatto un vero e proprio censimento, infatti di ognuno è stato stabilito se è in vita, dove risiede, quale titolo di studio ha conseguito oltre la licenza di Scuola Media, quale attività  ora esercita.  
Ne è venuta fuori la seguente interessante analisi  sociologica:
- nel grafico della tab. 7 è indicata la distribuzione secondo il sesso: si noti la prevalenza numerica dei maschi ( 722) rispetto alle femmine (583);
- dei 1.305 licenziati sono viventi 1297, mentre sono scomparsi prematuramente Bianco Lorenzo Antonio, Catalano Luana, Donno Giuseppa  Antonia, Frassanito Antonio, Lazzoi Salvatore Antonio Giovanni, Stefanizzi Luigi Rosario, Vantaggiato Salvatore Romeo e Apollonio Pietro (privatista);    
- per 1.295 licenziati è stata accertata l’attuale residenza: è emerso (tab. 8)  che 981 sono residenti a Sogliano C., 272 in altri Comuni italiani e 42 all’Estero;
- al 31 dicembre 1989  n. 44 ex alunni avevano conseguito la laurea e n. 339 il diploma di Scuola Media Superiore (tab. 9);
- nel grafico della tab.10 (pag.31)  è riportata la distribuzione di 1.292 licenziati secondo lo stato civile: 779 sono i celibi o nubili e 513 i coniugati;
Molto complesso è stato il lavoro per stabilire le attività esercitate dagli ex alunni, alle quali si riferiscono la tab. 11 (p.31) e le notizie riportate a p. 32. Da esse si evince che in agricoltura e impiegato meno dell’1% dei licenziati in vita, mentre sono numerosi coloro che attendono alle attività secondarie e terziarie, e notevole è il numero di coloro che ancora studiano. La voce “altri” comprende casalinghe, disoccupati e pochissimi  pensionati.
Però, al di là delle sterili cifre, forse possono riuscire più interessanti le seguenti citazioni:
- il qui presente sindaco Angelo Polimero è stato licenziato nell’a. s. 1966-’67;
- P. Piero Giovannico, missionario degli Oblati di M. Immacolata, che attualmente si trova fra gli indios del Paraguay è stato licenziato nell’a. s. 1972- ’73;
- il prossimo 2 luglio sarà ordinato sacerdote Salvatore Gemma che ha conseguito la licenza media nell’ a. s. 1978-’79;
- un terzo degli alunni censiti come impiegati ( 71 su 214 ) in effetti sono in servizio nell’Arma dei Carabinieri o nella Guardia di Finanza o nella Polizia di Stato o in altri Corpi Militari.
Avviandomi alla conclusione intendo accennare all’interazione che c’è stata nell’ultimo trentennio tra la realtà socio-economica del Comune di Sogliano C. e la nostra Scuola.
Nelle tabelle 12 13 e14 ( pp. 34-35 ) sono riportati i dati relativi ai censimenti generali della popolazione attiva del Comune, effettuati rispettivamente negli anni 1961, 1971 e 1981. Dai tre grafici si rileva subito la progressiva diminuzione degli addetti all’agricoltura ed il vertiginoso aumento degli addetti alle attività terziarie. Per quest’ultime l’evidente notevole differenza che si nota tra il 1981 e il 1961 ( 442 contro 178) sarebbe stata ancor più marcata se molti ex alunni non esercitassero attività che producono servizi, resiedendo in altri Comuni italiani (è questo il caso di coloro che fanno parte delle Forze dell’Ordine o sono arruolati nell’E.I.).
Per ciò che riguarda le attività secondarie il fenomeno è più complesso. Esse avevano nel 1961 un valore notevole che è andato gradualmente diminuendo fino al 1971, ed in maniera un poco più accentuata si è andato riducendo fino al 1981. Ciò è stato determinato dalla progressiva diminuzione degli addetti alla lavorazione del tabacco sciolto. Tuttavia è possibile prevedere che col censimento del 1991 sarà acclarato che il numero degli addetti del secondario tende ormai ad aumentare. Questa previsione è confortata dal grafico della tab. 15 (p. 35), che si riferisce alle attività produttive in  cui nel 1989 sono inseriti n. 736 licenziati su 1292 censiti. Dal diagramma risulta evidente che dei nostri 1292 ex alunni censiti 400 sono addetti ad attività secondarie, 320 ad attività terziarie e solo 16 si dedicano all’agricoltura. Quindi gli addetti del 2° settore sono in aumento non perché sono tornate ad aumentare le tabacchine, ma in quanto sono in costante aumento gli operai, gli artigiani, i commercianti e gli imprenditori forniti di licenza media.
In ogni caso questa ipotesi potrà essere verificata solo nel 1991, quando saranno noti i risultati del prossimo censimento generale della popolazione.
Concludo ringraziando:
- il preside Mario Serra, i proff. Gabriella Torsello e Oreste Ferriero e i loro alunni dell’Istituto Statale d’Arte “G. Toma” di Galatina, che hanno elaborato ben 10 progetti di copertina e curato il frontespizio del libro;
- i componenti  dell’ufficio di segreteria della Scuola, dott.ssa Cesaria Resci e sig.ra Addolorata Vantaggiato, che hanno generosamente collaborato nella complessa e gravosa fase preparatoria della pubblicazione;
- i redattori dei vari articoli;
- il prof. Antonio Polimeno ed il sig. Angelo Rigliaco che hanno contribuito alla raccolta dei dati statistici;
- il dott. Zeffirino Rizzelli, presidente del Consiglio Scolastico Distrettuale e direttore del
quindicinale “il galatino”, che ha curato la recensione del nostro libro nel numero speciale
del suo giornale, intitolato “Il Titano”, che sarà pubblicato in occasione della  XLI Fiera Nazionale di Galatina;
- l’illustre dantista, prof. Aldo Vallone, che in una bella lettera ha voluto esprimere il suo autorevole apprezzamento per la nostra pubblicazione e soprattutto per l’attività della nostra Scuola;
- il prof. Giuseppe Conoci, redattore del “Quotidiano di Lecce”, che per il  numero di oggi ha scritto un articolo che occupa un’intera pagina;
- il prof. Giuseppe Magnolo che generosamente ci ospita in questa sala;
- i docenti Rita Aloisi, Marino Campa, Rita Greco, Angelo Longo, Salvatore Marra,  Anna Stomeo ed i bidelli  M. Luce Alemanni, Antonio Greco e Rosaria Paola Lazzoi che hanno allestito questa sala e sono impegnati nella buona riuscita di questa manifestazione.
Un particolare ringraziamento all’ispettore prof. Donato Moro, che ha accettato senza riserve l’invito a presentare il nostro libro: per lui non sono necessarie presentazioni, in quanto è conosciuto da tutti noi come persona adatta a valutare serenamente quanto è stato realizzato dalla nostra Scuola in trenta anni di attività e, quindi, comprendere lo stato d’animo dei cittadini di Sogliano, che vedono drasticamente ridimensionata una realtà nella quale si sono concretate antiche e nuove loro aspirazioni.
Infine rinnovo il mio “grazie” a voi tutti, autorità, signore e signori, e penso di poter interpretare la vostra graditissima presenza come spontaneo e sincero apprezzamento dell’azione educativa e formativa, che la Scuola Media “ G. Palamà ” ha svolto in Sogliano nel suo trentennio di irripetibile autonomia. Grazie.
                                                                                        Pietro Congedo - preside                     


RELAZIONE   DELL’ ISPETTORE   PROF. DONATO  MORO
               
Cercherò di essere breve,  perché credo che le illustrazioni fatte dal Preside siano una delle cose più significative e rilevanti di questo bel volume.
Certo ho ascoltato con estrema attenzione le espressioni di rammarico del Sindaco, nonché del Preside, per la perdita dell’autonomia subita dalla Scuola Media di Sogliano. E comprendo bene questo dispiacere.
Purtroppo la legge 426/1988 della razionalizzazione e riqualificazione della spesa pubblica è un malanno, ma è una di quelle leggi che dovrebbero servire, secondo i nostri uomini di Governo, a sanare le finanze dello Stato. Sono quelle iniziative che lasciano molti spazi a dubbi e preoccupazioni, perché questo sistema di razionalizzazione e riqualificazione della spesa pubblica, a prescindere da quello che è successo per la Scuola Media Sogliano, potrà anche avere come conseguenza che antichi istituti, gloriosi per una notevole tradizione, finiranno anch’essi con l’essere accorpati ad altri istituti, che semmai hanno più classi. Cosa che si spera soltanto possa essere affidata alla lungimiranza dei Provveditori e dei Consigli Scolastici Provinciali, perché non avvenga tanto facilmente. Ma ieri ho appreso  che a Galatina, tanto per dire, il Liceo Classico accorperà l’Istituto Magistrale, il quale perderà la sua autonomia. Quindi speriamo, caro Sindaco, che presto lo Stato Italiano riesca a risanare il debito pubblico e che, quindi, possa di nuovo tornare a ridare l’autonomia alla Scuola Media di Sogliano, come ad altre Scuole. Perché è una situazione  che fa restare piuttosto perplessi: a volte queste iniziative di contenimento di spesa col ricorso alle cose più sane, come, per esempio, quella della tassa sull’acqua, ci riportano ad antiche storie e ad antiche vicende, come la tassa sul macinato o roba del genere.
Prima di iniziare a parlare del libro, io mando un saluto al prof. Aldo Vallone,che da lontano si è ricordato di me, ma ringrazio anche sia il preside Congedo, sia gli altri amici di Sogliano per questo invito, che ho accettato senz’altro, senza reticenze, anche perché mi consentiva di ritornare, dopo 25-26 anni di assenza, a Sogliano che ha fatto parte del mio collegio elettorale, quando ero consigliere provinciale ( dal 1956  in poi ), e quindi ho avuto modo di conoscere bene i Sindaci  ( vedo anche uno seduto in sala con i capelli bianchi come me ), qualcuno è scomparso, e ricordo anche la dimestichezza che ho avuto con quel grande soglianese, che è stato Giuseppe Palamà: un grande matematico, ma  uomo di cultura immensa anche nel campo umanistico, conoscitore della grande letteratura, studioso di filosofia. Stare con lui era un piacere, perché conversava in una maniera amabilissima e non si finiva mai di ascoltarlo e di imparare dalla sua bocca. Ricordo anche il fratello di lui, Angelo Palamà, e cito un particolare: l’appartamento, dove io abito a Roma, lo devo proprio a suo intervento, in quanto era un ingegnere operoso anche in Roma per grandi progetti.
Detto questo, ringraziando ancora e contento di stare fra gli amici di Sogliano,voglio dire che ho letto questo volume con interesse per la complessità e l’organicità con cui è stato impostato.  
Nella parte iniziale c’è un primo bilancio della storia antica: da quando un icumeno, papas Nicola, andava visitando le laure basiliane della zona di Sogliano e fino all’arrivo degli Agostiniani, avvenuto nel ‘600, c’è sempre stato il desiderio da parte degli abitanti  di questo centro (allora piccolo, poi via via ingranditosi) il desiderio d’imparare, di studiare. Quindi prima ci sono state scuole, che erano insieme di educazione religiosa e d’istruzione; poi, dopo l’esperienza degli Agostiniani, il primo sorgere della Scuola Elementare vera e propria, Scuola di Stato, con la prima e la seconda classe, e la continuazione e il completamento a Cutrofiano; infine l’istituzione della Scuola di Avviamento di tipo agrario, dal 1960-’61 al 1962-’63, poiché dal 1963-’64 c’è stata la trasformazione della stessa in Scuola Media Unica.
Indubbiamente quello che osservava il Sindaco io lo sottoscrivo, nel senso che in Sogliano  si è effettivamente passati via via da una posizione quasi timorosa nei confronti della Scuola ad una partecipazione sempre più vivace, sempre più ricca, sempre più intensa.     E’ vero!
Anche quando io studiavo, ricordo amici di Sogliano, che venivano a Galatina per frequentare, a volte, anche la Scuola Elementare. Epperò, una volta che si è creato il primo nucleo di scuola post-elementare (Scuola di Avviamento) si è cominciato ad incentrare intorno a questa l’attenzione della cittadinanza.
Tutto questo è egregiamente documentato nel libro.
Ho letto con piacere le pagine scritte dalla preside Marseglia, dove si accenna al passaggio dalla vecchia sede ( ex convento degli Agostiniani, con accesso da una scaletta accanto al Municipio) al nuovo edificio, che è veramente dignitoso: questo è già un punto di rilievo per quanto riguarda il problema educativo di Sogliano e  lo sviluppo della Scuola Media, intitolata a Giuseppe Palamà, cittadino soglianese di grande levatura.               
Allo sviluppo dell’istituzione scolastica ha innanzitutto contribuito il generoso impegno dei presidi Arnaldo Brescia (che non è più fra noi), Andrea Reggiani, Giacomo Vergine, Maria Candida Rizzo, Angela Marseglia. 
Il nostro Congedo è veramente degno di plauso per aver condotto ed organizzato questa iniziativa, che non è soltanto una memoria, perché ha anche un valore per il futuro. 
Leggendo attentamente il libro ho potuto rilevare che nel corso degli anni c’è stata una sempre maggiore partecipazione del corpo docente e degli altri operatori scolastici alla vita dell’Istituto e quindi un’accettazione piena, ragionata, appassionata di tutta la normativa riguardante la Scuola Media, una convinta adesione alla programmazione, che è l’anima della nuova Scuola.   
Al contrario dell’antica tradizione per la quale il professore, come singolo,  lavorava per conto proprio, nella Scuola Media la convergenza verso gli stessi obiettivi dell’azione di tutti i docenti di una medesima classe porta a innovazioni di ordine metodologico e didattico, che producono risultati notevoli per quanto riguarda l’istruzione e l’educazione dei ragazzi.
La programmazione, adottata nella Scuola di Sogliano in  tutti i campi, mi ha molto colpito. Per esempio, i criteri seguiti per organizzare le visite guidate, visite non fatte, come spesso avviene, per essere momento di dissipazione o di divertimento, ma come momento di studio fatto in maniera diversa: prima attraverso una preparazione in classe, poi con l’educazione dei giovani a saper vedere e quindi a saper interpretare e tradurre con parole e anche con lo scritto le proprie impressioni.
Io invito tutti i soglianesi (non soltanto quelli che si ritrovano come firmatari), a leggersi la parte seconda del volume, dove ci sono le relazioni degli alunni. Sono tutte quante veramente interessanti, anche per un certo entusiasmo, una certa meraviglia che si nota in alcune di esse, scritte da ragazzi che, uscendo da Sogliano, allargano il loro sguardo su cose mai viste prima, sia del mondo antico, che del mondo moderno.    
In campo educativo mi ha colpito l’attenzione che la Scuola Media di Sogliano ha avuto per il nuovo. A cominciare dall’adesione (che non è di tutte le Scuole) al Progetto I.R.I.S. (Iniziative e Ricerche per l’Informatica nella Scuola), per la quale i vari Consigli di Classe hanno adottato i progetti e le unità didattiche proposti dal C.E.D.E. (Centro Europeo di Educazione, che si trova a Roma ed è uno degli Organi previsti dal D.P.R. 419/ 1974), fino alla sperimentazione delle classi miste per l’Educazione Fisica, fatta molto prima che questa innovazione fosse prevista da apposita  norma di legge.  
Interessanti i criteri introdotti per la valutazione degli alunni: una valutazione moderna e non più ridotta al puro voto numerico, che non permetteva di cogliere tutti gli aspetti di natura psicologica e sociologica che riguardano l’alunno.
Importanti le iniziative per l’Educazione alla Salute, fra cui le lezioni fatte per illustrare che cosa  è l’A.I.D.S..
Sono stati anche curati l’aggiornamento e la formazione in servizio dei docenti.  
Tutto questo ha creato un grande fervore nella Scuola, la quale credo sia così divenuta elemento trainante nella Società di Sogliano. 
Mi devo complimentare soprattutto per le ricerche che il preside Congedo è andato facendo, a costo di mettere il naso in cose che non lo riguardavano, per realizzare tante statistiche sulla popolazione di Sogliano, sulle varie condizioni degli ex alunni e particolarmente sui rapporti tra nascite e iscrizioni dei ragazzi alla Scuola.
Se tali indagini si facessero in ogni Comune d’Italia, certamente si trarrebbero conclusioni notevoli che servirebbero anche al Ministero della P. I.. Indubbiamente sono stati adottati criteri che possono essere suggeriti ad altri istituti, nel caso che qualcuno sia disposto ad affrontare indagini di questo tipo.
Tutto questo fa del libro un “corpus” veramente notevole che rimane ai cittadini di Sogliano come memoria privata, nel senso che per chi ha frequentato la Scuola, per chi trova il suo nome nell’annuario è un ricordo personale. Ma è anche una memoria storica, perché, oltre a contenere un accenno alla storia antica di Sogliano, dà a tutti, e in particolare ai cittadini di questo Comune, la possibilità di sapere come, attraverso l’evoluzione storica dell’istituzione scolastica, si è sviluppata la coscienza civile e la cultura in questa Città.  Infatti dalla Scuola di Avviamento a tipo agrario, frequentata da pochi ragazzi, si è passati nel 1963-’64 alla Scuola Media unica e, quindi, all’elevazione dell’obbligo scolastico, per cui ad un certo punto si è cominciato ad avere un incremento del numero dei frequentanti. Ovviamente ciò non è avvenuto rapidamente e le Autorità civili e scolastiche dell’epoca si sono date da fare per individuare i ragazzi che non andavano a scuola.    
Poi la Scuola Media con la sua attività ha attirato anche coloro che stavano in disparte, come nascosti, mentre con la partecipazione dei Genitori agli Organi Collegiali, a partire dal 1974, si è stabilita una sorta di osmosi tra Scuola e Famiglia.
Ecco dunque perché la Scuola ad un certo punto è diventata forza trainante per la società di Sogliano, proprio per questa partecipazione viva, che io credo meglio si realizzi in un piccolo centro, che non nei vari quartieri di una grande città come Roma. Qui c’è stata questa possibilità e soprattutto c’è stato un Corpo docente e un Preside animatori, per cui tale partecipazione è diventata forza viva, che ha superato le mura della Scuola. Tutto questo è egregiamente documentato in questo libro, il quale, aldilà di ogni rammarico, può anche essere un segno di speranza per il futuro.
Questo volume, caro Preside, caro Sindaco, può anche essere un viatico per chi dovrà continuare a curare l’educazione in questa Scuola, che, pur non essendo più autonoma,  continuerà ad essere frequentata da ragazzi i quali non devono perdere certe iniziative che già si svolgono, come, per esempio quella del “cineforum”.
Non so se è qui presente il Preside della Scuola Media di Soleto, che dovrà curare la Scuola di Sogliano: è chiaro che questo libro può essere a lui offerto, affinché non tralasci di far svolgere quelle stesse attività che finora sono state svolte. Del resto ci sono i Docenti che continueranno ad operare nella Scuola di Sogliano ed hanno il dovere, anche se mancherà il preside Congedo, d’impegnarsi sempre meglio nelle attività che si sono svolte fin adesso.
Ecco allora come questo libro, oltre ad essere un libro di memorie, è un messaggio per il futuro, perché i preadolescenti di Sogliano continueranno a frequentare la loro Scuola. Quindi chi avrà cura di loro, anche se sta a Soleto, dovrà fare in modo che la Scuola di Sogliano continui a vivere la sua vita in maniera vivace, in maniera incisiva,  sperando che un bel momento ( affermo questo con una punta d’ironia, perché non so se mai avverrà) lo Stato Italiano acquisti condizioni economiche così floride da poter finalmente non considerare più la Scuola come una cavia che deve essere sottoposta a tutti gli esperimenti, perché  purtroppo “l’Italia è il paese delle riforme e delle controriforme” (come mi ha detto stasera l’ex sindaco Gino Diso): prima doveva esserci una Scuola Media in ogni Comune, adesso si tende al risparmio e si sopprime la presidenza e l’ufficio di segreteria di molti Istituti.
E va bene, caro Sindaco, accettiamo questo come un momento transitorio.
Speriamo passi presto!
Però una cosa è certa : i ragazzi di Sogliano continueranno a frequentare la loro Scuola ed hanno il diritto di essere educati con gli stessi metodi, con le stesse iniziative di ordine didattico e culturale che sono state impostate finora, magari arricchite sempre di più.
Io me lo auguro e spero che così possa essere e, nello stesso tempo, auguro al preside Pietro Congedo di poter continuare il suo cammino, sempre generoso, laddove sarà destinato e che possa anche in quella nuova sede lasciare traccia di cose egregie, come ha fatto qui a Sogliano.
E con questo augurio io chiudo.
                                                                                         Donato Moro


INTERVENTO DEL SENATORE GIORGIO DE GIUSEPPE
                   
Cari amici e care amiche, io desidero prendere la parola, scusandomi con voi per essere venuto un po’ tardi, ma ero a Lecce ad un altro convegno.
Prendo la parola per due ragioni: la prima relativa alla lettera del 17 settembre 1960, quella che troverete a p. 14 del libro “30 Anni di Attività”; la seconda riguardante la mia reazione alla perdita dell’autonomia subita dalla Scuola Media di Sogliano Cavour.
Ho ritrovato me stesso, caro Donato, caro Preside, nella suddetta lettera, che è stata scritta da me, che allora lavoravo al Provveditorato agli Studi di Lecce. Infatti, dopo aver fatto un’indagine per vedere quanti Comuni erano pronti a dare l’avvio alla nuova Scuola Media, avendo accertato che tra i Comuni non adeguatamente attrezzati c’era anche Sogliano, concordai con il Provveditore agli Studi dell’epoca, Aldo Ghiozzi, il testo della lettera. Questa, come tutte le lettere che gli uffici provinciali scrivono ai Sindaci, era molto riguardosa, però con essa si voleva dire: “ beh mò non c’è più tempo da perdere: o riuscite a creare le strutture necessarie, oppure a Sogliano la Scuola Media non nascerà.  
Passo ora ad esprimervi tutta la mia tristezza dovuta al fatto che la Scuola Media “G. Palamà” perda la sua autonomia, e rimprovero a me stesso di aver contribuito a votare la legge che ne è causa: ci stiamo accorgendo che il risparmio che di fatto si ottiene attraverso le fusioni, quando le classi di una scuola sono meno di 12, è un risparmio  irrisorio, che non produce un’apprezzabile riduzione del debito dello Stato, quindi si  va rivelando inutile il togliere autonomia a Scuole, come questa di Sogliano che in realtà  hanno ben funzionato. Ma di questo  parlerò subito.
Certo tutti dobbiamo renderci conto che la nostra Società sta profondamente cambiando. Rispetto ad un secolo fa, i nostri tempi sono profondamente diversi: un secolo fa ci fu il boom delle nascite, il mondo fu caratterizzato da una esplosione demografica che, tra la fine dell’‘800 e gli inizi del ‘900, soprattutto in Europa, fece aumentare la  popolazione in modo eccezionale. Oggi invece, per parlare di noi italiani, siamo al disotto della soglia di fertilità, che i demografi indicano in due figli per ogni coppia: noi siamo al disotto!
Dico questo con  estrema preoccupazione, anche perché il problema della denatalità l’Italia non se lo pone, mentre se lo sono posto la Francia e la Germania. Così facendo gli italiani commettono un  errore di eccezionale gravità, che nel giro di appena un decennio avrà pesanti conseguenze sulla possibilità di sopravvivenza dell’attuale stato sociale. Questo, infatti, come tutti sappiamo, si può sostenere purché il rapporto giovani/anziani sia un rapporto accettabile e tollerabile. Se invece, come sta accadendo, la nostra società si trasformerà in una società di anziani, è chiaro che lo stato sociale fra un decennio si troverà di fronte a difficoltà enormi, perché i pochi giovani che lavoreranno dovranno sostenere degli oneri eccezionali nei confronti della grande maggioranza di anziani che dovranno essere mantenuti. Chiudendo questo argomento, che in fondo ha un rapporto relativamente  non determinante con il libro che si presenta, voglio dirvi che, nonostante abbia perduto l’autonomia, la Scuola Media di Sogliano per la propria tradizione bellissima e nobilissima ha saputo incidere con grande serietà nella vita della società soglianese.
Non ci sono, caro Donato, molti istituti, sia a livello di Scuola Media di I grado, sia a livello di Scuola Secondaria Superiore, che possano presentare un volume con una documentazione di questo tipo. Preside Congedo, io credo che queste siano le parole più affettuose e più care che io possa rivolgerti, perché è stato il tuo impegno, stata la tua volontà, è stata la tua serietà, certamente confortati dall’impegno e dalla volontà unitari dei docenti, delle famiglie e degli alunni, a realizzare queste cose. Ma il libro è prezioso per un’infinità di altri motivi. Io l’ho sfogliato mentre parlava il prof. Donato Moro, condividendo quel che lui diceva circa la seconda parte, dove ci sono le relazioni dei ragazzi, riguardati le visite che essi, tra meraviglia ed entusiasmo, hanno compiuto un po’ dovunque, ed ho notato come la sensibilità del preside e dei docenti abbia saputo creare una comunità di vita nella Scuola, che va, come è giusto che vada, oltre la Scuola. L’esempio offerto dalla copertina è una cosa bellissima, che io desidero sottolineare: come noterete nelle pagine 251-255 del volume, ci sono state diverse ipotesi di copertina, nate dall’impegno di ragazzi, anche provenienti dalla Scuola Media di Sogliano, che attualmente frequentano l’Istituto d’Arte di Galatina. Questa è una cosa bellissima, perché sta a dimostrare come la Scuola sia un fatto permanente nella nostra vita, da non separare in monadi: ora la scuola elementare, ora la scuola media, ora altre scuole.
Io auguro che a Sogliano possa ritornare l’autonomia della Scuola Media o perché sarà rivista la legge (cosa che non è da escludere) o perché il problema delle 12 classi sarà stato risolto con l’aumento delle nascite di bambini.
Quest’anno la Provincia di Lecce chiude 100 classi di  Scuola Elementare: questa è una notizia drammatica! Capisco che ci sono grandi responsabilità da parte dei pubblici poteri, capisco che alle soglie del 2000 non si può pensare alle famiglie come si pensava 20 o 30 anni fa. Le famiglie vanno sostenute, gli stipendi devono essere rivisti in rapporto al numero dei figli: come vedete c’è un groviglio di questioni.
Però mi sia consentito l’augurio che, più che la revisione delle leggi, sia messo in atto un sistema tale che possa portare tra qualche anno a constatare che il numero degli alunni è cresciuto: questo sarebbe il segno del cambiamento di una tendenza che, per i motivi già detti, è pericolosissima per il nostro Paese.
Concludo dicendo grazie e sollecitando l’invio di questo libro non solo al Preside della Scuola Media di Soleto (persona estremamente valida ed intelligente, che certamente comprenderà quali sono le radici della Scuola di Sogliano e quale sforzo è stato in essa compiuto con generosa intelligenza), ma a tutte le Scuole della Provincia, perché ritengo lo stesso fornisca la fotografia reale, effettiva di una scuola viva, dove la partecipazione è stata un fatto reale: si è vissuto insieme, si è progredito insieme, si è studiato insieme, si è amato insieme. Perciò mi auguro  che questa iniziativa possa essere conosciuta in tante altre scuole, che anche nella nostra Provincia vivacchiano, sono stanche, sono asfittiche. Distribuite  questo volume, perché possa essere un avvertimento, un monito su come dovrebbero essere le scuole alla fine del nostro secolo.
Grazie amici miei, grazie al Preside grazie ai Docenti.
                                                                                    Giorgio De Giuseppe     
       
REPLICA  DEL  PRESIDE  PIETRO  CONGEDO

A nome della Scuola, ringrazio il prof. Donato Moro della bella presentazione che ha fatto per il nostro libro; ringrazio il sen. Giorgio De Giuseppe per aver tanto apprezzato sia quello che è stato pubblicato, sia quello che c’è dietro la stessa pubblicazione.
Tuttavia io ci tengo a sottolineare che sono stato semplicemente animatore. Sono arrivato nella Scuola Media di Sogliano a 40 anni, me ne vado non per mia volontà a 60: per 20 anni sono stato l’animatore dell’attività dell’Istituto, attività generosamente svolta da tanti e tanti, diecine e diecine, forse centinaia di Docenti, che sono elencati nell’annuario, i quali hanno creduto nel possibile rinnovamento della Scuola e, accettando i miei incoraggiamenti, hanno prodotto quanto è stato indicato nel libro.
Di nuovo grazie.
                                                                                      Pietro Congedo- preside